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Giovedì 13 Ottobre 2016
13
I due antagonisti per la corsa alla Casa Bianca. Un quarto degli elettori avrebbe già votato
Si stanno scannando per niente?
E i dibattiti tv, come in Italia, non spostano le masse
da Washington
ALBERTO PASOLINI ZANELLI
U
n po’ da piangere,
molto da preoccuparsi e, per fortuna,
anche un pochino
da ridere.
È lo spettacolo multidimensionale che la campagna
presidenziale americana offre, senza che nessuno glielo
avesse chiesto. Diciamo campagna elettorale per mantenere una continuità almeno
nelle denominazioni, perché
una campagna elettorale
così, in realtà, si era vista
qualche volta in remoti Paesi
dell’America Latina, ma mai
negli Stati Uniti.
Il povero Lincoln, che
già diverse settimane fa era
stato dipinto in una vignetta come in lacrime sul trono
di pietra del suo monumento
a Washington, non avrebbe
certo motivo di asciugarsi
le lacrime: sarebbe disperato. Senza contare i tormenti
che proverebbero tanti suoi
colleghi del passato, da George Washington a Ronald
Reagan, così spesso citato
quest’ultimo nei comizi repubblicani.
Il resto è teatro, con
numerosi protagonisti.
Hillary Clinton e i suoi
fedeli reagiscono a una frase buttata là da Donald
Trump nell’ultimo dibattito, l’auspicio che lei finisca
in galera, immaginando e
denunciando un progetto
del genere che il candidato
repubblicano metterebbe in
atto se fosse eletto, stravolgendo così le garanzie della
Costituzione americana.
Bisogna eleggere Hillary, in sostanza, per evitare
un colpo di Stato. Risponde
Trump promettendo guerra
totale: adesso che i repubblicani mi hanno scaricato
e dunque mi hanno tolto i
ceppi, potrò finalmente cominciare a combattere per
l’America a modo mio.
Ma la Clinton ha alzato
ulteriormente i toni, definendosi «l’ultimo baluardo
tra voi e l’Apocalisse».
Più in concreto Trump
ha denunciato per l’ennesima volta irregolarità,
scorrettezze (e probabilmente reati) commessi da
Hillary quando era Segretario di Stato (quelli rivelati da Wikileaks) e in più,
di nuovo, le misure illegali
durante la campagna delle
primarie democratiche per
impedire la vittoria del concorrente Bernie Sanders.
Quest’ultimo probabilmente condivide l’accusa,
ma ci tiene a mostrare la
propria lealtà di partito
e quindi spende le poche
parole necessarie confermando il suo appoggio alla
Clinton.
Fra i repubblicani,
i n v e c e, c o n t i n u a l a
diserzione in massa
con qualche perplessa
eccezione: Ted Cruz,
l’ultimo e più accanito
avversario di Trump
nelle primarie, ha confermato che continuerà ad appoggiarlo, per
un unico e allarmante
motivo: «Perché Hillary Clinton sarebbe un
disastro totale».
Non così il leader del
partito al Senato, Paul
Ryan, che ha concesso
un’intervista telefonica
in cui ha cercato di salvare capra e cavoli, meritandosi una risposta
sferzante da Trump che
si è detto «imbufalito
per la sua slealtà».
Fin qui le battute da
commedia. Ma il record
del tono apocalittico spetta
a uno straniero teoricamente estraneo, l’Alto commissario all’Onu per i Diritti
Umani, che ha denunciato
Trump come un «pericolo
internazionale» per alcune
sue frasi particolarmente
insidiose.
I l c o m m i s s a r i o, Z e i d
Ra’ad Al Hussein, è un
principe giordano e parla
dunque dal Medio Oriente.
Sono invece i discorsi di Hillary Clinton a inasprire, a
quanto pare, le relazioni già
Vignetta di Claudio Cadei
tese con la Russia.
I suoi portavoce accusano il Cremlino di avere
organizzato lo «spionaggio
telematico» della sua corrispondenza e delle manovre
dell’apparato contro Sanders.
Una aggiunta piccante
ma in sé secondaria alla
tensione crescente causata
dalla posizione di Washington sulla crisi siriana.
E gli elettori che cosa
ne pensano? È inevitabile che essi tengano conto
delle gaffe, degli infortuni
e delle accresciute debolez-
ze di Trump, anche se non
prendono troppo sul serio la
scelta dell’arma per abbatterlo, il suo lessico sessuale.
Lo deplorano ma non considerano questo difetto decisivo nella loro scelta.
I sondaggi variano: i più
attribuiscono alla Clinton
un vantaggio oscillante fra
gli 8 e i 6 punti percentuali. Quello del Los Angeles
Times rileva, invece, i concorrenti esattamente alla
pari: 44 per cento a testa,
con parecchi indecisi.
