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PRIMO PIANO
Giovedì 19 Gennaio 2017
Fassina si è autospeso. Paglia si scaglia contro Pisapia. Fratoianni è per le barricate
Non c’è pace a sinistra del Pd
Pochi giorni prima della fondazione di Si-Sinistra italiana
DI
A
CESARE MAFFI
sinistra se le danno
di santa ragione.
Stefano Fassina
autosospeso dal
gruppo parlamentare SelSi. Giovanni Paglia,
deputato vendoliano,
etichetta come «maggiordomi di Renzi» i
compagni in procinto
di entrare nel Campo
progressista promosso da Giuliano Pisapia. Il quale Pisapia si
mostra attivo più che
mai nel promuovere
un’iniziativa indubbiamente di sinistra,
ma non ostile al Pd,
quasi per richiamare i
democratici a svolgere
anche loro una politica di sinistra (connotazione che lo stesso
Matteo Renzi ci tiene
a esternare). I sostenitori della rottura col
Pd, tipo Nicola Fratoianni, sono inveleniti con i più moderati
assertori di dialogare con i
democratici, come Arturo
Scotto e Massimiliano
Smeriglio.
L’ i m m a g i n e f o r n i t a
dalla sinistra a sinistra
del Pd, a poche settimane
dalla fondazione ufficiale di
Si-Sinistra italiana, non è
bene augurante per il nuovo movimento. Lacerazioni
e insulti, risse e allontana-
gruppuscoli e della sinistra
post comunista (o ancora
comunista, orgogliosamente, senza post). Ad allontanarsi, a ben guardare, sono
stati soprattutto gli iscritti,
se sono vere le cifre messe
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND
Maradona, lacrime al San Carlo. E non era ancora
passato dalla sede di Equitalia.
***
La presidenza del Parlamento europeo non conta un
granché. Lo dimostra il fatto che fossero due italiani
a contendersela.
***
Padova, diversi preti partecipavano ai festini organizzati da Don Andrea. Orgia pro nobis.
***
Il ministro Franceschini: “Gli italiani stanno tornando
al cinema». Tecnicamente è «fuggire dalla realtà»
Vignetta di Claudio Cadei
menti, sembrano indicare
che, lungi dall’unificare, la
nuova formazione finirà con
lo spaccare. Il tutto rientra
nelle migliori tradizioni dei
in circolazione: 34mila aderenti a Sel nel 2014, 4mila
nel 2016.
Pisapia è stato finora
molto abile nel districarsi
nel turbolento arcipelago
delle sinistre, sfruttando
un indubbio prestigio personale che già da mesi l’aveva
fatto propiziare perfino come
numero uno dello stesso Pd.
Se a sinistra c’è chi ritiene
necessario militare in una
formazione che non accetti
compromessi, altri pensano
che sia invece necessario costringere il Pd ad abbandonare il riformismo renziano e
a tornare, in buona sostanza,
all’antica tradizione del Pci.
Potrebbe loro bastare premere su un Pd costretto a
trovare alleati, voti e seggi,
evitando le larghe intese con
Silvio Berlusconi e altresì
evitando eccessive compromissioni con i centristi, pur
docili. Anzi, meglio sarebbe
che di centristi non ci fosse
l’ombra. Se il paragone reggesse, sarebbe come ricostruire l’unità d’azione fra Pci e
Psi, il Fronte popolare, con
il Campo progressista o Si o
entrambi al posto del Pci e
il Pd in luogo del Psi (probabilmente a molti di sinistra
oggi il Pd ricorda più il Psdi
di Saragat anni 50 che non
il Psi di Nenni).
© Riproduzione riservata
IN CONTROLUCE
Daniele Relli cerca l’esotico in sperdute plaghe della quotidianità,
in culture di nicchia, nell’inferno di passioni e mestieri borderline
DI
U
DIEGO GABUTTI
n tempo, prima del National Geographic e dei
voli low cost, prima delle
grandi migrazioni e delle multinazionali dell’hamburger,
c’era il classico reportage esotico.
