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Come cambia la responsabilità penale del medico di fronte a cure
più sicure? | 1
giovedì 05 gennaio 2017, 16:30
Politica
Come cambia la responsabilità penale del medico di
fronte a cure più sicure?
Gradazioni della colpa oscurate da linee guida scientifiche, ‘medicina difensiva’ danneggia l’intero sistema
di Virgilio Carrara Sutour
Per il 10 gennaio è prevista la disamina in Senato di un Disegno di legge sulla responsabilità del personale sanitario.
Si tratta di un nuovo strumento volto ad aumentare i controlli in merito alla sicurezza delle cure somministrate e ad arginare
la cosiddetta 'medicina difensiva' (prescrizioni ingiustificate di farmaci ed esami) e i costi assicurativi. È, inoltre, introdotta
(con il nuovo articolo 590 ter del Codice Penale) la responsabilità colposa del medico per morte o lesioni personali,
con maggiori imputabilità in capo alla struttura sanitaria coinvolta. La spinta è arrivata, soprattutto, dall'esito dei
procedimenti penali: nel 2015, a fronte di 34.000 denunce (dati raccolti da Osservatorio Sanità e dalla Commissione
parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari), il 95 % delle cause intentate per lesioni personali colpose si è concluso con il
proscioglimento del medico, mentre le cause civili per risarcimento sono state avviate nel 34% dei casi. In proposito, il Ddl
prevede anche un più stretto controllo del codice deontologico. L'atto è stato approvato dalla Camera dei deputati, in prima
lettura, lo scorso gennaio. Condizione necessaria chiamata in causa è quella della sicurezza delle cure sanitarie, una
componente costitutiva del diritto alla salute, espressamente previsto dall’Articolo 32 della nostra Costituzione: «La
repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite
agli indigenti». Diritto inviolabile, in quanto connesso con la dignità umana, e diritto ‘sociale’, che si traduce in dovere
di welfare per l’ordinamento. Componenti ‘attive’ del meccanismo di tutela saranno, pertanto, il personale sanitario, le
strutture in cui esso opera e le strategie adottate per assicurare a ciascun individuo quel diritto. In una Sentenza del 1999 (n.
309), la Corte costituzionale ha poi affermato che «Le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel
bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibuile del diritto alla salute»: i
tagli finalizzati al risanamento del bilancio statale, come le difformità nella gestione e nei modelli organizzativi a livello
regionale sono fattori idonei a generare un ‘effetto boomerang’ sulla qualità delle cure prestate. La prestazione sanitaria è
connessa alla prevenzione del rischio, attività alla quale concorre non solo l’a.s. pubblica responsabile, ma tutto il
personale della struttura, liberi professionisti compresi (Art. 1, come riformulato dalla 12° commissione del Senato).
Pensiamo, sulla scorta della Legge di stabilità 2016, ai percorsi previsti di audit clinico (valutazioni oggettive indipendenti,
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su
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sistematicamente effettuate da personale qualificato), ad altre metodologie finalizzate allo studio dei processi diagnostici e
terapeutici, al monitoraggio degli «eventi sentinella»: conseguenze gravi, potenzialmente evitabili, come una caduta
pericolosa o il tentato suicidio di un paziente. Tra il 2005 e il 2012 sono stati registrati, nelle strutture del SSN, 1918 eventi di
questo tipo. Diverse disposizioni interessano l’iniziativa dei pazienti come soggetti attivi, la trasparenza delle informazioni e
l’accesso agli atti. Nel primo caso, il Ddl in oggetto dispone che le Regioni e le Province autonome possano delegare la
funzione al Difensore civico, il quale potrà essere adito direttamente in qualità di garante per il diritto alla salute per
disfunzioni relative al sistema di assistenza sanitaria. Si prevede, poi, l’istituzione con decreto ministeriale di un
«Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità», al quale appositi «Centri regionali per la gestione
del rischio sanitario» dovranno trasmettere i dati concernenti i rischi rilevati e gli eventi avversi (frequenza, entità), raccolti
da ciascuna struttura in una relazione semestrale, oltre alla registrazione dei relativi contenziosi. In merito all’accesso
alla documentazione sanitaria relativa al paziente, ne è disposta la trasmissione in termini ristretti (una
settimana dalla richiesta dell’avente diritto), un obbligo al quale sono tenute sia le strutture pubbliche che private.
