Ko Ni, assassinio politico che travolge il Myanmar

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Ko Ni, assassinio politico che travolge il Myanmar | 1
giovedì 02 febbraio 2017, 08:30
Ko Ni, assassinio politico che travolge il Myanmar
L’esperto costituzionalista difendeva le minoranze islamiche in un Paese dove il Buddhismo è maggioritario
di Francesco Tortora
Bangkok - «Si muore una volta sola. Io voglio morire facendo la cosa giusta». Questo è quello che l’avvocato Ko Ni era solito
ripetere a sua figlia, Yin Nwe Khine, quando la ragazza gli sottolineava che -nell’incertezza del momento storico attualequalcosa di brutto avrebbe potuto colpire la famiglia, soprattutto suo padre, il più importante collaboratore del
Premio Nobel per la Pace 1991, Aung San Suu Kyi. Tutto assume nuovamente una luce scura e sinistra in un
Myanmar che faticosamente esce dalle turbolenze della costituzione della Democrazia dopo anni di brutale
dittatura militare. Il suo assassinio, per mano dell’attentatore identificato in Kyi Lin, del Mandalay, 53 anni, appare
chiaramente nei nastri registrati delle telecamere di sicurezza dell’aeroporto di Yangon, domenica 29 Gennaio, nel
pomeriggio. Si tratta dell’aeroporto di quello che è, di fatto, il più importante centro commerciale dell’intero Paese. Stava per
prendere un taxi, appena tornato dall’Indonesia, dove aveva partecipato ad un importante meeting dove si è discusso di
tematiche di tipo religioso. Un uomo in ciabatte, calzoncini corti, maglietta rosa, si avvicina al 65enne noto
avvocato, attivista e principale consulente legale del Premier in pectore Aung San Suu Kyi, e lo colpisce alla testa mentre
dice: «Non puoi comportarti così», secondo i resoconti fatti ai vari media nazionali dai taxisti testimoni che, attoniti, hanno
assistito in tempo reale ad un vero e proprio assassinio politico, perché è così che è stato accolto nel Paese. Ai funerali,
svoltisi lunedì scorso, hanno partecipato in migliaia, passandosi il feretro avvolto nel telo verde con scritte sacre e fregi in
color oro con la mezzaluna e la stella, anche i più rilevanti rappresentanti degli imam, dei monaci buddhisti, dei vertici
politici della Lega Nazionale per la Democrazia NLD, perché Ko Ni era rispettato da tutti, anche da parti avverse o
distanti. Le sue qualità di mediatore, nel difficilissimo compito di riscrivere gli atti fondativi della Nazione, come
la Carta Costituzionale, con una presenza parecchio ingombrante al proprio fianco qual è quella dell’apparato
militare birmano che, in ogni modo, cerca di esplicare il proprio controllo sulla genesi e sulla gestione della fragile
Democrazia birmana, gli erano apertamente riconosciute. La sua morte apporta un vulnus profondo non solo al novero dei
più stretti collaboratori di Aung San Suu Kyi, ma all’intero Paese, perché col suo assassinio (mentre teneva in braccio suo
nipote), viene abbattuto uno dei Padri Fondatori della Patria birmana stessa. Avvocato musulmano, esperto in tematiche di
Diritti Umani, ma soprattutto di Diritto Costituzionale, a lungo prigioniero della giunta militare, come Aung San Suu Kyi, per
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/morte-travolge-myanmar/
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di più in una Nazione a forte maggioranza buddhista, Ko Ni era la più autorevole voce che instancabilmente ha, per
lungo tempo, additato le responsabilità dei militari nell’aver creato un clima di terrore nel Paese, dove era
diventato quasi impossibile immaginare di poter costruire la Democrazia. E per un tempo altrettanto lungo era
diventato la voce delle minoranze islamiche del Myanmar, Rohingya in primis, minoranze da tempo perseguitate,
sottoposte a violenze di ogni genere, veri e propri pogrom interni e deportazioni, minoranze reiette e respinte un po’ da tutti
nell’arco dei Paesi Sud Est asiatici, soprattutto il confinante ed islamico Bangladesh, senza dimenticare i respingimenti
forzosi della Thailandia che in tutto questo ha sempre voluto pilatescamente lavarsi le mani. Le violenze ai confini si son
fatte particolarmente aspre quando, nello Stato confinario del Rakhine, ad Ottobre 2016, la comunità Rohingya ha 'osato'
insorgere (attacco ad una locale centrale di Polizia birmana) dopo uno stupro violento ai danni di una giovanissima ragazza
di etnia Rohingya. Tutto questo ha offerto il fianco ad una sommossa che, ancora una volta, i militari hanno voluto
sopprimere a modo loro: col massimo della brutalità e della violenza di cui sono ciecamente capaci. Nyunt Maung Shein,
Capo del Concilio per Gli Affari Religiosi Islamici, non fa troppi giri di parole, per lui l’uccisione di Ko Ni deriva proprio dal
suo operato di alto consigliere legale: «U Ko Nin svolgeva il suo compito di consigliere legale nel periodo di transizione
democratica. Quindi, quel che è accaduto è stato commesso da coloro che non vogliono questa transizione». In un
comunicato stampa dell’NLD, si afferma che Ko Nin era insostituibile nel suo ruolo, «Denunciamo fortemente l’assassinio di
Ko Nin da noi inteso come atto terroristico commesso contro le politiche dell’NLD». E già l’NLD ha dichiarato il
timore che questa uccisione sia solo uno dei potenziali omicidi politici che potrebbero seguire. «Ciò che è
accaduto a Ko Nin potrebbe accadere a qualsiasi altra persona che gli possa essere simile in questo Paese», ha affermato
l’attivista per i Diritti Umani Wai Wai Nu, il quale è egli stesso di etnia Rohingya. «Mi sento così frustrato e atterrito. Mi
sento fortemente preoccupato sul futuro del Paese». Svariati gruppi di attivisti per i Diritti Umani intendono avviare indagini
indipendenti sull’assassinio di Ko Ni. Evidentemente non si fidano di quello che possa acclarare ed ufficializzare sul caso
l’apparato militare che in molti -sussurrando o a microfoni spenti- non considerano affatto alieno all’assassinio.
Charles Santiago, Capo dei parlamentari ASEAN per i Diritti Umani, in un comunicato ufficiale ha scritto. «L’uccisione di
Ko Ni dimostra quale sia la precaria posizione nella quale viene a trovarsi oggi il Myanmar nel momento in cui
cresce la minaccia dell’intolleranza al successo di grandi riforme annunciate. Il pericolo posto dal linguaggio
caratterizzato dall’odio e l’estremismo nazionalista sono minacce reali e bisogna tenerne conto se il Myanmar si muove
verso uno sviluppo grande e profittevole nella democrazia pacifica e vibrante che il suo popolo merita».
di Francesco Tortora
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