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La crescita degli oligopoli negli Stati Uniti | 1 venerdì 30 settembre 2016, 17:30

Economia Usa

La crescita degli oligopoli negli Stati Uniti

Come l'ondata di fusioni aziendali ha distorto il mercato e rotto gli equilibri di Giacomo Gabellini

Uno dei tratti comuni del capitalismo che già Lenin aveva messo in risalto nei suo scritti è la tendenza a creare

monopoli. Una tendenza che si ripropone in maniera molto più evidente e sistematica nei momenti di crisi, quando le aziende incapaci di resistere a un periodo prolungato di calo dei profitti – a causa o delle proprie ridotte dimensioni o di altre inadeguatezze strutturali – vengono fagocitate dalle imprese più potenti, che hanno così modo di espandersi e di conquistare fette sempre maggiori di mercato. Alcuni vecchi colossi come General Electric hanno saputo riorganizzarsi per affrontare le sfide contemporanee, mentre altre compagnie pur solide ma storicamente non altrettanto potenti come Samsung hanno avuto la capacità di farsi strada cavalcando la globalizzazione. Un processo di interconnessione planetaria che ha consentito ad aziende hi-tech come Google e Facebook di trovare un proprio spazio sul mercato e di macinare utili da capogiro. La

tendenza al gigantismo incoraggiata dall'attuale congiuntura economica produce però una serie di effetti estremamente deleteri, tra i qual primeggiano la distorsione del mercato prodotta dalla capacità dei colossi di schiacciare la concorrenza e l'aggiramento dei regolamenti in materia non solo fiscale mediante sofisticate

operazioni illecite. L'esempio più recente della tendenza a creare oligopoli è dato dalla recente acquisizione di Monsanto da parte della Bayer per qualcosa come 66 miliardi di dollari in contanti. Oltre a sollevare forti dubbi sulla deontologia del nuovo gigante venutosi a creare ( chi realizza profitti con farmaci e pesticidi può avere a cuore la salute?

, si domanda l'oncologa Patrizia Gentilini), l'operazione ha rafforzato ulteriormente il potere del cartello

dell'agrochimica, concentrandolo nelle mani di soli tre soggetti: Bayer-Monsanto, per l'appunto, DuPont-Dow

Chemical e Sygenta-ChemChina. In generale, nel 2016 si è registrato un numero di acquisizioni e fusioni aziendali che supera di oltre due volte quello realizzato nel 1990. A trainare questa crescita esponenziale sono di gran lunga gli

Stati Uniti, dove la quota del Pil prodotta dalle 100 maggiori società è passata dal 33% del 1994 al 46% del

2013. Attualmente, i cinque maggiori agglomerati finanziari macinano profitti corrispondenti al 45% degli attivi bancari complessivi, a fronte del 25% registrato nel 2000. Un effetto diretto del Financial Modernization Act (o Gramm-Leach Bliley Act), la legge attraverso la quale furono eliminate le residue normative atte a disciplinare l’attività degli istituti bancari di Wall Street, consentendo a investitori istituzionali, fondi pensione, compagnie assicurative, banche commerciali e banche d'investimento di integrare liberamente i propri compiti e le proprie funzioni. Così , NationsBank (che riuniva North Carolina National Bank e C&S Sovran) si unì alla BankAmerica (che aveva acquisito Security Pacific, Continental Bank of Illinois e l’11% della China Construction Bank) originando il colosso Bank of America; Bank One of Ohio si legò a Fist Chicago Nbd dando vita al colosso delle carte di credito Bank One; Citibank si fuse con Travelers Group (che aveva già inglobato Salomon Brothers) formando Citigroup (il più grande conglomerato finanziario del mondo); Wells Fargo rilevò Norwest Bank (che aveva già inglobato United Banks of Colorado), mentre Jp Morgan & Co. e Chase Manhattan Bank (che aveva già acquisito Chemical Bank, che a sua volta si era fusa con Manufacturers Hanover Trust e aveva inglobato Texas Commerce) confluirono nell'agglomerato Jp Morgan Chase. La prospettiva di alimentare notevolmente il proprio business negli Usa ha incoraggiato le banche europee concorrenti a penetrare nel mercato statunitense Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/la-crescita-degli-oligopoli-negli-stati-uniti/ L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.

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La crescita degli oligopoli negli Stati Uniti | 2 associandosi a istituti d'oltreoceano; la tedesca Deutsche Bank si associò alla Banker's Trust e acquisì la banca d'investimento Alex Brown, l'elvetica Credit Suisse mise le mani su First Boston. La britannica Hsbc si legò invece a Wells Fargo e inglobò la Edmond Safra's Republic New York Bank. In ciò, le banche non avevano fatto altro che seguire l'esempio delle grandi aziende manifatturiere. Vale la pena ricordare, a questo proposito, la temporanea alleanza tra Daimler-Benz, Mitsubishi e Chrysler, la fusione tra la giapponese Nissan e la francese Renault, il ricongiungimento tra Exxon e Mobil (nate entrambe dallo smembramento della Standard Oil di John D. Rockefeller nel 1911) e l'inglobamento della Amoco da parte di British Petroleum. Stesso discorso vale per il settore delle start-up, ridotto a un numero

considerevolmente ridotto di imprese (il più basso dal 1970) che da sole sono in grado di controllare tutto il

mercato. Per non parlare del comparto dell'alta tecnologia, dove Facebook ha acquistato in un colpo solo WhatsApp per qualcosa come 19 miliardi di dollari e Google continua ad acquisire un'azienda dopo l'altra . Acquisendo lo status di

colossi, le grandi imprese hanno i mezzi e le possibilità di reclutare interi eserciti di lobbisti in grado di far riscrivere le leggi antitrust e far approvare normative, come ad esempio il Dodd-Frank Act, che discriminano e penalizzano pesantemente le piccole aziende. I giganti odierni possono inoltre investire somme crescenti di

denaro nel perfezionamento delle più sofisticate tecniche di evasione fiscale, la più consolidata delle quali consiste nell'operare una miriade di scambi tra società controllate che consente ai grandi gruppi di far figurare che i profitti realizzati in un determinato Paese siano in realtà stati conseguiti in un altro Stato, dotato quasi sempre di un bassissimo livello di tassazione. Il caso di Apple non è che un sintomo di questa patologia, al punto da indurre un baluardo del sistema come 'The Economist' a scrivere che «il pagamento delle tasse sembra essere divenuto inevitabile per gli individui ma facoltativo per le

grandi imprese. Le regole sono inflessibili per i cittadini, e soggette a trattative quando si tratta di aziende. I profitti nemmeno si traducono in posti di lavoro come succedeva una volta. Nel 1990 le prime tre case automobilistiche di Detroit avevano un giro d'affari di 36 miliardi di dollari e 1,2 milioni dipendenti. Nel 2014 le prime tre aziende della Silicon Valley,

con un fatturato di oltre 1 trilione di dollari, contavano solo 137.000 dipendenti». Ed è proprio dal disincanto nei

confronti delle politiche collaborazioniste portate avanti nel corso degli ultimi decenni tanto dalle amministrazioni repubblicane quanto da quelle democratiche che nasce l'inaspettato successo di un candidato 'neo-isolazionista' e favorevole al ripristino di forme morbide di protezionismo

come Donald Trump.

di Giacomo Gabellini

Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/la-crescita-degli-oligopoli-negli-stati-uniti/ L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.

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