Rotta balcanica: morire di freddo e … di Orbán

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venerdì 13 gennaio 2017, 14:30
I migranti bloccati da Orbán
Rotta balcanica: morire di freddo e … di Orbán
Le condizioni drammatiche dei migranti intrappolati tra i nuovi confini europei
di Francesco Snoriguzzi
Con la chiusura della rotta balcanica migliaia di persone, che si erano messe in marcia verso l'Unione Europea, si
trovano ora bloccate tra confini una volta aperti. Numerosi campi profughi, ufficiali o meno, sono sorti a ridosso
di questi confini.
Ora che l'inverno, particolarmente rigido in quei luoghi, raggiunge la sua fase più rigida, la situazione di queste
persone diventa drammatica.
Si può dire che il maggior responsabile di questa situazione sia il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán.
Membro del partito di estrema destra Magyar Polgári Szövetség (Unione Civica Ungherese), aveva già governato il Paese
dal 1998 al 2002. Rieletto nel 2010, ha messo in atto una politica estremamente nazionalista ed anti-europeista entrando
più volte in forte contrasto con Bruxelles. Le sue riforme su temi come Magistratura, Banca Centrale Ungherese e libertà di
stampa sono andate smaccatamente nella direzione opposta a quella indicata dal Diritto Europeo, tanto da guadagnarsi,
negli anni, diverse procedure di infrazione.
Allo scoppio della crisi dei migranti, il Governo Orbán si è subito distinto come il più duro nei confronti dei richiedenti asilo:
l'Ungheria è stata il primo Paese ad annunciare, in aperto contrasto con le direttive dell'UE, di voler erigere un muro
di filo spinato che chiudesse i propri confini.
Una volta innalzata la barriera, la marea umana che, attraverso la rotta balcanica, affluiva verso l'Unione Europea in cerca di
sicurezza e di condizioni di vita più accettabili si è trovata la strada sbarrata. Se si pone un masso nel mezzo di un fiume, il
flusso d'acqua gli scorrerà attorno seguendo la sua naturale corrente; allo stesso modo, quel flusso umano ha cominciato
ad aggirare l'Ungheria per giungere a lidi più accoglienti. L'effetto più grave della decisione unilaterale presa dal
Governo magiaro è stata quella di creare uno squilibrio ed un precedente. Lo squilibrio: il flusso umano, deviato dal muro
di Orbán, ha preso direzioni insolite e si è riversato verso Paesi più piccoli come Croazia e Slovenia che,
impreparati a gestire una simile quantità di rifugiati, sono andati in crisi. Il precedente: la sfacciata violazione del Trattato
di Schengen messa in atto dall'Ungheria ha dato l'esempio a questi Paesi che, per gestire l'emergenza, hanno
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/rotta-balcanica-morire-freddo-orban/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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pensato di imitare il loro vicino. Risultato: l'Europa, che si era coraggiosamente liberata dei vecchi confini, si è ritrovata
nuovamente dilaniata dal filo spinato. In tutto ciò, la massa di disperati in marcia verso il miraggio europeo, è stata
sballottata da un confine ad un altro in un continuo alternarsi di speranza e frustrazione, marce e violenti
respingimenti. Inoltre i migranti, bloccati sui confini risorti, non hanno nemmeno avuto la possibilità di tornare
indietro dove, nel frattempo, altri muri erano stati alzati. Si è così assistito, di fronte ai reticolati, alla nascita di campi
profughi improvvisati. Si tratta di luoghi dove le condizioni di vita sono a dir poco inumane: sistemazioni di fortuna
caratterizzate dall'assenza di minime coperture contro le intemperie e dei servizi igenici essenziali. Gli
interventi tardivi dell'UE, dei singoli Stati o di Organizzazioni Non Governative, hanno portato solo alla nascita di campi
profughi ufficiali dove, però, le condizioni di vita non sono cambiate di molto. Un effetto collaterale della chiusura della
rotta balcanica è stato quello dell'incremento dei viaggi da Libia e Turchia attraverso il Mediterraneo: oltre
all'aumento degli incidenti mortali in mare, questo ha portato anche al collasso la situazione dell'accoglienza in quei Paesi,
come Grecia ed Italia, che già subivano una forte pressione migratoria e che non hanno la possibilità materiale di chiudere le
proprie frontiere marine. Attualmente la situazione su quella che una volta era la rotta balcanica è questa: migliaia
di persone sono bloccate nei campi sorti tra i confini dei vari Stati, soprattutto sulle isole greche (circa 16.000
secondo Save the Children) e al confine tra Serbia ed Ungheria (almeno 7.500 di cui, secondo l'agenzia AdnKronos,
meno della metà alloggiate in strutture adeguate). A Belgrado circa 2.000 persone vivono in alloggi di fortuna ricavati in
edifici abbandonati con temperature che raggiungono anche i -20°. Tra Grecia, Bulgaria e Serbia si cominciano a
contare i primi morti per assideramento (una quarantina fino ad ora). Nonostante ciò, la gran parte dei migranti
rifiuta di recarsi nei centri allestiti per l'accoglienza nel timore di essere rimandati indietro o di essere bloccati
nel Paese di arrivo secondo le regole del Protocollo di Dublino (mentre la gran parte di questi punta ad arrivare in Germania
o nei Paesi scandinavi). Negli ultimi mesi, inoltre, non sono mancati episodi di violenza esplicita e gratuita: dalle
violenze della Polizia che respinge con idranti e aizza cani contro i migranti alle 'deportazioni' dall'Austria alla
Croazia (intesa come primo paese di approdo). Ci sono stati persino casi più estremi come quello del migrante afgano
ucciso da un colpo di arma da fuoco il 23 agosto a Pirot, nell'area sud-orientale della Serbia. La situazione appare
esplosiva sotto molti punti di vista. In tutto ciò, il Governo Orbán, non pago dei risultati raggiunti, ha varato una serie
di leggi contro i migranti. Tre sono i punti focali più controversi: prima di tutto, secondo queste normative, anche in
caso di ricorso, il procedimento di espulsione non viene sospeso (costringendo il migrante a lasciare il territorio
ungherese e rendendo, di fatto, inutile il ricorso); in secondo luogo, non viene garantita la traduzione degli atti
giudiziari (in questo modo l'interessato, che normalmente non parla ungherese, non è in grado di controbattere alle
autorità competenti); per finire, secondo queste norme non sarebbe più necessaria la presenza dell'interessato in
fase di dibattito (cosa che va contro i requisiti minimi del diritto internazionale). Su questi punti l'Unione Europea ha
aperto nuove procedure di infrazione ma, c'è da giurare, è improbabile che Orbán si lasci intimorire.
di Francesco Snoriguzzi
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