Ma queste indicazioni
potrebbero essere futili se
si tiene conto della
realtà: che la legge
elettorale americana consente che si
voti anche prima
del giorno delle elezioni.
Una tentazione
particolarmente forte, insorta otto anni
fa con l’entusiasmo
di votare per la novità Obama e che, a
quanto pare, è diventata un’abitudine.
C’è chi pensa
che un elettore su
quattro abbia già
votato e che altri
seguano, essendosi
già fatta un’opinione
e dunque senza più
ascoltare comizi e
dibattiti, nonostante
il loro tono parossistico.
Ma neanche questo è un
record: né la Clinton né
Trump si sono scambiati,
finora, gli epiteti che toccarono nella campagna elettorale del 1824, al candidato
democratico Andrew Jackson: lo definirono «assassino, adultero e cannibale».
Il povero Trump si limita per ora ad essere raffigurato, in una vignetta sul
New York Times, intento a
tastare il sedere alla Statua
della Libertà.
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© Riproduzione riservata
IPNOTIZZATA DAL MODELLO DIESEL CHE ALLORA ERA IMPERANTE IN EUROPA E OGGI AGONIZZA
La Fiat era più avanti della Toyota
nelle automobili ibride, ma poi lasciò perdere
DI
A
CORRADO CLINI*
ll’ultimo Salone dell’Auto
di Parigi la Volkswagen ha
presentato la strategia e i
modelli del presente e futuro elettrico dell’auto. VW punta
a diventare entro i prossimi anni
il maggiore produttore mondiale di
veicoli elettrici. Il salone di Parigi
segue di qualche settimana l’accordo
di VW con Anhui Jianghuai Automobile Company (JAC) per la produzione in Cina di auto elettriche a
basso costo a partire dal 2020. La
Germania vuole lo stop alle auto a
diesel al più tardi nel 2030, ma potrebbe arrivarci prima.
È trascorso appena un anno da
dieselgate e siamo in un’altra era.
La svolta a «U» di VW è il simbolo
più concreto della mancanza di visione e degli errori europei: venti anni
fa la Ue, evidentemente «guidata»
dalle grandi case automobilistiche
europee a partire da quelle tedesche,
ha puntato sul diesel considerato la
migliore opzione tecnologica per la
cosiddetta «fuel economy».
E come il dieselgate ha dimostrato, abbiamo introdotto nel 2007
un modello europeo «autoctono» di
omologazione che ha consentito di
truccare le carte sulle effettive emissioni dei veicoli.
Si dirà: meglio tardi che mai.
Certo, ma intanto l’industria automobilistica europea deve rincorrere
le industrie automobilistiche giapponesi e cinesi, e le nuove iniziative negli Usa, per avere un ruolo nel
mercato prossimo futuro dell’auto
a emissioni zero che è destinato ad
esplodere anche per la pressione di
nuove normative a cominciare da
quelle europee.
La supponenza negli anni 90
dell’industria automobilistica europea nei confronti delle auto ibride
della Toyota (che ha Parigi ha presentato l’auto a idrogeno che produce elettricità mentre è parcheggiata), e quella più recente verso Tesla
presentano il conto.
Un conto salato, che riguarda anche l’Italia.
Una ventina di anni Fiat aveva
realizzato, con un finanziamento
pubblico, una flotta sperimentale
di «Multipla Ibrida». Per sostenere il progetto il Parlamento aveva
approvato un incentivo all’acquisto
del 60% . La Multipla aveva performances migliori della Toyota Prius
ibrida: ma alla fine degli anni ‘90 la
casa torinese decise che non c’era
mercato per questo tipo di veicolo
e lasciò perdere. Stessa sorte per i
prototipi, finanziati dal Ministero
dell’Ambiente, di auto elettrica e a
fuel cells.
E nel 2010 il governo italiano aveva firmato un accordo con quello cinese per la promozione congiunta
dell’auto elettrica.
Ma nel 2012 fui costretto a
spiegare al governo cinese che la
Fiat non intendeva costruire una
linea per l’auto elettrica nel nuovo stabilimento di Changsha, nonostante l’importante contributo
finanziario previsto dalla Cina per
lo sviluppo del progetto.
Oggi è un’altra era. Le scelte di
Volkswagen e degli altri produttori
tedeschi da Bmw a Mercedes verso
le auto elettriche e ibride plug-in,
«contestuale» alle nove regole che
la Ue prevede di introdurre entro
il 2020 per limitare fino all’eliminazione i veicoli a diesel e benzina, indicano i contorni del mercato
europeo del prossimo decennio, nel
quale avranno spazio solo le imprese capaci di oggi di investire nell’innovazione per uscire dall’economia
del petrolio.
* già ministro dell’ambiente