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Giovedì 10 Novembre 2016
PRIMO PIANO
Anche Reagan fu a lungo presentato dai media Usa solo come un attore incapace e di serie C
Bocciato il club dei mandarini
Il voto è contro il nihilismo delle classi dirigenti
DI
GIANFRANCO MORRA
P
rima un cattolico, poi
un nero, ora una donna
(preferita a un ebreo).
Niente da obiettare, lo
esige la democrazia, in nome
della eguaglianza. Kennedy,
primo e unico cattolico, andò
alla Casa Bianca solo nel 1961
dopo 34 presidenze Wasp, Obama nel 2009. In una America
tanto cambiata rispetto a quella dei Pilgrim Fathers la Clinton sperava di farcela, dopo 44
presidenze di sesso maschile,
invece ha fatto flop.
Gli Stati Uniti, nel 1776,
furono fondati dai Wasp:
Bianchi (White), anglo-sassoni (Anglo-saxon) e protestanti
(Protestant). I cittadini delle
13 colonie uniti per ottenere
l’indipendenza erano inglesi di
lingua, cristiani riformati di religione, permeati dei valori politici britannici (rispetto della
legge, responsabilità dei governanti, diritti degli individui),
animati da un’etica del lavoro
che, come nel calvinismo, collegava i successi dell’imprenditore alla predestinazione divina. Non a caso sul dollaro è
scritto: «confidiamo in Dio» (in
God we trust). E la parola Dio
è la prima nella «Dichiarazione
d’indipendenza».
In altre parole, l’America
aveva una cultura anglosassone prevalente o meglio era una
nazione fondata sulla religione
come forza trainante della politica. Più di tutti lo capì Tocqueville, nel suo viaggio negli
Usa del 1831. La religione e lo
Stato erano separati, ma si
permeavano reciprocamente:
«Lo spirito di religione era ammirabilmente combinato con lo
spirito di libertà; l’America è il
paese del mondo in cui la religione cristiana ha conservato
il maggior potere sulle anime»
(La democrazia in America, I,
2, 9). Era naturale che in questa unità culturale emergessero difficoltà a partire dalla
seconda metà dell’Ottocento,
quando l’enorme sviluppo industriale degli Stati Uniti sollecitò una vasta immigrazione
di popoli e razze diverse. Gli
Stati Uniti divennero sempre
più una nazione multirazziale
e multiculturale, che rispettava le diverse identità degli
immigrati, ma solo dentro il
primato del «credo americano»
anglo-protestante.
La vera trasformazione
degli States avvenne nella
seconda metà del Novecento.
Che non fu solo prodotta da
una massiccia immigrazione
dal Centroamerica, ma da una
rivoluzione culturale che mise
in discussione tutta la precedente morale sociale. Per la
prima volta, gli immigrati hanno rifiutato l’integrazione e si
sono costituiti come comunità
americane solo perché arrivati
negli Stati Uniti. Questo rifiuto della americanizzazione da
parte dei nuovi immigrati ha
trovato un forte appoggio nel
predominio dei radicali (liberals) nella élite intellettuale,
nell’ istruzione e nei massmedia. Essi sono riusciti a
produrre una decostruzione
della identità americana (lingua inglese, cultura tradizionalista) e a favorire il trionfo
delle identità subnazionali.
Negli anni Ottanta, durante
le due presidenze di Reagan,
gli Usa hanno assistito ad un
revival religioso e tradizionalista, ben presto soffocato dal
prevalere del multiculturalismo e dell’indifferentismo.
Che, però, è più una fiction che un reality. Tutta la
casta degli «intelligenti» ha
appoggiato la Clinton e attaccato violentemente Trump,
ha diramato sondaggi elettorali addomesticati. Ma tra
questa casta di mandarini
e la gente c’è un abisso. Gli
elettori non li hanno creduti
e hanno votato nel senso di
un recupero della tradizione
americana (Make America
great again). Al linguaggio
moderato ma ingannatore, al
politically correct della donna
INDISCREZIONARIO
DI
PUCCIO D’ANIELLO
“Mia figlia che finisce un dottorato e insegna
in California si è messa a lavorare da volontaria in una phone bank pro-Hillary: telefona a
liste di donne per raccomandarsi che vadano
al seggio martedì”. Parole di Federico Rampini, corrispondente dagli Stati Uniti per il
quotidiano la Repubblica, pubblicate la scorsa
settimana. Sarà per questo che Rampini senior
ha sempre trattato malissimo Donald Trump
e non ha informato i lettori di come stava andando davvero la campagna elettorale?
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Per Jas Gawronski è sempre tempo di
dolce vita. Anche per questo ieri sera ha
partecipato a Roma, nelle sale di palazzo
Rospigliosi Pallavicini, alla presentazione
del rapporto di sostenibilità d’impresa di
Ferrero, leader del mondo dolciario. Per il
ceo Giovanni Ferrero, «essere un gruppo
globale non ci impedisce di agire localmente mantenendo così il forte legame con le
Persone e il territorio in cui operiamo. Ciò è
dimostrato anche da una particolare attenha mostrato Niall Ferguson
in Colossus. Ascesa e declino
dell’impero americano, Mon-
Vignetta di Claudio Cadei
hanno preferito quello sfrontato ma schietto dell’uomo. Gli
elettori di Trump non hanno
solo espresso il malessere di
alcune classi sociali penalizzate dalla globalizzazione, ma
anche il rifiuto del nichilismo
amorale e narcisistico della intellighenzia.
