ECHI DEL PASSATO: PROGETTI ALLA CASA D`ITALIA – di

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ECHI DEL PASSATO: PROGETTI ALLA CASA D’ITALIA – di Francesco Veronesi
TORONTO\ aise\ - ““Gli italiani di Toronto riavranno la loro Casa d’Italia”. È questo il titolo di apertura del primo numero del
Corriere Canadese, pubblicato il primo giugno 1954. Nell’articolo del giornale si racconta con dovizia di particolari come il
governo canadese, guidato dall’allora primo ministro Louis Stephen St. Laurent, avesse accettato in linea di massima di
restituire la proprietà sita al 136 Beverley Street di Toronto. Una proprietà acquistata nel 1936 per utilizzarla come sede del
consolato italiano, poi confiscata dal governo canadese dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940”. Così scrive
Francesco Veronesi sul “Corriere canadese”, quotidiano che dirige a Toronto.“Dopo l’espropriazione, la Casa d’Italia venne
utilizzata come caserma dell’Rcmp, fino alla restituzione che venne poi completata il 6 luglio 1955. A partire dal 1979, la
proprietà tornò a ospitare il consolato generale d’Italia.A volte è davvero strano come gli echi di un lontano passato possano
tornano a farsi sentire, allacciando tra loro i fili di vicende che ormai appartengono alla storia con fatti e temi di stretta
attualità.In questi mesi, infatti, a quasi sessantadue anni da quell’articolo apparso sul primissimo numero del Corriere
Canadese, si discute sulla possibilità di risviluppare la proprietà che sorge al 136 di Beverley Street. Un’idea non nuova
peraltro, già esplorata a più riprese in passato e sempre abbandonata dopo un’attenta valutazione.Lo scorso ottobre, il
consolato generale d’Italia e la CIBPA (Canadian Italian Business and Professional Association) hanno annunciato la loro
intenzione di passare al vaglio, ancora una volta, la possibilità di sviluppare il terreno in questione. E per farlo, hanno nominato
una commissione presieduta dall’ex giudice della Corte Suprema Frank Iacobucci, invitando gli italocanadesi a partecipare a
delle consultazioni pubbliche per cercare di carpire gli umori della comunità su questo tema. Per ora non ci sono stati nuovi
sviluppi.L’articolo del 1954. Ma cosa ci racconta il pezzo di apertura del primissimo numero del Corriere Canadese? L’articolo
ha un valore storico, perché rappresenta uno spaccato delle difficoltà vissute dalla comunità italocanadese nel secondo
dopoguerra. Dal febbraio del 1954 - si legge - Joe Carrieri e Sam Sorbara (rispettivamente presidente e vice presidente della
Federazione delle Associazioni Italocanadesi) avevano fatto numerosi viaggi a Ottawa, incontrandosi con esponenti del
governo, per arrivare a un accordo sulla restituzione della Casa d’Italia.Poi la situazione venne sbloccata grazie all’intervento
diretto del primo ministro St. Laurent: la casa veniva affidata a un gruppo di tre fiduciari (Carrieri, Sorbara e Venchiarutti) che si
impegnarono a versare un assegno di 40mila dollari per la restituzione della proprietà. La restituzione, tuttavia, non sarebbe
stata immediata.In una lettera consegnata allo stesso Sorbara, l’allora ministro della Giustizia Stuart Sinclair Garson spiegava
come il governo canadese - pur confermando quanto ribadito agli esponenti comunitari - si trovava nell’impossibilità di restituire
subito la Casa d’Italia: l’Rcmp doveva sgombrare i locali, e non l’avrebbe fatto prima del 9 febbraio 1955. Pertanto l’assegno
veniva restituito, ma l’accordo di massima sarebbe rimasto in vigore fino al passaggio di proprietà. Che poi - ma questo
ovviamente l’articolo non può dircelo - sarebbe avvenuto poco più di un anno dopo da quello storico primo numero del Corriere
Canadese, il 6 luglio del 1955.Erano altri tempi. La nostra comunità era unita, andava compatta verso una sola direzione,
parlava con una voce sola. E il coinvolgimento di tutti era la premessa ineludibile di ogni decisione di grande importanza.La
chiusura del pezzo, con il linguaggio pomposo dell’epoca, non ha bisogno di ulteriori commenti. “La discussione si protrasse
per diverse ore data l’ampiezza del problema e praticamente tutti i dirigenti delle Organizzazioni presenti presero parte al
dibattito. Venne raggiunto l’accordo che tutti i membri delle varie organizzazioni sarebbero stati informati dando modo a tutti di
discutere la situazione prospettando delle soluzioni. Nel frattempo - onde non perdere tempo prezioso - fu deciso di rinnovare il
mandato al comitato esecutivo per mantenere i necessari contatti e per studiare i piani perché la Casa d’Italia ritorni alla
comunità senza ulteriori ritardi”. Sì, erano proprio altri tempi”. (aise)