Firenze: a 50 anni dall`alluvione

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venerdì 04 novembre 2016, 09:30
4 novembre 1966
Firenze: a 50 anni dall’alluvione
La Storia delle Cose anticipa celebrazioni, ricordi e allarmi per un pericolo spostato a valle della città
di Marcello Lazzerini
Era la mattina del 4 novembre 1966, tutto era pronto in piazza della Signoria per festeggiare la fine della prima guerra
mondiale, ricordata come giornata della Vittoria, oggi Festa dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, quando le acque
dell’Arno all’altezza degli Uffizi e del Ponte Vecchio, scavalcate le spallette presero ad allagare la piazza e a sommergere il
centro storico e buona parte della città, raggiungendo in S.Croce l’altezza di 6 metri. Le notizie e soprattutto le immagini di
quella tragedia commossero il mondo, com’è poi avvenuto per l’Aquila, Amatrice e ora Norcia, devastate dal terremoto. A
50 anni da quella tragedia, Comune e Regione hanno indetto una settimana, già iniziata, di eventi - incontri, manifestazioni,
cerimonie – che culminano nel pomeriggio del 4 con la visita del Capo dello Stato Sergio Mattarella e la sera con la
fiaccolata rievocativa da San Miniato a piazza Santa Croce, che ricorda quella analoga del 4 novembre 1967, a un anno dal
disastro. Una settimana intensa, con tanti momenti rievocativi (video e film inediti, Mostre fotografiche, spettacoli teatrali,
convegni) al centro dei quali saranno protagonisti ancora una volta Gli angeli del fango, quei giovani evocati anche nel film
'La meglio gioventù' di Marco Tullio Giordana, gli addetti alla Protezione Civile, i Vigili del fuoco e il Volontariato che
proprio da questa esperienza vide il riconoscimento del proprio ruolo fondamentale in questo nostro martoriato paese. Fra i
tanti giovani giunti da ogni parte del mondo per contribuire al salvataggio del nostro patrimonio artistico, storico e
bibliografico, molti i nomi di coloro che si faranno strada in ogni campo: musica, spettacolo, letteratura, arte, scienza. In
attesa di ritrovarli qui a Firenze ed ascoltare le loro testimonianze a mezzo secolo di distanza da quell’evento, o di
approfondire sotto il profilo storico e istituzionale quanto quell’ondata di umana solidarietà abbia inciso sul corso della nostra
vita sociale politica e istituzionale, riteniamo importante segnalare il numero speciale (il 113), che una rivista culturale
raffinatissima e colta dedica all’alluvione: la rivista si chiama Storia delle Cose, la rivista delle arti. La dirige, dal 1985, la
collega Maria Cristina de Montemayor: «La rivista si occupa da sempre di arte e cultura, non a caso pur avendo
diffusione nazionale, soprattutto nelle librerie e nei books shop museali, per la sua nascita scelsi Firenze, ormai priva –
nonostante la sua grande tradizione - di riviste d’arte e di cultura. L’alluvione è stato un evento così traumatico e con tali
ripercussione non solo sule nostre vite ma anche sul patrimonio artistico di Firenze che non potevamo non dedicare il
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/firenze-a-50-anni-dallalluvione/
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nostro impegno alla realizzazione di un numero monografico a quel fatto storico sociale e culturale che ha segnato uno
spartiacque nella vita del nostro Paese». In questo numero speciale c’è il dramma e la memoria, ma soprattutto importanti
testimonianze dei protagonisti di ieri e di oggi, studiosi ed esperti che operano nei Musei, alla Biblioteca Nazionale, nei
Laboratori di restauro, alla protezione civile, all’Autorità di Bacino. E’ proprio dalla testimonianza resa da Marcello
Brugioni, Dirigente dell’Area di Pianificazione e Tutela del rischio idrogeologico dell’Autorità di bacino, nel Salone dei
Cinquecento, in occasione della presentazione di questo numero speciale della rivisita definito anche DocumentoAlluvione, che vogliamo ripartire per una riflessione sulla tragedia, che ha cause naturali ma non solo, e che potrebbe
ripetersi. Incominciamo dai dati storico- scientifici: essi ci dicono, dice Brugioni, che dal 1177 ad oggi Firenze ha subito 56
piene e ben 8 di queste sono state rovinose, trasformandosi in vere e proprie alluvioni. Solo dell’ultima, di quella del 1966, si
hanno dati registrati dagli strumenti e ci dicono che la città fu sommersa da 70 milioni di metri cubi d’acqua, che le si
rovesciarono addosso provocando vittime, devastazioni, danni in molti casi irreparabili. Di queste ferite e dell’opera per la
sua rinascita ci sarà ancora modo di parlare. Atteniamoci qui ai dati nudi e crudi. Dai quali risulta che le acque del fiume in
piena stagnarono nel tratto cittadino perché la capacità di deflusso non superava, al tempo, i 2500 mc/s. Mentre la portata
massima è stata di 4000 mc/s. In termini tecnici i 2500 mc/s di allora corrispondono a piene con un tempo di ritorno tra i 50
e i 100 anni. In soldoni, un evento con una portata del genere potrebbe ripetersi nel tempo. E con quali esiti? E ancora: la
città è stata sufficiente protetta da simili calamità? La storia di questi 50 anni ci dice che si sono posti, come direbbe il
Machiavelli ripari et argini, con vari piani di intervento e soluzioni spesso contrastanti tra loro. Innanzitutto sono state
abbassate le platee del fiume e innalzate le spallette arginali, si è creato a monte il lago di Bilancino, che però ha
prevalentemente altre funzioni, tanto che oggi il fiume consente il passaggio di circa 3200/3400 mc/s, ovvero un evento
compreso tra 100 e 200 anni di ritorno. Insomma con gli interventi negli anni ’80 si è notevolmente ridotta per quanto
riguarda Firenze la pericolosità del fiume. Ridotta ma non annullata. Le Autorità di Bacino ed il Dipartimento di
Ingegneria, scrive ancora Marcello Brugioni, hanno svolto alcune elaborazioni simulando un’alluvione della stessa portata di
quella del ’66, che indicano come la città sarebbe nuovamente allagata ma con volumi assai inferiori, stimabili per l’area
urbana in 25 milioni di mc e 4/5 nel centro storico, con un danno economico di circa 6 miliardi di euro (esclusi i beni artistici).
