Rassegna Stampa 14 Ottobre 2016

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Transcript Rassegna Stampa 14 Ottobre 2016

Cod.: IL.1-Mod.1
Rev. 1
MODULO
Via Fissiraga, 15 - 26900 Lodi
RASSEGNA STAMPA
Ufficio per le Relazioni
con il Pubblico
e Servizio Accoglienza
Data: 24/05/2016
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rassegna stampa
14 Ottobre 2016
IL CITTADINO
•
Pulizia delle mani e salute: una giornata in ospedale
•
Tumore, un ricordo di 10 anni fa
IL GIORNO
Responsabile del procedimento:
Referente del procedimento:
Dott. Davide Archi
Maurizio Pancerasa
℡
℡
2145
2975
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Pulizia delle mani e salute: una giornata in ospedale
“Io mi lavo le mani, e tu? Così diciamo stop ai microbi”. Il 15 ottobre
è la giornata mondiale della pulizia delle mani. L’Asst e il servizio di
igiene ospedaliera diretto da Marco Ferrari, organizzano una giornata
ad hoc davanti alla farmacia, al piano rialzato dell’ospedale Maggiore.
L’équipe dell’ospedale di Lodi allestirà una speciale scatola,
denominata glove station. Grazie ad una lampada ad Uv, inserendo le
mani all’interno i passanti riusciranno a vedere la quantità di microbi
presenti sulle loro mani. Dopo essersi lavati con acqua e sapone, si
accorgeranno della differenza. A tutti i passanti, inoltre, sarà donato
anche un kit con del sapone. Acqua e sapone sono uno dei sistemi più
economici per tenersi alla larga dalle malattie: da quelle meno gravi e
più diffuse, come il raffreddore, fino a quelle più complicate. La
giornata mondiale sulla pulizia delle mani (Global Handwashing Day)
si celebrata in 70 paesi dei 5 continenti, con l’intento di mobilitare e
motivare in tutto il mondo milioni di persone. «Lavare le mani con il
sapone è una delle misure più efficaci ed economiche per prevenire le
malattie infettive trasmissibili - annota Ferrari -. È in questa ottica
che l’Asst, in collaborazione con la ditta Ecolab, promuove la
campagna di sensibilizzazione sull’argomento. A tutti i partecipanti
verrà offerto un flacone di antisettico tascabile gentilmente offerto
dalla ditta Ecolab. Avere le mani pulite significa semplicemente
limitare la diffusione di microorganismi patogeni come virus e batteri.
Il lavaggio delle mani è una misura di prevenzione fortemente
raccomandata per evitare la trasmissione del virus influenzale.
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Cancro, adesso mi salvo anch’io
Domenico Dominoni, 68 anni, di montanaso, racconta la sua vicenda dal
momento del primo controllo, ora i medici ospedalieri gli hanno detto che
non ha più bisogno di loro
Tumore, un ricordo di 10 anni fa
di Cristina Vercellone
«La ricetta per uscire dal tunnel è restare tranquilli. Il cervello incide molto
nell’esito positivo della malattia»
Sono passati 10 anni da quel terribile giorno. Il giorno dell’intervento
per un cancro all’intestino. Domenico Dominoni, 69 anni il prossimo
novembre, ce l’ha fatta e proprio in questi giorni è stato “licenziato”
dai medici dell’ospedale. “Basta - gli hanno detto -, non hai più
bisogno di noi. Per i controlli di routine rivolgiti pure al tuo medico di
base; per noi sei fuori pericolo”. A Montanaso, dove vive con la
moglie
Antonia
Parabiaghi,
nessuno
sapeva
della
sua
malattia. «Le persone con le
quali mi sono confidato si
contano sulle dita di una mano.
Ho affrontato tutto con estrema
serenità: non volevo che la
gente mi fermasse per la
strada, mi compatisse o mi
desse già per morto». Così
Dominoni è stato zitto. «Non ne
ho fatto un dramma», ammette. Lui ha cercato di minimizzare e un
po’ anche di tutelarsi. E quando parla del suo passato non pronuncia
mai neanche una volta la parola “tumore”. Parla sempre di
“problema”. Un semplice problema. Che ora, grazie a Dio, dice la
moglie,è superato. Lei, infatti, lo ammette: ha avuto davvero paura:
«Non ricordo il giorno dell’intervento - spiega -, l’ho rimosso, ma è un
meccanismo di difesa. So solo che la fede mi ha aiutata molto a
superare questo momento». Ci spiega come è iniziata la sua
avventura? «Era la primavera del 2006 -racconta -, l’Alao, a cui sarò
per sempre grato, organizzava delle colonscopie gratuite di
prevenzione. Ho deciso di partecipare e subito, dal primo esame, è
emerso che c’era un problema. Ne ho fatto un secondo nel giro di
breve tempo. Speravo di riuscire a togliere la parte malata in
quell’occasione. Così hanno fatto, ma non sono riusciti a eliminare
tutto. Così a luglio, sempre all’ospedale di Lodi, ho subito un
intervento. Ho rimosso completamente il nome del chirurgo». L’hanno
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chiamata dall’ospedale per dirle che avevano trovato un tumore?
