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Francesco senza rivoluzione | 1
venerdì 30 dicembre 2016, 18:30
Francesco senza rivoluzione
Le sue invettive ora sembrano grida d’impotenza di fronte alle resistenze passive dei conservatori
di Domenico Barrilà
Quello che succede all’interno della Chiesa cattolica italiana ci tocca da vicino, da noi esiste un intrico tra potere religioso e
civile, che sovente determina ritardi nel procedere della società, vedi tempi biblici della legge sulle unioni civili. Per tale
ragione è doveroso congedarsi dall’anno che se ne va e salutare quello che arriva, gettando lo sguardo su questo complesso
mondo parallelo, scombussolato dalla presenza di un Pontefice singolare, che graffia la realtà situata in modo
diretto, a tratti aggressivo. Le sue invettive, tuttavia, ora sembrano grida d’impotenza, quasi una resa, di fronte
alle resistenze passive e silenziose dei conservatori che, pazienti, lo stanno accompagnando alla porta,
logorandolo con l’indolenza. In occasione dell’incontro per gli auguri natalizi con vescovi e cardinali della Curia, il 'capo' si
è detto scontento di quella parte del 'personale' allergica al cambiamento, che punta i piedi come fanno i muli quando non
vogliono procedere. I tradizionalisti non lo amano e Francesco li frusta con linguaggio da latino istintivo. Usa
immagini forti, chiamando in causa l’arma letale, il demonio, che si aggirerebbe, complice e ispiratore, tra le fila di tanti
consacrati. Si rende conto che ogni giorno che passa è un giorno guadagnato dai frenatori. Quelli espliciti ma
soprattutto quelli silenti, la maggioranza, che fanno finta di remare ma sono solo appoggiati ai remi, i più difficili da stanare.
Le speranze di costoro crescono col procedere inesorabile dei giorni, le ottanta primavere dell’intruso giocano
a loro favore. Dopo si tornerà ai riti curiali di sempre. Parla con toni aspri, Francesco, sa bene che si tratta di lotta
mortale, tra il vecchio, che nella Chiesa è l’eterno presente, e il futuro, a cui in definitiva sono pochi a volere dare spazio,
per non intralciare il passato, la vera stella polare per coloro che amano giocare alla religione, finendo per giocare 'con' la
religione. I tradizionalisti adorano l’attesa, perché in essa trovano giustificazione e potere. Guai se arriva l’eletto e
comincia a fare l’elenco dei veri compiti cui ciascuno dovrebbe attendere. Meglio l’attesa, di gran lunga. Può darsi che
Francesco consideri i tradizionalisti una minoranza, tenace e temibile, ma pur sempre minoranza, tuttavia dovrebbe
domandarsi come mai pochi riescono tenere in scacco la Chiesa, impedendole di fare il salto nel tempo
presente. La verità è che non sono così pochi, e non tollerano interferenze. Come sempre, il Papa argentino non bada
alla diplomazia, uno che si è misurato con una dittatura sanguinaria vede certi palloni gonfiati della curia alla stregua di
bambini viziati. Fa rotolare macigni, Francesco, parla di «resistenze nascoste» di «gattopardismo spirituale di chi a parole si
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/francesco-senza-rivoluzione/
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dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima». Racconta di «menti distorte». Non certo parole natalizie,
tantomeno espressioni consuete. Niente a che vedere con le bamboline di Norimberga del recente passato. Eppure,
l’inquietudine rivoluzionaria del Papa morde il freno, tuoni a cui forse non seguiranno fulmini, cambiamenti concreti.
Lo stesso sinodo sulla famiglia si è risolto in qualche lieve spostamento di accenti, anche le modalità del suo svolgimento
sono apparse disancorate dalla realtà, con le coppie presenti e i laici tenuti in posizione periferica, perché i consacrati non
mollano un centimetro del loro potere. Il Papa dice che donne e laici debbono assumere posizioni centrali nella
Chiesa, ma i giovani consacrati tremano e le cariatidi si aggrappano al mantra dell’obbedienza, tutti preoccupati
per la possibile diminuzione del loro status. Figurarsi cosa accadrebbe se Francesco mettesse mano all’unico
argomento che può fare davvero la rivoluzione, il celibato dei preti, oggi nulla più che una finzione, una leggenda
metropolitana. È bastato che nelle scorse settimane si recasse a visitare una comunità di sacerdoti sposati a Roma, perché
si scatenasse il chiacchiericcio tra i consacrati, «Ecco, va a trovare quelli e di noi se ne frega!», mi fa sapere uno di loro. La
questione del celibato dei sacerdoti è un tema ineludibile, assorbe energie enormi, come accade in qualsiasi campo
quando si cerca di negare l’evidenza, sennonché nel caso specifico la posta in gioco è altissima. Ne aveva fatto cenno, nel
corso dell’ultimo sinodo europeo cui aveva partecipato, il Cardinale Carlo Maria Martini, attirandosi critiche feroci.
Chiedeva che almeno se ne parlasse, ma tra coloro che sperano in soluzioni spontanee dei problemi, questo aveva creato
allarme. Nella Chiesa le decisioni importanti le assumono persone anziane oppure uomini potenti, gratificati dal
potere e disinteressati ai cambiamenti. Spesso in pace coi loro sensi e poco disposti ad accordare ad altri diritti
(naturali) che ad essi furono negati. L’ombelico del mondo è il loro ego. Gli inquieti di un tempo, assurti alle cariche
agognate, diventano conservatori, ora che il giocattolo è conquistato meglio tenerlo così com’è, non si sa mai. Essere
gratificati dal potere è un’esperienza esaustiva, soprattutto se si è affetti dal grande morbo, il narcisismo, sovrabbondante
anche tra i collaboratori più stretti del Papa, che su questo punto preciso sembra scontare qualche sintomo di cecità
selettiva. Impossibile, dunque, anche solo alzare il velo che copre il macigno del celibato, che grava su una miriade
di persona in carne e ossa, non in grado di rispettare l’impegno assunto, per la semplice ragione che si tratta di un contratto
insensato e disumano, giustificato dalla tradizione, coperchio per quelle pentole che nella Chiesa borbottano più
rumorosamente. Il risultato è che molti dei contraenti sono costretti a vivere il proprio sacerdozio tra inutili sensi di colpa e
fatiche ingiustificate, perdendo la faccia, perché il pettegolezzo nelle comunità dei consacrati è caustico, e smarrendo anche
quella gioia, quell’entusiasmo, alla radice di una missione tanto complicata, dove il senso e il committente sono invisibili (e
non solo agli occhi) mentre i rischi e i tormenti sono altissimi. Ma questo ai tradizionalisti non importa, ognuno faccia come
crede, l’importante è che non tocchi le pedine del gioco. Francesco passerà, resteranno le piaghe che stanno
uccidendo il genio del fondatore del cristianesimo, e rimarrà l’Istituzione, perché fino a quando ci sarà potere
da contendersi i pirati non scenderanno dalla nave, anzi la ripuliranno dai clandestini. Il Pontefice attuale è solo il più
vistoso.
di Domenico Barrilà
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