Introduzione di Aurelio Slataper - Biblioteca Statale Isontina di Gorizia

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Forte Verena, 24 Maggio 1915 ore 4 - Trilogia della Grande Guerra
dai ricordi autografi del fante contadino Cermaria Elmo, il nonno Peppe
“Forte Verena …” riunisce in un unico volume i libri scritti da Francesco Nicolini (Checco) in
ricordo del suo nonno Peppe :
1. I RICORDI DEL BAMBINO CHECCO, un nipote della Grande Guerra
2. NON SO, E’ CHE NON DOVEVO MORIRE, la Grande Guerra nei ricordi autografi del
nonno Peppe
3. LE VIOLE DI SIGMUNDSHERBERG, il viaggio della Memoria, per 5.500 km, di
Francesco Nicolini, sulle tracce di suo nonno, sui fronti italiani della Grande Guerra e
alla ricerca dei lager austro-ungarici dove suo nonno è stato rinchiuso.
Francesco racconta il percorso da lui compiuto – perché di percorso vero e proprio si è trattato per comporre non una storia ufficiale ma la storia di “quella guerra” le cui conseguenze sono
ricadute, come sempre accade, sulle spalle delle classi più povere.
SINTESI
La trilogia è un mosaico composito i cui tasselli restituiscono con grande immediatezza e profonda
commozione il ricordo che il nipote ha della guerra del nonno, ma non solo.
Restituiscono il ricordo di una società contadina che, emarginata dalla modernità, è
tuttavia la fonte stessa da cui la società italiana ha tratto la forza materiale e morale per il
suo progresso.
Inoltre la trilogia di Francesco ci riporta, attraverso il filtro del ricordo, a riflettere sulla distanza
che corre tra la storiografia ufficiale e la realtà dei fatti.
Scrive Francesco :
<< Come sempre succede, la Storia la scrivono i potenti…quelli che hanno vinto, per
lodarsi…quelli che hanno perso, per giustificarsi…non l’hanno mai scritta i contadini…ai quali
durante la Prima Guerra Mondiale, è stato concesso solo il “lusso” di morire..>>
ALCUNI TEMI TRATTATI
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La metafora sulla corruzione di allora e di oggi
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le promesse non mantenute : Antonio Salandra, Presidente del Consiglio dal 21 marzo
1914 al 18 giugno 1916, promette solennemente:
<< Dopo la fine vittoriosa della guerra, l’Italia darà la terra ai contadini, con tutto il
necessario perché ogni eroe del fronte, dopo aver valorosamente combattuto in trincea,
possa costituirsi una situazione d’indipendenza. Sarà questa la ricompensa offerta dalla
patria ai suoi valorosi figli >>.
1
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la sistematica falsificazione della realtà
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il disprezzo profondo, dimostrato in ogni occasione significativa, dai Comandi italiani nei
confronti della truppa che Cadorna chiamava “l’ esercito dei gobbi” che contrastava in
maniera emblematica con lo spirito che improntava i rapporti gerarchici nell’esercito austroungarico.
Nel marzo 1916, la giornalista viennese Alice Schalek, che a ragione può essere
considerata la prima inviata di guerra nella storia del giornalismo, riferiva cosi le
raccomandazioni che il gen. Boroevič le fece nel accordarle la massima libertà di
circolazione sino alle prime linee :
“Se lei promette di non scrivere nulla dei capi, allora sono io a pregarla di farlo. Deve
parlare di ogni mio singolo soldato. Deve andare a vederli, deve raccontare di loro. Non lo
si farà mai abbastanza! […] Cosa potrebbe la mia volontà, se non ci fosse, qui, l’uomo
semplice ignoto a tutti ? Vada da lui e veda come monta la guardia […] Scriva tutto, solo
non dei capi” 1
Racconta Alice Schalek in visita a Gorizia nel marzo del 1916: “... tetti distrutti giacciono in
cumuli bellamente e coscienziosamente accatastati, perché il comandante di Gorizia tiene
la città nell’ordine più rigoroso….i resti delle case squarciate vengono sorvegliati con ogni
cura. Anche davanti alle salme di queste case qua sotto c’è una sentinella ... non si muove,
che si spari o no. Nessuno gli chiede che cosa senta, ma quel soldato è uno di coloro a cui
il generale Boroevič si riferiva quando aveva parlato degli uomini che tengono l’Isonzo”.