«Dopo il primo esame ho ricevuto la telefonata da un medico che
molto delicatamente ha iniziato a segnalarmi che c’era qualcosa da
approfondire. Io ero abbastanza tranquillo. Ho affrontato tutto con
estrema serenità. Tra la prima e la seconda colonscopia avevo in
programma un viaggio e non ho rinunciato» Ma cos’è successo
quando si è presentato in ospedale? «Mi hanno fatto la biopsia, allora
lì mi hanno detto che il problema c’era ed era anche molto
importante. Anche qui, io ho pensato: “Mi è toccato, ma ce la
faremo”». Non è stato mai preoccupato? «Beh, qualche pensiero tra
me e me vagava. Ma non ho avuto momenti di particolare sconforto,
ho continuato a fare quello che facevo senza condizionarmi. Mia
moglie, lei sì è preoccupata un po’ di più e i miei figli può darsi».
Come mai quel giorno ha deciso di andare a fare lo screening? «Mio
papà si era ammalato di tumore al colon. Questo mi ha suggerito di
fare l’esame e adesso ho imposto categoricamente ai miei figli di fare
come me». Quanti anni hanno? «Il primo ne ha 40, il secondo 36 e la
terza 32. Quando uno ha una famigliarità con la malattia deve iniziare
a sottoporsi ai controlli e infatti il primogenito ha incominciato».
Come è andata in ospedale? «Sono stato ricoverato due settimane
perché avevo il condizionatore vicino al letto e ho preso la polmonite.
Mi è venuta la febbre a 40, ma le stanze non erano come quelle di
oggi. Allora c’erano ancora i cameroni a 6 letti. Il decorso post
operatorio però è stato magnifico. La mia serenità ha contribuito a far
andare bene le cose». Poi è iniziata la chemioterapia? «Sì, per 6
mesi. Mi hanno somministrato un farmaco molto costoso, ma ero in
un’età considerata ancora giovane e quindi ho potuto beneficiarne».
Stava male dopo la terapia? «Facevo la chemioterapia una settimana
sì e una no. Dopo il trattamento, per due giorni, mi sentivo un po’
intontito. Tranne la prima volta però sono sempre andato in auto da
solo a fare quello che dovevo fare. Per fortuna non ho mai avuto
vomito o perdita di capelli. Mi hanno messo un dispositivo sotto pelle,
nel torace, che serviva per collegare la flebo. L’ho tenuto per 4 anni,
temendo ulteriori ricadute, poi me l’hanno tolto». Era preoccupato?
«Guardi, sembra paradossale, ma in tutta questa vicenda, la cosa che
mi avrebbe disturbato di più sarebbe stata la perdita dei capelli».
Quale consiglio darebbe ai lodigiani? «Di non aver paura a sottoporsi
agli screening, è sciocco. Il secondo consiglio è di affrontare
qualunque esito con la massima tranquillità. Secondo me questo
atteggiamento incide sull’esito delle cure; non bisogna mai agitarsi. È
inutile rendere al medico la vita più difficile». In che senso?
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«Distogliere con i nostri tremila dubbi il medico dal suo lavoro.
Bisogna avere fiducia. Se il dottore sta guardando i miei esami voglio,
anche egoisticamente, che lo faccia bene. Quindi non incomincio a
disturbarlo e soffocarlo con i miei quesiti». Lei non parla mai di
“tumore”, ma di problema. È una parola che la disturba? «Un po’,
guardi, è vero non ci ho mai pensato. Nonostante tutto non la uso
mai. È una vicenda che ho sempre tenuto riservata per evitare che
qualcuno vedesse in me una persona in bilico o da compatire e
consolare. Io volevo sempre fare tutto da solo». Bravo «Beh, anche
contento». Si sente miracolato? «Mi sento fortunato perché ho fatto
la cosa giusta al momento giusto. Ho fatto lo screening,
probabilmente, nel momento in cui il tumore era ancora recuperabile.
Tutta la mia massima riconoscenza va all’Associazione lodigiana amici
di oncologia. Adesso continuerò a fare le visite di controllo, ma con il
medico di base». Ha qualche altra ricetta da svelare? «Quando il
medico mi dice di fare una cosa io la faccio. Non bisogna mai
rimandare». È contento anche dell’intervento? «Sì, adesso poi ci sono
delle tecniche operatorie meno invasive e altrettanto efficaci». È
sempre stato un tipo tranquillo? «Sì, anche quando vado a fare la
colonscopia non voglio neanche il valium. Ho una fiducia innata nei
confronti del sistema sanitario. Nella malattia è il cervello che conta».
Sono passati 10 anni, avete festeggiato? «A luglio c’è stata la
ricorrenza. Non è stato un festeggiamento vero e proprio, ma a
tavola, ovviamente, il discorso è andato su quegli anni». E le
emozioni in campo, questa volta, erano diverse
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