All’Art. 5 del Ddl troviamo, riformulata dalla 12° Commissione, la previsione che determina i parametri della
responsabilità professionale, ossia il ‘nervo scoperto’ del dibattito acceso , da almeno due anni, su una materia sensibile
e in costante evoluzione: «gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità
preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso
concreto, alle raccomandazioni indicate dalle linee-guida definite e pubblicate ai sensi del medesimo articolo
5 e, in mancanza, alle buone pratiche clinico-assistenziali». La tautologia non è attenuata dal rinvio, per l’elaborazione delle
citate linee-guida, ad «enti e istituzioni pubblici e privati, nonché a società (…) e associazioni tecnico-scientifiche delle
professioni sanitarie iscritte in un apposito elenco (…) regolamentato dal Ministero della Salute». Le raccomandazioni, con le
evidenze scientifiche prodotte in loro supporto, potranno essere consultate in rete sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità .
La questione dei ‘parametri’ rimane aperta se si considera, proseguendo nella lettura, che il Ddl in oggetto (Art. 6, co. 2)
abroga la normativa vigente, secondo la quale la responsabilità dei medici sarà «esclusa per i casi di colpa lieve,
qualora, nello svolgimento della propria attività, l'esercente la professione sanitaria si sia attenuto a linee guida e buone
pratiche accreditate dalla comunità scientifica» (Art. 3 L. 189/2012). In un caso di omicidio colposo finito davanti alla
Cassazione penale (Sent. 23283/2016), la Corte chiariva i limiti della colpa medica, ora ristretta alle condotte qualificate
da colpa grave, annullando la sentenza impugnata, con la quale la Corte di Appello di Genova condannava un medico per
non avere effettuato tempestivamente attività diagnostiche e terapeutiche tali da evitare, con un buon margine di
probabilità, il decesso della vittima. Tuttavia, nella nuova disciplina non esiste una gradazione della colpa penale e
si fa dipendere la responsabilità del sanitario dal rispetto delle suddette linee-guida, «come definite e pubblicate ai sensi di
legge e sempre che risultino adeguate alle specificità del caso concreto, ovvero, in mancanza di esse, alle buone pratiche
clinico-assistenziali» (Art. 6, co. 1). In attesa degli scenari possibili, un fenomeno crescente è rappresentato dal
ricorso alla medicina difensiva, una sorta di ‘corsa ai ripari’ per i medici che prescrivono esami o farmaci ‘per copertura’,
laddove non si presenti alcuna reale necessità (ad esempio: una TAC per vaghi sintomi di appendicite, o una
risonanza magnetica per un qualsiasi dolore alla schiena). Con buona pace degli effetti collaterali e degli interventi
chirurgici ‘indotti’ (oltre al prolungarsi delle liste di attesa), lo scopo principale è sollevare l’operatore e la struttura sanitaria
da ogni responsabilità nel caso di eventi inattesi. Questi meccanismi, oltre a comportare l’imballaggio dell’intero sistema,
provocano una percezione falsata della necessità delle cure, della loro sicurezza nell’esercizio di un diritto
consapevole alla salute. Un esame attento delle disposizioni, in sede parlamentare, e la successiva definizione delle
raccomandazioni a cui dovrà conformarsi il personale sanitario, troverebbero nelle esperienze più recenti delle aziende una
solida base di riflessione de jure condendo. Oltre al problema dei costi, indubbiamente concreto, ma riduttivo rispetto alla
questione della responsabilità, il rapporto medico/paziente e il diritto a cure più sicure sarebbero maggiormente garantiti se
non fosse così «difficile per le persone capire che un effetto collaterale indesiderato o una complicanza possono insorgere
anche senza che vi sia colpa da parte di qualcuno, o addirittura a seguito di esami e trattamenti non necessari», come ha
recentemente ribadito Sandra Vernero, Segretario Generale di Slow Medicine.
di Virgilio Carrara Sutour
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