Ma non è tutto. «C’è un altro fatto che si deve considerare e che a noi dell’Autorità di bacino provoca più di qualche
preoccupazione: a fronte dei 25 milioni in città, abbiamo più di 130 milioni di metri cubi d’acqua che vanno ad interessare la
piana ad ovest di Firenze e quindi Scandicci, Lastra a Signa, Signa, Campi Bisenzio. Questo è dovuto al fatto che i lavori
completati nel 1980 hanno aumentato la capacità di deflusso nel tratto urbano, ma a valle della città l’Arno è rimasto
immutato». Il che significa che una buona parte dell’acqua che riesce a defluire dal fiume nel tratto cittadino, dopo le
Cascine non è più contenuta in alveo! Con l’aggravante che queste zone, che prima erano per lo più occupate da terreni
agricoli, in seguito hanno subito una fortissima urbanizzazione con più di 100 mila persone che vi abitano e lavorano.
Considerando la dinamica della piena, le esondazioni inizierebbero la prossima volta non a monte della città ma a valle, e poi
andrebbero ad interessare Firenze. L’espulsione di buona parte della popolazione (Firenze negli anni ha sensibilmente
ridotto il numero degli abitanti, con una evidente sostituzione di ceti sociali) dalla città, è dovuta a varie ragioni, caro-affitti,
traffico convulso, inquinamento, espulsione delle attività lavorative manifatturiere, e mentre Firenze perdeva parte dei suoi
abitanti si accresceva a dismisura il numero dei residenti nei comuni del circondario, oggi sono sottoposti ad un rischio
maggiore in caso di alluvioni. «Le soluzioni non sono semplici: ma non si può pensare», ecco il forte richiamo di Brugioni e
delle autorità di bacino, «di salvare solo Firenze senza considerare anche tutta la piana fiorentina, ormai quasi
completamente urbanizzata». Quali percorso seguire? Quali le possibili soluzioni? La più immediata è quella di realizzare
invasi nel bacino idrografico a monte di Firenze, tali da contenere le maggiori piene ( già prospettate in passato dalla
Commissione De Marchi), ma mai realizzate per contrasti tecnici, sociali e politici. C’è poi il piano stralcio Rischio Idraulico,
redatto dall’Autorità di bacino nel 1999, che cercava di ottenere lo stesso risultato ma con soluzioni più 'leggere' attraverso
casse di espansione che suppliscano gli invasi. Ma anche questa soluzione trova seri ostacoli nei costi elevati e nel fatto che
il suolo libero disponibile contrasta con le ambizioni di sviluppo urbanistico dei fondovalle. Infine, l'esperto fa notare che i
costi delle casse di espansione sarebbero pur sempre inferiori alla stima dei danni provocati da eventuali alluvioni. Il pericolo
dunque si sarebbe spostato dalla città a quello che un tempo era il contado, oggi comunque parte fondamentale della Città
metropolitana. E tuttavia, qualcosa di nuovo e d’importante si avverte: negli ultimi tempi è infatti cresciuta la
consapevolezza della gravità della situazione, il Piano di Gestione Rischio Alluvioni è già stato approvato e finanziato così
che il sistema delle quattro casse di espansione nel Valdarno Superiore (Figline) e l’innalzamento della diga di Levane,
possano vedere la luce nell’arco di 4-5 anni. A seguito anche delle direttive europee e della pianificazione derivata, vi è una
dunque una diversa percezione del problema, che non riguarda solo le alluvioni, in base alla quale dobbiamo imparare a
convivere con questa spada di Damocle sulla testa, ma con l’obbiettivo, anzi l’obbligo, di ridurre e rendere più sostenibile il
rischio. Il governo, le regioni, la città metropolitana, le popolazioni dovranno raggiungere quanto prima questa comune
consapevolezza ed operare in questa direzione senza indugi.
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