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Russia e USA: contro i diritti delle donne | 1
venerdì 03 febbraio 2017, 10:30
Russia e USA: contro i diritti delle donne
Nuove leggi in Russia e negli Stati Uniti segnano una svolta in negativo per i diritti delle donne
di Silva Marincic
In un momento in cui la parità di genere è già messa a dura prova dai primi provvedimenti del nuovo Governo di Donald
Trump, la Russia, in cui il ruolo femminile è piuttosto marginalizzato e i diritti delle donne non sempre vengono rispettati, ha
iniziato a muoversi in una direzione simile. Due settimane fa i parlamentari russi hanno votato in massa a favore di
una nuova legge che depenalizzerebbe alcune forme, più ‘leggere’ di violenza domestica. Un provvedimento che,
secondo i sostenitori dei diritti delle donne in Russia, metterebbe ulteriormente in pericolo le vittime ed
esonererebbe i loro ‘tiranni’ da ogni responsabilità penale. La legge è stata approvata il 25 e il 27 gennaio in seconda e
terza lettura e passerà ora al vaglio della camera alta e successivamente dovrà essere firmata dal Presidente Vladimir
Putin. In base alla nuova legge, definita dai suoi contestatori la ‘legge sugli schiaffi’, gli abusi domestici che non
metterebbero in serio pericolo la vita dei membri della famiglia, ovvero violenze fisiche che non richiedano un
ricovero in ospedale o non lascino segni visibili sul corpo, non saranno più trattati come reati, ma come semplici
illeciti amministrativi, a meno che non vi sia una prova di recidività o vi siano gravi conseguenze per la salute della
vittima. La legge sarà, inoltre, applicabile indipendentemente da chi sia il soggetto vittima della violenza, siano essi anziani,
donne o bambini. I responsabili dell’abuso nel peggiore dei casi rischierebbero una multa, 15 giorni di arresti o
una condanna ai lavori socialmente utili, mentre in precedenza le pene previste, nei casi più gravi, arrivavano fino a 2
anni di reclusione. La ricercatrice russa di Human Rights Watch, Yulia Gorbunova, ha affermato che «L’approvazione di
questa legge sarebbe un enorme passo indietro per la Russia, dove le vittime di violenza domestica devono già
affrontare numerosi ostacoli per poter ottenere aiuto e giustizia». Anche l’organizzazione Amnesty International
ha fortemente criticato il provvedimento e Human Rights Watch ha aggiunto in un post pubblicato il 23 gennaio, che il
palamento russo «ha il dovere di rigettare una legge così pericolosa e incompatibile con gli obblighi internazionali
del rispetto e della protezione dei diritti umani, assunti dal Paese». Per Svetlana Aivazova, specialista in studi di
genere, con questa legge «il legislatore riconosce la violenza come una norma della vita famigliare. Questo
dimostra quanto i deputati della Duma non siano semplicemente tradizionalisti o conservatori, bensì arcaici». I numeri sulle
violenze domestiche in Russia non sono affatto confortanti. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno russo, il 40 % dei
casi di violenza nel Paese sono commessi tra le mura di casa. Gli oppositori del provvedimento avvertono che è già
raro che una donna denunci il proprio compagno per violenza, un provvedimento simile farebbe diminuire ulteriormente i
casi di denuncia, mentre aumenterebbero i casi di femminicidio. Nel 2015, in Russia, 9.800 donne hanno perso la vita a
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causa di violenze e almeno un quarto di questi delitti è avvenuto in ambito famigliare. Questo provvedimento è in
contrasto con la legge approvata lo scorso anno sullo stesso tema. A luglio il parlamento russo aveva infatti
approvato, su raccomandazione della Corte Suprema, un emendamento che definiva come reato la violenza verso un
membro della famiglia, anche se già all’epoca alcuni deputati conservatori avevano sostenuto che questa legge avrebbe
avuto un impatto negativo sui valori tradizionali della famiglia russa. Particolarmente ‘rumorosa’ era stata la Chiesa
Ortodossa, la cui influenza sul Governo russo non può essere trascurata. La Chiesa avrebbe, infatti, affermato che la
legge non aveva alcuna giustificazione morale. A sorprendere resta comunque il fatto che la legge oggi in
discussione è stata promossa da una donna, Yelena Mizulina, membro del partito ultra conservatore, nota per le sue
posizioni radicali contro la comunità LGBT e già autrice di una legge che vieta la propaganda gay rivolta ai minori. Mizulina
ha pubblicamente affermato di ritenere che le donne «non si sentirebbero offese alla vista di un uomo che
picchia sua moglie» e che «un uomo che picchia sua moglie è meno offensivo di una donna che umilia un uomo.» I
