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commentary Commentary, 27 gennaio 2017 TRUMP: BILANCIO SUI PRIMI SETTE GIORNI ALLA CASA BIANCA GIANLUCA PASTORI D a una settimana, dopo l’insediamento ufficiale del 20 gennaio, Donald Trump è a tutti gli effetti il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. In questi giorni non sono mancati gli attacchi sia da parte di settori della società statunitense, sia della comunità internazionale. Nonostante ciò (e nonostante l’eredità che l’amministrazione uscente gli ha lasciato, adottando, nelle ultime settimane di mandato, una serie di provvedimenti su importanti temi legati all’ecologia, all’immigrazione e ai rapporti degli Stati Uniti sulla scena internazionale), ‘The Donald’ si è messo alacremente al lavoro per concretizzare quella che ha presentato all’elettorato come la sua piattaforma ‘dei cento giorni’. ©ISPI2017 Con una serie di ordini esecutivi (executive orders), il Presidente ha, fra l’altro: sbloccato la realizzazione dei contestati oleodotti Dakota Access (‘Bakken’) e Keystone XL; ritirato gli Stati Uniti dall’accordo commerciale transpacifico (TPP - Trans-Pacific Partnership); congelato le assunzioni dell’amministrazione federale in tutti i settori diversi da quello della Difesa; reintrodotto la ‘Mexico City Policy’ sospendendo i finanziamenti federali alle ONG internazionali che pratichino o forniscano informazioni sull’interruzione di gravidanza all’estero; si è impegnato ad assumere 10.000 nuovi funzionari del servizio immigrazione e a realizzare “un muro fisico, contiguo, o un altra simile barriera fisica, sicura, contigua e insuperabile” lungo il confine con il Messico e ha chiesto alle agenzie federali responsabili di “rinunciare, deferire, esentare da o concedere proroghe” rispetto a qualsiasi punto dell’Affordable Care Act (‘Obamacare’) imponga oneri finanziari agli stati, agli individui o ai fornitori di servizi sanitari. L’elenco potrebbe proseguire. Sempre attraverso ordini esecutivi, il presidente potrebbe stringere le maglie della politica sull’immigrazione introducendo un bando temporaneo all’ingresso di rifugiati nel paese; ripristinare la pratica della extraordinary rendition e autorizzare nuovamente il ricorso alla tortura come metodo di interrogatorio nel quadro delle attività di contrasto della minaccia terroristica. In tutti i casi, si tratta della messa in pratica di quanto il Trump candidato si era impegnato a fare se fosse arrivato alla Casa Bianca; per i suoi avversari, della dimostrazione di come i timori espressi in campagna elettorale fossero fondati. La vera questione è, tuttavia, un’altra e riguarda la capacità del Trump presidente di proseguire lungo la via aperta in questi giorni. Quanto fatto sinora rappresenta da Matteo Colombo, Professore associato di Storia delle relazioni politiche fra il Nord America e l’Europa, Facoltà di Scienze Politiche e Sociali, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano. 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary ‘muro di confine’, come pure Trump ha recentemente ribadito. I veri punti caldi (specie quelli dell’agenda internazionale), inoltre, non sono ancora stati affrontati. La telefonata (definita ‘calda’ e ‘amichevole’) fra il Presidente e il primo ministro indiano, Narendra Modi, pare avere chiuso l’incidente aperto ai primi di dicembre da una telefonata simile fra l’allora presidente eletto e il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif. Più complessi appaiono, tuttavia, altri rapporti, in primo luogo quello con la Russia, che figura ai primi posti dell’agenda presidenziale. una parte la realizzazione dei punti più qualificanti della sua piattaforma elettorale (ad esempio il ritiro degli USA dal TPP), dall’altra un insieme di misure in qualche modo ‘standard’ per un’amministrazione repubblicana (ad esempio il ritorno alla ‘Mexico City Policy’, introdotta nel 1984 da Ronald Reagan, mantenuta dal successore George H.W. Bush, abbandonata dal democratico Bill Clinton, re-introdotta da George W. Bush e nuovamente abbandonata negli anni di Barack Obama). Il ricorso allo strumento dell’ordine esecutivo ha permesso – e potrebbe permettere nei prossimi giorni – di aggirare le lungaggini e le strettoie di un dibattito in Congresso, anche se le misure adottate (con la possibile eccezione di quella sul TPP) avrebbero probabilmente goduto del necessario sostegno da parte della maggioranza repubblicana (40 seggi alla Camera dei rappresentanti contro 193 con due seggi vacanti; 52 seggi al Senato contro i 48 della ‘coalizione’ di democratici e indipendenti). Al di là delle espressioni di stima reciproca, il fatto che Trump riesca ad avviare in concreto la sua politica di détente dipende dalla capacità di trovare con il Cremlino punti di convergenza su questioni che spaziano dall’Ucraina alla Siria, passando l’Iran, Israele e la Cina. Tutte questioni su cui le divisioni sono profonde in seno all’amministrazione e su cui il Congresso ha già dimostrato di volere avere voce in capitolo. Già i prossimi giorni dovrebbero fornire alcune indicazione in questo senso. Altre indicazioni dovrebbe fornirle dal primo incontro faccia a faccia del presidente con un leader straniero, il premier britannico Theresa May. Non a caso, il premier di un paese che dell’ipotetico ‘asse trumpiano’ è sempre stato considerato un partner forte e che – nel panorama post-Brexit – ha un solido interesse a consolidare il suo legame con Washington. ©ISPI2017 Nessuno dei provvedimenti adottati ha quindi rappresentato una prova per il presidente o la sua amministrazione. Anche il loro impatto sull’indice di approvazione misurato da Gallup è stato sostanzialmente positivo, pur nel quadro di un Paese che resta fortemente polarizzato. Le difficoltà, tuttavia, non tarderanno ad affiorare. Il governo messicano, ad esempio, ha già espresso chiaramente la sua indisponibilità a farsi carico degli oneri del 2