Abstract - Grigoletti

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“Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer (lettura e analisi a cura della prof. Stefania Savocco)

“Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer è un libro e un viaggio insieme, è ricordo e ricerca, è ritorno e ancora partenza. Contiene lettere e un altro romanzo

in fieri

: è perciò un romanzo epistolare e nel contempo un metalibro. Così, mentre si racconta, intreccia fili, dipana matasse, ingarbuglia il gioco e lo scioglie di nuovo. Secondo l’arte antica della tessitura, quella delle Parche e di Penelope, quella dei rapsodi, ovvero i cucitori di canti, quella che fa sì che si parli di “testo” e di “trama”, di una composizione lenta che è scrittura ma assomiglia alla vita. Alexander, un ragazzo ucraino il cui papà gestisce un’agenzia per turisti in cerca delle proprie origini, si propone come guida a Jonathan, il nostro autore, che, con una foto in mano, è partito dall’America per trovare colei che forse gli ha salvato il nonno dall’eccidio perpetrato dai Nazisti a Trachimbrod, uno shtetl abitato in prevalenza da Ebrei fino al 1942. Il percorso di Jonathan diventa una vera e propria quête ariostesca, una di quelle

inchieste

in cui non conta tanto pervenire all’obiettivo (Augustine, in questo caso), quanto camminare, osservare, persino inciampare ogni tanto, per conoscere meglio se stessi attraverso l’esperienza vissuta (si veda in tal senso la

sententia

ad effetto, sibillina e pregnante, “L'anello non è casomai tu. Tu sei casomai l'anello”). Alex, il nonno di lui che guida l’automobile pur spacciandosi per cieco, la bizzosa cagnetta Sammy Davis Junior Junior e Jonathan viaggiano dunque insieme, tra preconcetti, diffidenze e curiosità reciproche, alla ricerca di una città distrutta e di una donna. Ad accoglierli sarà alla fine non l’Augustine sperata, ma Lista, una vecchia custode di scatole contenenti ricordi e oggetti fra i più disparati: capelli, lembi di abiti, taccuini, polvere, anelli … ciò che serve a mantenere vivo quanto è stato travolto dalla furia nazista. E, nel ripercorrere le tracce del passato, anche il nonno di Alex scoprirà di aver tentato di occultare a se stesso gravi errori commessi per paura di morire. La vera cecità consiste nell’oblio, ci ammonisce in sostanza Safran Foer. Invece la memoria illumina le cose e garantisce davvero ad ognuno la costruzione della tanto agognata identità.