Marco Polo, Albert Londres,
Luigi Barzini sr, Pierre Loti,
Edmondo De Amicis, Edgar
Snow viaggiavano in paesi lontani, o anche soltanto se li immaginavano, e raccontavano quel che
avevano orecchiato, fantasticato
e qualche volta addirittura visto
con una prosa fotocolor: ogni capoverso una diapositiva. C’era un
chè di reportage anche nei romanzi d’avventura (Emilio Salgari,
J.F. Cooper, Joseph Conrad,
Hermann Melville, i fumetti di
Tintin) e nelle spy stories (Ian
Fleming, Graham Greene, persino Jean Bruce, l’autore delle
storie di OS 117). Letto il reportage da Singapore o dall’Amazzonia, dal cuore di tenebra del fiume
Congo, dall’isola del Dottor No,
era come esserci stati di persona,
e non importava che si trattasse
in fondo di paesi fantastici o almeno improbabili, veri e immaginari
insieme, che esistevano contemporaneamente sui due piani, nella
realtà e nella letteratura.
Oggi il reportage sembre-
rebbe impossibile. Una qua- del Decennio dell’io, entrambi Calunque località turistica pullula stelvecchi, e come David Foster
di viaggiatori in arrivo da tutte Wallace all’epoca del Tennis come
le possibili Hy Brazil e Shangri esperienza religiosa e di Una cosa
La del pianeta. Amici più o meno divertente che non farò mai più,
stretti, vaghi conoscenti, colleghi entrambi in edizione Einaudi, and’ufficio, vicini di casa condivido- che Daniele Rielli cerca l’esotico
no con vasti indirizzari di voyeur, dov’è andato a cacciarsi, in certe
via Instagram, brutte foto panora- sperdute plaghe della quotidianimiche, video noiosi e ridicoli selfie tà, nelle culture di nicchia, nell’inda tutto il mondo (per non parlare ferno delle passioni e dei mestieri
delle immagini dei mondi virtuali borderline. È in queste isole che
creati con le apposite app).
non ci sono, nel «mondo nuovo» dei
Non ci sono più posti da vedere; giocatori di poker professionisti,
figurarsi se ce ne sono da esplora- dei fan di Valentino Rossi, degli
re. Siamo già stati ovunque cento scrittori russi di Brooklyn, degli
volte (se non di persona, allora via aspiranti startupper e dei fantaserial televisivo, blockbuster). Ci stiliardari in dollari di Internet
abbiamo fatto il bagno al chiar di e delle app virali, dello struscio
luna; ci siamo strafogati di spe- perenne di politici e gazzettieri
cialità locali piccanti; ci abbiamo nelle catacombe dei «retroscena»
comprato il souvenir magnetico da (e dei «retroscena dei retrosceattaccare al frigorifero. Non c’è più na») del Palazzo. Rielli intervista
niente da raccontare. Poi a cam- il fantasma del superpoliziotbiare le carte in tavola arrivano to Persico, l’uomo che per poco
le Storie dal mondo nuovo di Da- non ci lasciò le penne ma che alla
niele Rielli (il «Quit the Doner» fine mise in ginocchio la polizia
di Quitaly. L’Italia
come non la racconSCOVATI NELLA RETE
tereste ai vostri figli,
Indiana 2014, e del
romanzo Lascia stare
la gallina, Bompiani
2015).
Come Thomas
Wolfe ai tempi della Baby aerodinamica kolor karamella e
corrotta di New York: un vecchio
radical, tifoso degli Snowden e
degli Assange. S’intrufola tra i
«writer» che pittano le pareti di
fabbriche e case nelle periferie occupate da immigrati clandestini,
spacciatori, lunatici e altre classi
pericolose. Visita anche due paesi
dell’antiutopia: l’Albania post maoista e post italiofila (dove proprio
di qualche Persico, disposto a giocarsi la pelle, ci sarebbe bisogno)
e l’Alto Adige dei terroristi, «del
giornale radio che divide le notizie
in Sud Tirolo e resto del mondo»,
del bric-à-brac neonazista.
Giornalista straordinario,
scrittore sobrio e rigoroso, Rielli è l’esatto opposto del moderno
gazzettiere italiano, tutto Wikipedia e perbenismo. Non solo perché
vede le cose di persona, cosa certo
encomiabile, ma che in fondo saprebbe fare anche un giornalista
stupido. Rielli è un bravo scrittore perché non imbelletta né imbruttisce quel che vede. Perché ne
parla senza l’ingombro
di fisime, bazzecole,
ovvietà, pregiudizi e
frasi fatte.
Daniele Rielli,
Storie dal mondo
nuovo, Adelphi 2016,
pp. 316, 19,00 euro,
eBook 9,99 euro.
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