La glaciazione cubana alimentata da Trump Dietro il no del Sud a

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I COMMENTI
Venerdì 9 Dicembre 2016
L’ANALISI
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La glaciazione cubana
alimentata da Trump
The cuban glaciation
fomented by Trump
S
Uniti) governata da
embra paraDI CARLO VALENTINI
un dittatore, piena di
dossale ma
casinò e bordelli, una
Raul Castro
ha, in cuor suo, tifato per Do- sorta di regione del piacere a un’ora
nald Trump. Le aperture di Barack da Miami. La ribellione è avvenuta
Obama erano state più subìte che cer- per lo stato di indigenza e lo sfruttacate. Infatti lo sviluppo dei rapporti mento sessuale che vi erano nell’isocon gli Stati Uniti, a cominciare dal la, si è trattato di una rivolta interna
turismo, avrebbe finito per mettere (solo in un secondo momento ha avuto
in moto dinamiche sociali difficili da l’appoggio dell’Unione Sovietica), che
governare per un regime familistico- ha poi avviato politiche scolastiche,
clientelare. Per di più, oggi, politica- soprattutto contro l’analfabetismo, e
mente isolato nel mondo. Per Cuba sanitarie che hanno finito per influensembrava aprirsi uno spiraglio di zare anche le altre isole dei Caraibi.
Ma chi riconosce i meriti della riallentamento dell’autoritarismo, con
la morte di Fidel Castro suggello di voluzione capeggiata da Fidel tende
poi a cancellare il fatto che nel tempo
questo nuovo corso.
si è formata un’oligarSe, come sembra,
chia che per autoperTrump ritornerà al
Se fa lo sbruffone
petuarsi ha finito per
muro-contro-muro,
cancellare ogni forma
Raul Castro e i suoi
consolida il
di partecipazione popoaccoliti avranno buon
regime castrista
lare e reprimere anche
gioco a mantenere
il dissenso più blando.
il pugno di ferro e la
scomparsa di Fidel non avrà conse- Con l’ovvia conseguenza di creare una
guenze, se non quella di riavere acceso forbice assai ampia nel tenore di vita
i riflettori su un Paese che negli ultimi tra chi è collegato al potere e la poanni era stato quasi dimenticato aven- polazione. Oltre alla frustrazione di
vivere sotto il controllo poliziesco. Non
do perso la sua identità simbolica.
In occasione dei solenni funerali che gli altri Paesi dell’America Latina
la complessità della situazione cuba- e dei Caraibi possano vantare esempi
na è apparsa, nei commenti, per lo più di democrazia. Clientele, clan, corruschiacciata da posizioni aprioristiche, zione e strapotere di eserciti e polizia
quasi che ci fosse da scegliere se san- sono la norma. Ma a Cuba sembrava
tificare o maledire il leader maximo. finalmente arrivato il momento di
Chi propende per la seconda ipotesi un’evoluzione in senso meno represdimentica che cos’era Cuba prima del- sivo. Invece, con Trump, Raul Castro
la rivoluzione, una colonia (degli Stati potrà dormire sonni tranquilli.
I
t seems a paradox but, in ami. The rebellion exploded for
his heart, Raul Castro the indigent state and exploitasupported Donald Trump. tion of prostitution present in the
Barack Obama’s openings country. It was an interior revoluwere more suffered than sought. tion ( the Soviet Union support
Infact, the developing of relations arrived only in a second place),
with the United States, starting that started at the same time
from tourism, would have ended medical and scholastics politics,
up with launching social dynam- expecially against illiteracy and
ics, hard to be faced by a famil- that later influenced other Caribistic-patronage regime and also bean Islands.
politically isolated in the world.
But who recognize the credWith the death of Fidel Castro a its of Fidel’s revolution forgets
reduction of the totalitarian pow- that by the time the regime beer, seemed to be possible.
came an oligarchy that deleted
If Trump gets back to the wall- every form of popular particiagainst-wall, Raul Castro and his pation and repressed even the
acolytes will have
softest dissent. The
consequence has
good possibilities to
If he shows off,
been a wide gap beremain firm and the
tween who was cononly consequence of
he’ll reinforce
nected to the power
Fidel’s demise will
Castro’s regime
and the population,
be the possibility to
besides the frustrafinally bring out a
country almost forgotten in the tion of living under police control.
past few years, since it had lost Not that the other countries of
its symbology identity.
Latin America and Caribbean ofOn the occasion of the funer- fer great examples of democracy.
als, the cuban situation, appeared Hangers, clan, corruption and poto be crushed by two sides: should lice power are ordinary administhe maximo leader be sancti- tration. But ,for Cuba, it seemed
fi ed or cursed? Who inclines to that a time for a change in a less
the second opinion forgets what repressive sense, was arrived. InCuba was before the revolution : stead now, with Donald Trump’s
a colony (a USA colony) governed government, Raul Castro can rest
by a dictator, full of casinoes assured.
and brothels, a sort of island of
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pleasure an hour far from MiTraduzione di Grazia Cetrangolo
IL PUNTO
LA NOTA POLITICA
Dietro il no del Sud a Renzi
gli anticorpi contro le promesse
La legge elettorale
resta in alto mare
DI
SERGIO LUCIANO
P
erché il baratto della
frittura di deluchiana
memoria non ha funzionato con gli elettori del Sud? Perché napoletani,
siciliani, pugliesi, calabresi,
sardi sono andati in massa a
votare per dire «no» a Renzi?