-
il vergognoso atteggiamento assunto da Cadorna dopo Caporetto, nei confronti della
truppa posta ai suoi ordini, accusata genericamente di disfattismo e diserzione
-
la barbarie di uno Stato che abbracciando la versione di comodo fornita dal Comando
Supremo per celare i propri madornali errori, nega, unico stato dell’Intesa, ogni aiuto ai
propri compatrioti, prigionieri di guerra nei campi di concentramento austro-ungarici,
considerandoli disertori.
-
i valori di una società, quella contadina, che per chi è vissuto sempre entro le “mura” di
una città, ad esempio Trieste che ha dietro le spalle una tradizione cosmopolita di
commerci, una pluralità di lingue, di religioni, ma anche di scontri etnici - risulta totalmente
sconosciuta.
IL RAPPORTO CITTA’/CAMPAGNA
A Trieste ad esempio, il rapporto città/campagna è sempre stato vissuto in termini di
contrapposizione etnica: città italofona, campagna slavofona e questa caratterizzazione è ancora
ben presente nella cultura triestina, avendone marcato in modo indelebile le vicende storiche.
Nel resto d’Italia, il rapporto città/campagna è vissuto in termini esclusivamente di
contrapposizione sociale. La conflittualità rimane, ma è un conflitto tra proprietario
1
Alice Schalek ISONZOFRONT LEG Gorizia 2010 pg. 25-26
2
terriero/bracciantato agricolo e non vi è di mezzo alcuna “questione nazionale” ad accentuare le
già secolari tensioni.
Città e campagna, nel resto d’Italia, fanno parte di un unico insieme che, tra squilibri e ingiustizie,
è partecipe del medesimo destino.
LA LETTERATURA CELEBRATIVA E LA STORIA SOCIALE
Le celebrazioni del centenario hanno riportato all’attenzione gli scritti dei “volontari giuliani”,
volontari che provenivano in genere da ceti mediamente colti, raramente dal proletariato. Le loro
testimonianze parlano di attese, di speranze, di sogni, contengono - a volte - approfondite analisi
storico-politiche, rivelano la distanza tra la realtà della guerra immaginata e quella combattuta,
come pure rivelano una lenta ma progressiva presa di coscienza dell’ “esaltazione” che
aveva indotto tanta parte degli intellettuali a dichiararsi a favore della guerra.
“Credevamo di sapere gli orrori della guerra per esserceli raffigurati col cervello e col cuore, e in
realtà non sapevamo che la nostra esaltazione. Sapevamo però con conscia certezza che
qualsiasi fossero stati questi orrori, nessuno di noi sarebbe indietreggiato.[…]
Per essa ne sono certa, ognuna di noi sarebbe andata coscientemente al patibolo, così come
coscientemente istigammo e aiutammo tutti i nostri amici (la parte migliore di noi stessi) ad andare
a morire. Giorni d’illusioni folli, fede in un’umanità migliore, che ci faceva esultare e chiedere la
morte di milioni di uomini” 2
L’insieme di queste testimonianze forniscono un quadro di una problematicità lontana da
quella di coloro – ed erano la maggioranza - che lasciavano la campagna, che privavano la
famiglia delle proprie braccia, che non erano mai scesi in piazza a favore della guerra
contro la Duplice Monarchia, che spesso non avevano mai varcato i confini del proprio
comune, che sapevano a malapena leggere e scrivere.
Era la “carne da cannone” che alimentò tre anni e mezzo di guerra.
Erano “i gobbi” di Cadorna ed i “soldati senza nome” di Boroevič.
La storia sociale sta ribaltando l’immagine della Grande Guerra con una narrazione della
“guerra dei poveri” molto diversa dalla “guerra dei generali”. Narrazione che costituisce il
controcanto della letteratura celebrativa che il recente centenario ci ha servito.
Aurelio Slataper ,
nipote di Scipio Slataper (Trieste, 14 luglio 1888 – Monte Calvario, 3 dicembre 1915), scrittore e
militare italiano, irredentista, fra i più noti nella storia letteraria di Trieste.
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Elody Oblath Stuparich Confessioni.Lettere a Scipio Fogola, Torino 1979, p. 32
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