trump, indietro tutta nel solco del “politically correct”.

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Transcript trump, indietro tutta nel solco del “politically correct”.

TRUMP, INDIETRO TUTTA NEL SOLCO DEL “POLITICALLY CORRECT”.
Il Presidente eletto Trump continua il suo cammino di avvicinamento alla Casa Bianca sull’onda
del “Politically Correct”. Dalla sera stessa in cui il candidato ha preso coscienza della
vittoria, i toni aspri e sprezzanti della campagna elettorale hanno lasciato spazio a
riflessioni e atteggiamenti inediti, senza dubbio più moderati. Già nel momento in cui il
45esimo Presidente degli Stati Uniti ha incontrato Obama alla Casa Bianca, l’atteggiamento
mostrato davanti alle telecamere era ben diverso rispetto a quel piglio sprezzante che ha
caratterizzato tutta la sua ascesa politica. In quel momento egli aveva una disposizione più
accondiscendente verso chi non gli chiudeva la porta in faccia, ma cercava di venirgli
incontro. Obama in quell’occasione, pur con un’espressione lontana dall’essere serena, ha
fatto presente al futuro inquilino di Pennsylvania Avenue che farà di tutto per facilitare la
transizione, mettendo tutto il suo team di collaboratori a sua disposizione per far sì che
questo accada. Trump, davanti a tale apertura, ha avuto parole d’elogio nei confronti
dell’attuale Presidente (he is a very good man): una drastica retromarcia se si pensa che lo
aveva sempre considerato quale peggiore Presidente degli Stati Uniti e aveva più volte messo
in dubbio il suo certificato di nascita (solo chi nasce nel territorio statunitense può essere
eletto Presidente ndr). Nello stesso incontro Obama aveva illustrato, fra l’altro, quali
fossero i risultati raggiunti dall’Obamacare, la riforma sanitaria osteggiata dai Repubblicani
e da alcune lobby. Anche in questo caso Trump aveva lasciato spiragli aperti e, qualche giorno
più tardi, confermava che l’impianto della riforma avrebbe potuto rimanere pressocché tale.
In questi ultimi giorni tutti i vessilli della campagna elettorale sembrano sciogliersi come
neve al sole. In un’intervista al New York Times il multimilionario fa una parziale marcia
indietro su molti temi, ad iniziare dalla protezione dei confini col Messico, dove il muro si
è ora trasformato in “a fence” ovvero una rete, passando per l’accordo sul clima di Parigi per
il quale è «aperto» a trovare un’intesa, ammettendo (smentendo le sue teorie espresse nella
campagna elettorale) che vi è una correlazione tra il riscaldamento globale del Pianeta e le
azioni dell’uomo. Il futuro Presidente ha anche avuto parole di riguardo per i Clinton «che
non voglio ferire» visto che Hilary «ha già sofferto abbastanza in molte maniere».
Qualcuno potrebbe obiettare che tutte queste esternazioni sarebbero frutto di una condotta
studiata a tavolino con il suo entourage, ma, conoscendo l’uomo, si può supporre che egli
stesso non sia in grado di gestire così bene le sue esternazioni, spingendosi a tal punto.
Abituato ai recenti veleni e alle bordate provenienti sia da parte dei democratici, con in
testa Hilary Clinton, sia dalla quasi totalità dei repubblicani che hanno fatto di tutto per
ostacolare la sua ascesa, Trump si è sentito per la prima volta, se non altro, preso in
considerazione. Donald Trump non è un politico, è un uomo che cerca affinità personali ancor
prima di quelle politiche; basti pensare alla liaison con Putin e alla moderata apertura al
dittatore nordcoreano Kim Jong Un col quale, parole sue, non avrebbe alcun problema a
parlarci. Anche da questo si evince una evidente inesperienza politica insieme ad un approccio
alle cose, a voler essere comprensivi, sui generis.
Tutta la retorica in chiave anti Nato, secondo cui gli Stati Uniti non dovrebbero intervenire
automaticamente se uno Stato membro fosse attaccato, sembra ormai svanita. Durante la campagna
elettorale Trump aveva affermato che se il Giappone (che non fa parte della NATO, ma ha
accordi bilaterali in campo militare con gli USA) avesse ingaggiato una guerra con la Corea
del Nord, il suo Paese non sarebbe intervenuto in soccorso dell’alleato. Perché? Perché nel
caso in cui si verificasse un attacco agli Stati Uniti, da parte di qualsiasi avversario, il
Giappone non potrebbe intervenire per vincoli imposti dalla sua Costituzione. In più,
l’imprenditore statunitense ha sempre accusato Tokyo di giocare sporco ribassando lo Yen per
favorire l’export. Ebbene, è appena bastato vedersi con il Primo Ministro nipponico per avere
“un incontro franco e cordiale” tanto da spingere il Primo Ministro Abe ad affermare che Trump
è un leader “affidabile”. Per il futuro inquilino della Casa Bianca l’incontro ha messo le
basi per “una grande amicizia”. Ancora una volta l’hanno fatta da padrone i rapporti
personali.
Ma che cosa succederebbe se qualcosa dovesse andar storto e il Presidente non dovesse avere
affinità con altri suoi omologhi? Sarebbe davvero un problema per il suo mandato, il carattere
così imprevedibile? Troppo presto per dirlo, impensabile giudicare adesso. Una risposta,
attualmente, non l’avrebbe neanche Donald.