Proviamo a fare quello che il
giovane ex-e-forse-bis-premier
fa di malavoglia, cioè cercare le
risposte nella storia e nell’immaginario collettivo popolare.
Per esempio in un proverbio
borbonico: «Chacchiere e tabbacchere e legno, ‘o Banch’ e
Napule nun l’impegna». Cioè:
chiacchiere e tabacchiere di
legno, il Banco di Napoli non
le accetta in pegno.
Chiaro? Spieghiamoci
meglio. Senza voler dare ragione al gaffeur Chicco Testa, e a un suo tweet razzista
contro il predominio del «no»
al Sud, è giusto però ricordare
che l’Età dei Comuni, durante la quale, ottocento anni fa,
il Centronord decollò verso
un modello di società cittadina borghese e autonoma di
stampo europeo, non si diffuse al Sud Italia, che rimase
sotto mutevoli dominazioni
straniere, chiuso a Nord dalla monarchia pontificia. Per i
meridionali – chi scrive, lo è
– il potere è sempre «altro da
noi», anche quando lo eleggiamo. Non ci incanta. E siamo, in
particolare, vaccinati contro i
Dal premier due anni
di indifferenza,
poi troppi impegni
capipopolo, anche Mussolini
se ne accorse. E venne a patti
con la camorra. Anti-stato nello Stato.
I problemi veri del Sud –
che sono peraltro al 90% colpa
dei meridionali e della feccia
dirigente che si scelgono – sono
rimasti tutti lì, intatti e ingestiti, nei mille giorni di Renzi
al governo. Lui, sfogandosi con
i suoi fedelissimi, sottolineava
amaramente che nessuno dei
consiglieri regionali Pd ha fatto campagna referendaria al
Sud. Dimenticando che il suo
governo, per due anni e mezzo,
non ha mai capito che il Sud è
«il» problema; salvo poi rispol-
verare il Ponte sullo Stretto a
sei mesi dal voto! Qua, nessuno è fesso.
Renzi ha fatto e fatto
fare qualsiasi promessa
al Sud, per procurarsene il
consenso dopo aver visto i
sondaggi. Ma le promesse di
scambio tra il «sì» e i vantaggi
del dopo non sono state prese
sul serio. Primo, perché erano
palesemente gonfiate. E poi, il
comandante Lauro regalava
una scarpa prima e una dopo
il voto: perché? Perché dimostrava, donando la prima, di
far sul serio: la scarpa spaiata
donata era la prova che lui le
aveva comprate. Con una sola
scarpa, certo, l’elettore non ci
faceva niente; ma neanche il
Comandante aveva interesse a tenersi l’altra. E infine:
a Renzi manca totalmente
l’autoironia. Ironia e anche
sarcasmo sugli altri, ne fa a
iosa. Su se stesso mai. E se un
pregio abbiamo, noi meridionali, è quello dell’autoironia.
Ah, se Renzi avesse studiato
quel concentrato di meridionalità che è l’episodio della
pernacchia nell’Oro di Napoli
di De Sica!
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DI
MARCO BERTONCINI
Nulla da opporre al richiamo quirinalizio sulla necessità di una legge elettorale
omogenea per Camera e
Senato. Se, infatti, si pretendesse che il capo dello stato
sciogliesse le Camere a breve,
ci si troverebbe di fronte a un
tracollo politico, istituzionale
e costituzionale.
A reggere l’elezione di
Montecitorio sarebbe l’italicum. Bisognerebbe almeno
attendere la pronuncia della
Corte costituzionale, per evitare di andare al voto sotto
l’incognita dell’incostituzionalità del procedimento elettorale. Inoltre la Corte potrebbe
esternare ancora quanto già
proclamato quasi tre anni fa,
quando impallinò il porcellum: occorre evitare che sistemi elettorali troppo difformi
provochino la formazione di
maggioranze diverse nei due
rami del Parlamento.
Non esistono, è palmare, norme che assicurino
un’identica maggioranza
in due Camere quando agli
elettori (diversi per Camera
e Senato) si consegnano due
schede distinte; però, se la
difformità dei sistemi elettorali è accentuata, scatta il
rischio dell’illegittimità costituzionale.
Non ha alcun fondamento politico che il sistema per la Camera sia
un maggioritario con ballottaggio di lista e quello per il
Senato un proporzionale con
soglie divaricate. Un minimo
di logica e di buon senso non
può che imporre la ricerca di
un armonico sistema elettorale, con le necessarie distinzioni ma senza travolgimenti. È inutile nascondersi
che una riformulazione delle
leggi elettorali richiede tempo. Non esiste uniformità di
vedute all’interno del partito di maggioranza relativa.
Non c’è nemmeno nel M5s,
come si è visto nella seduta
congiunta dei gruppi parlamentari. Non hanno un’unica visione nel centrodestra.
Pure i progetti dei cespugli
centristi e di altre formazioni
sono difformi.
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