Orban-May, fra ideologia e realpolitik

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venerdì 04 novembre 2016, 18:00
Orban-May, fra ideologia e realpolitik
L'incontro ha scatenato le reazioni allarmate dei media? Qual è il problema di fondo?
di Davide Zaffi
Una visita del Primo ministro ungherese a Londra rientra o dovrebbe rientrare nella routine della politica
internazionale. Ci sono infatti alcune questioni bilaterali che attendono di essere chiarite e dalle quali è verosimile che si
prenda poi spunto per passare a valutazioni più generali. Niente di più normale. Invece il semplice annuncio che Viktor
Orbán si recherà ad incontrare Theresa May la settimana prossima ha scatenato reazioni allarmate, amplificate
da un gran numero di media, come se incombesse sul continente un qualche grave pericolo. Ma andiamo con ordine. Già
all’epoca di David Cameron fra Ungheria e Regno Unito vi era un rapporto in chiaroscuro. I governi dei due
Paesi erano in buona sintonia sulle prospettive della collaborazione internazionale, in particolare riguardo
all’organizzazione dell’Unione europea, mentre non lo erano affatto sulla questione dei lavoratori ungheresi
oltre Manica, poco più di 50 mila persone lì residenti, in molti casi, con le rispettive famiglie. A fine 2014 Cameron aveva
annunciato che intendeva introdurre per i lavoratori stranieri nel Regno alcune limitazioni all’accesso di certe prestazioni
sociali. La natura delle previste disposizioni era tale che andava a colpire soprattutto tipologie di mano d’opera proveniente
dall’est europeo. La diplomazia ungherese e Orbán stesso avevano protestato anche energicamente, ma senza ottenere una
retromarcia inglese. Tanto più in allarme è ora il governo di Budapest perché il modo di affrontare la questione
da parte della May, specie alla luce del Brexit, non sembra differire da quello del suo predecessore. Ma neppure
gli ungheresi intendono cambiare posizione. Chi fa presente agli ungheresi sostenitori di Orbán che la difesa dei
loro connazionali all’estero non è in linea con la politica del controllo delle frontiere praticata dal loro Paese, si
sente rispondere che fra immigrazione e migrazione c’è un abisso concettuale e pratico: la prima avviene in modi
perfettamente legali, in numero quantificabile, al fine di occupare precise posizioni lavorative, la seconda no.
Probabilmente su questa questione i colloqui dei due capi di governo non arriveranno ad una soluzione
definitiva. Buoni sono invece i segnali che derivano dall’interscambio commerciale, benché questa sia cosa che
riguarda in primo luogo i privati. E’ di ieri la notizia che è stata fondata a Budapest la Camera di Commercio (Businness
Council) anglo-ungherese, con l’autorevole partecipazione fra i fondatori di British Telcom e British Petrol. Insomma, fra
tutela dei connazionali e questioni commerciali i rapporti fra i due Paesi sono i più ordinari di questo mondo.
Da dove allora l’allarme, per non dire il panico con cui alcuni media accompagnano l’evento, anzi, lo
precedono? Il fatto è che la May e Orbán vengono presentati con grande leggerezza come gli esponenti di una
'controrivoluzione identitaria', 'oltranzista' e 'populista', per citare un autorevole ed equilibrato organo di stampa
italiano. E poiché le posizioni sull’Unione europea dei due responsabili politici 'intercambiabili' c’è da ritenere che finiranno
anche con l’accordarsi per dare qualche ulteriore spallata a Bruxelles. Con ciò aizzano risentimenti sovranisti e si fanno
portatori di un’idea di Europa chiusa e sempre più egoista. Questa critica preventiva parte dall’assioma, cioè
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/orban-may-fra-ideologia-e-realpolitik/
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dall’affermazione indimostrabile e assunta come vera, che tutto quello che non giova a un rafforzamento dell’Unione
europea è dannoso, ma soprattutto è indice di povertà culturale e morale. E’ con questo linguaggio intollerante ed esclusivo
che taluni affermano di combattere per mantenere viva l’immagine di un’Europa tollerante e inclusiva, nonché, s’intende,
per evitare guerre ideologiche. Con un approccio così ideologico passa quasi in secondo piano che la May e Orbán
molto difficilmente possono prendere decisioni o accordarsi su azioni comuni a scapito di Bruxelles. E’ vero che
all’ultimo vertice europeo, quello di Bratislava, Orbán è stato fra i pochi disposti a riconoscere in termini positivi franchezza e
coerenza alla collega inglese, fedele al suo slogan del Brexit is Brexit. Ma da qui ad adoperarsi per spianare agli inglesi la
strada di una separazione indolore, che molti funzionari europei vorrebbero fosse dolorosissima, ce ne corre. Anche
ammettendo però che gli ungheresi volessero davvero dare una mano a chi ha votato contro l’Unione, è evidente che le loro
possibilità di incidere in maniera significativa sulle procedure è molto modesta, per non dire nulla. Il peso economico,
demografico e politico dell’Ungheria non le permette di influenzare oltre un dato limite un conglomerato a guida tedesca
com’è l’Unione. Basti pensare alla scottante politica sui migranti. Orbán ha per mesi, dal gennaio 2015, chiesto una
politica comune europea per far fronte al fenomeno. Poi, lasciato senza risposte e da solo, ha deciso alla fine
di rafforzare i controlli alle frontiere, anche a costo di ricorrere alle maniere forti. Quando invece è stata la
Cancelliera Merkel a decidere che i flussi migratori andassero fermati, l’Unione europea ha prontamente
trovato i miliardi necessari per convincere la Turchia a collaborare a questo fine. E proprio il riconoscimento di
questa realtà, inevitabilmente squilibrata, è stato il filo rosso del discorso che Orbán ha tenuto sulla Pazza
degli eroi a Budapest in occasione del sessantesimo anniversario della rivoluzione antisovietica dell’ottobrenovembre 1956. A spingere gli ungheresi all’insurrezione fu, all’epoca, il desiderio di libertà nazionale, prima ancora che i
diritti individuali di libertà. Gli ungheresi, secondo Orbán, ricercano la collaborazione internazionale e infatti l’insurrezione
del ’56 fu anche una bellissima seppur sfortunata pagina di storia europea, così come dalle decisioni ungheresi del 1989
derivò la riunificazione del continente. Ma trovano che detta collaborazione non giustifichi lo svuotamento dell’idea della
volontà nazionale. Essa è finora l’unica a potersi definire volontà popolare, cioè democratica, né, a parere di Orbán, si
intravede oggi il sorgere di un’idea che possa esserlo di più.
di Davide Zaffi
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