Tocqueville aveva osservato che gli Stati Uniti «sono
nati uguali, non hanno dovuto
diventarlo». Questa unità era
retta dal primato della lingua
inglese, della religione protestante e della civil religion (in
una parola l’«american creed»).
Proprio le tre cose che le teste
d’uovo hanno cercato di tacitare, tanto che gli Usa appaiono
oggi come un insieme multicolore di etnie e tradizioni
diverse, largamente privo di
identità nazionale. Una crisi
oggi evidente per almeno tre
ragioni.
Anzitutto gli Usa hanno gradualmente perduto
il loro ruolo imperiale (come
dadori, 2006). Non hanno più
l’egemonia e non sono più il
gendarme del mondo. Rimangono una potenza globale, ma
indebolita da errori grossolani
di geopolitica in Iran, Afghanistan, Siria e Libia, dove hanno
condotto guerre costosissime e
prive di utili risultati. Oggi appaiono tentati da un isolazionismo che li indebolirà ancora di
più. La nazione che ha avuto
il merito di sconfiggere Hitler
zione alla mitigazione del cambiamento climatico: a settembre 2014 il gruppo Ferrero
ha sottoscritto un accordo che prevede come
obiettivo di dimezzare la deforestazione entro il 2020 e di bloccarla definitivamente
entro il 2030». Numerosi i punti di forza
evidenziati: qualità, innovazione, cura delle persone, sostegno delle comunità locali,
comunicazione trasparente, promozione di
stili di vita attivi tra i giovani e le famiglie,
forte impegno verso pratiche agricole sostenibili e salvaguardia dell’ambiente.
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È stato assegnato a Parsitalia Real Estate il
premio Urbanistica 2016 per la realizzazione
del “Masterplan di San Berillo”, un progetto
di riqualificazione di un’ampia area urbana
nel cuore di Catania. Il riconoscimento è stato
consegnato a Luca Parnasi, presidente di Parsitalia, nell’ambito della giornata di apertura di Urbanpromo 2016, la rassegna in corso
alla Triennale di Milano dedicata a smart city,
trasformazione e rigenerazione urbana, social
housing, marketing urbano, programmazione
europea, energie e sostenibilità.
e Stalin non è più «sopra» le
altre, ma «insieme» a tante
altre.
In secondo luogo la morale sociale è stata largamente dissolta e sono emerse
condotte contrarie, non solo
alla religione, ma anche alla
morale naturale. Questo scivolamento verso l’individualismo amorale, tipico di tutti i
paesi industrialmente evoluti,
appare fortemente presente
anche negli Usa, come ci mostra la crescita, testimoniata
anche dalle statistiche, di condotte distruttive delle persone
e delle famiglie: criminalità,
tossicodipendenza, crisi della
famiglia, ragazze madri, alle
quali si risponde legalizzando
gli stessi mali sociali che non
si riesce ad arginare (spinello
ricreativo libero, nozze gay,
aborto senza limiti).
In terzo luogo la degradazione della politica mostrata ad abundantiam dalla
campagna elettorale più avvelenata della storia. Tutti i poteri forti già avevano tentato
di far fuori nel 1980 un altro
Donald, presentando Reagan
come un attore mediocre e incapace di fare politica. Ora si
sono scatenati contro Trump,
chiamato dispregiativamente
«tycoon» e presentato come un
violento e rozzo selvaggio. Lui
ha risposto sullo stesso piano.
Il dibattito fra i due candidati
solo raramente ha offerto delle
indicazioni programmatiche e
si è troppo spesso riferito ad
argomenti squallidi e volgari con lo scopo di degradare
l’avversario: «Lo sapete cosa
faceva Ronald alle donne? e
come Hillary usava le mail?».
Tanto che l’elettorato, più che
scegliere tra due proposte più
o meno valide, ha cercato di
capire da chi avrebbe patito il
male minore.
Se ha premiato Trump è
perché ha capito che Hillary
era la continuità con una linea
politica, quella di Obama, disgregativa dei valori autentici
della convivenza americana. È
stato un voto di protesta contro
il sinistrismo di maniera, che
ha espresso una nostalgia per
i valori di sempre della cultura
americana: rispetto della persona, eguaglianza di partenza,
lavoro e merito, libertà guidata
dal dovere. Dio, Patria e Famiglia negli Stati Uniti non sono
ancora parole proibite. Aveva
ragione John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti:
«La nostra Costituzione è fatta
soltanto per un popolo morale
e religioso».
© Riproduzione riservata
La telefonata misteriosa a Mentana
E comunque, alla fine di queste scoppiettanti elezioni americane, mi resta un
interrogativo. Dopo essermi sciroppato su
La7 tutta la maratona notturna di Enrico Mentana, mentre Mario Sechi compulsava in diretta sul pc per calcolare le
combinazioni dei grandi elettori e capire
se Hillary Clinton potesse recuperare,
quando ancora qualche stato decisivo era
sul filo, il Mentana nazionale (forse preso
dalla stanchezza) attorno alle cinque e
mezza - sei del mattino sbotta: «Basta,
ho ricevuto una telefonata importante.
È andata».
Da quel momento, la trasmissione, impegnata a narrare le capacità di recupero
della Clinton, inverte la rotta. E inizia
a spiegare il successo di Trump, le cui
ragioni fino ad allora non avevano avuto
cittadinanza. Di chi era quella telefonata? Ah, saperlo…
Luigi Chiarello