Transcript commentary

commentary

Commentary , 21 febbraio 2017 IL “SECOLO CINESE” COMINCIA ORA?

A NDREA P ASSERI I l campanello di un grande cambiamento alle porte era già squillato sul finire del 2014 lungo le pagine dell’International Comparison Program redatto dalla Banca Mondiale, per essere poi amplificato dalle dia gnosi di Joseph Stiglitz, del Financial Times e di altri esponenti illustri del gotha finanziario occidentale. Le classifiche internazionali sul prodotto interno lordo dei paesi calcolato in termini di parità di potere d’acquisto (PPP) avevano, infatti, da poco registrato un epocale passaggio di consegne, con gli Stati Uniti che si accin gevano a cedere alla Repubblica Popolare Cinese lo scettro di prima economia del globo, detenuto dalla fine dell’Ottocento e largamente impiegato nei cento anni successivi per dare forma e sostanza al cosiddetto “secolo americano”. Lo scorso gennaio, a poco più di due anni di distan za dalla pubblicazione di quel report, gli indizi del fatto di essere immersi in una fase crepuscolare del primato po litico e diplomatico degli Stati Uniti sono stati corroborati ulteriormente da un altro evento dall’alto valore simbo lico e sostanziale, in grado di segnalare il contestuale dischiudersi di una nuova era. Curiosamente, il palco scenico ove si è consumato questo ennesimo avanza mento della Cina nel proiettarsi quale credibile alterna tiva all’ordine internazionale eretto da Washington non ha riguardato né uno specchio di mare conteso nel cuore dell’Asia sudorientale, né una seduta d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Al contrario, a fare da sfondo all’ultima spallata al predominio statunitense sono stati gli scenari idilliaci e bucolici delle Alpi svizzere, e, più nello specifico, il piccolo centro turistico di Davos, ormai celebre ai più per il fatto di ospitare i lavori annuali del World Economic Forum. L’edizione appena conclusasi, non a caso, si è distinta per l’interesse febbrile e la caldissima accoglienza che hanno circondato l’intervento inaugurale del Presidente Xi Jin ping, primo leader cinese in assoluto ad accettare un si mile invito da parte di uno dei tavoli di discussione più rilevanti dell’establishment finanziario globale. Cate chizzando e rassicurando una platea visibilmente diso rientata dalle tentazioni protezionistiche dell’America di Trump, la guida suprema del più forte e nutrito partito comunista del globo ha colto l’occasione per offrire un’accorata difesa circa i benefici del libero scambio fra nazioni, presentandosi come l’alfiere di riferimento di una globalizzazione minacciata su più fronti. Non solo, l’assunzione di responsabilità senza preceden ti desumibile fra le righe dal discorso di Xi ha messo in evidenza un dato aggiuntivo. Pechino appare finalmente disposta ad accettare e fronteggiare la peculiare miscela 1 Andrea Passeri, Università di Bologna Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.

Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.

commentary

di onori e oneri che discendono dalla rinnovata centralità politica, economica e strategica consolidata negli ultimi anni, anche a costo di archiviare la tradizionale predi sposizione a mantenere un basso profilo e a dissimulare le proprie reali capacità e intenzioni, tramandatasi alle successive generazioni di quadri cinesi sin dalla stagione di Deng Xiaoping. Tale processo, a uno sguardo più at tento, si era già nutrito di alcune tappe preparatorie che, in prospettiva, assumono un sapore ancora più emble matico. Tra di esse, il passaggio semi-indenne della Cina dalla strettoia della crisi economica esplosa nel 2007-2008 – capace di mettere sotto i riflettori lo stato di appannamento delle grandi potenze occidentali – e la successiva elezione al timone del paese di un profilo al tamente carismatico in luogo del più tecnocratico Hu Jintao, con il conseguente lancio del manifesto ideolo gico fondato attorno all’idea del “Chinese dream”. Dopo aver giovato a piene mani dell’egemonia ameri cana per integrarsi gradualmente e senza particolari in comodi nel sistema internazionale del post Guerra fredda, la RPC si appresta, quindi, a farsi carico di un ruolo di protagonismo nella sfera della governance globale in linea con il suo strapotere economico. Al netto di espres sioni retoriche e dichiarazioni d’intenti, peraltro, i segnali di questa presa di coscienza sono già sotto gli occhi degli osservatori più accorti, come desumibile sia dal recente ampliamento del budget devoluto da Pechino alle mis sioni di peacekeeping dell’ONU – volto ad innalzarne il peso quale primo finanziatore al mondo dei “caschi blu” dopo il Giappone – che dalla promessa rivolta alla co munità internazionale dal Vice Premier Zhang Gaoli durante il summit sul cambiamento climatico di New York del 2014, in base alla quale il governo cinese si è impegnato a ridurre volontariamente di quasi la metà le emissioni inquinanti generate dai comparti produttivi nazionali. Con ogni probabilità, le prime settimane dell’amministrazione Trump hanno finito per fornire un tonico ulteriore alle ambizioni di guida della Cina di Xi, che ha risposto sfoggiando questa rinnovata propensione ad accreditarsi nei panni di un “responsible stakeholder”, ossia di un socio avveduto, pragmatico e costruttivo nelle proprie relazioni con l’esterno. D’altro canto, la rivolu zione copernicana in atto nella strategia cinese riflette per molti versi un fenomeno irrefrenabile e ineludibile, che fa da specchio a un ventaglio amplissimo di interessi ormai sparsi dall’intero continente asiatico sino all’Africa e all’America Latina, abbracciando anche le nuove fron tiere dell’Artico, del Mediterraneo e dei Balcani. Se della pax americana non resta perciò che un pallido ricordo, sbiadito dall’instabilità e dalla disgregazione sprigiona tesi in Siria, Iraq e Crimea, Pechino è pronta a raccogliere il testimone della sfida, contrapponendo all’annunciata virata a tinte isolazioniste di Washington tutta la spinta propulsiva di una potenza sicura di sé e forte di margini d’ascesa ancora inesplorati. 2