sostenitori della legge hanno giustificato le loro posizioni, sostenendo di voler proteggere il diritto dei genitori di disciplinare i
propri figli. In particolare, però, si tratta di una misura volta a ridurre il potere intrusivo dello Stato nella vita delle
famiglie ed è una rettifica della tanto contestata legge approvata in precedenza. In Russia, sostanzialmente, ad ogni passo
avanti in merito all’affermazione dei diritti civili, pare che subito se ne facciano due indietro. Resta da vedere se la legge
sarà approvata in via definitiva. Si tratta di tempi difficili per le donne di tutto il mondo, non solo in Russia. Pochi giorni fa,
Trump, tramite un ordine esecutivo, aveva notevolmente ampliato una legge, già approvata in precedenza
dall'Amministrazione Reagan, che impedirebbe a tutte le organizzazioni non governative internazionali che
operano all’estero, di ricevere finanziamenti dal Governo federale per l’interruzione della gravidanza. La legge
implicherebbe che le ONG non possano utilizzare i propri fondi sia per la pratica degli aborti, sia per fornire consulenze
mediche alle pazienti che ne avessero bisogno. Allo stesso tempo non potrebbero nemmeno distribuire preservativi per
ridurre, oltre al numero delle nascite indesiderate, anche la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. L’utilizzo dei
fondi federali per l’aborto negli Stati Uniti era già stato vietato nel 1984, provvedimento poi riconfermato dai
successivi governi repubblicani. Ad oggi, però, non ci sono prove effettive sul fatto che questa legge abbia ridotto il numero
degli aborti. La mancanza di fondi destinati al controllo delle nascite, al contrario, rende difficoltoso l’accesso ai
contraccettivi a più di 225 milioni di donne in tutto il mondo, portando paradossalmente ad un maggior ricorso all’aborto e
incrementando il numero delle morti per complicazioni nel corso della gravidanza o durante il parto. Questa
virata radicale in materia dei diritti delle donne più che a Trump è da attribuire, secondo gli osservatori, a Mike Pence, vice
Presidente ed ex Governatore dell’Indiana, Stato in cui aveva già attuato a suo tempo una serie di politiche restrittive contro
il Planned Parenthood. La nomina, nei giorni scorsi, dell'ultra-conservatore Neil Gorsuch alla Corte Suprema, invece,
potrebbe non impattare molto, secondo gli osservatori. Gorsuch non è dichiaratamente anti-abortista. Non ha mai
preso posizione pubblica in questo senso e a quanto risulta non si è mai occupato di questioni relative all'aborto. In caso di
decisione potrebbe comunque schierarsi su posizioni 'pro life', secondo alcuni analisti. A giugno dell'anno scorso,
malgrado la maggioranza conservatrice, contro ogni previsione la Corte ha deciso di considerare incostituzionale una legge
dello stato del Texas che limitava il diritto all'aborto. La Corte stabilì che la legge impugnata creava ostacoli ‘inaccettabili’
per l'accesso all'interruzione di gravidanza. Per contrastare queste politiche, che già hanno scatenato l’indignazione della
comunità internazionale e numerose proteste da parte dell’opinione pubblica, l’Olanda ha reagito introducendo un
fondo internazionale per gli aborti, destinato ai Paesi in via di sviluppo. Già 20 Stati avrebbero annunciato il
loro sostegno per la creazione di tale fondo che andrebbe a coprire un buco di circa 600 milioni di dollari,
causato dal blocco dei finanziamenti da parte degli Stati Uniti. Non è ancora stato specificato quanti soldi destinerebbe il
governo olandese a tale fondo, né quali paesi abbiano risposto all’appello, ma è certo che far fronte a questo problema non
sarà un compito facile. I soldi raccolti andrebbero comunque a finanziare progetti già in atto e promossi da varie
organizzazioni internazionali tra cui l’UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. «Si tratta di progetti efficaci che
hanno già dimostrato un certo successo: distribuzione di metodi contraccettivi, fornire un supporto diretto alle donne,
garantire loro un accompagnamento durante il parto o un aborto sicuro qualora non vi fosse altra scelta», ha sottolineato
Lilianne Ploumen, Ministro olandese per lo sviluppo internazionale. Possibile intralcio all’attuazione di questo ambizioso
progetto, saranno le elezioni olandesi che si terranno il prossimo 15 marzo. Gli ultimi sondaggi danno tra i favoriti
il Partito per la Libertà, dell’anti-islamico Geert Wilders, il quale non ha mai nascosto le sue simpatie verso il nuovo
Presidente americano. L’elezione di Wilders potrebbe, dunque, portare a un cambiamento radicale della posizione
dell’Olanda su questo tema. Tutto questo, comunque, preannuncia una stagione critica per la difesa dei diritti delle donne a
livello globale.
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