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PRIMO PIANO
Venerdì 20 Gennaio 2017
Aveva promesso che lo avrebbe fatto entro gennaio. Mancano solo 10 giorni e non si sa nulla
Grillo e il tagliando alla Raggi
Intanto il sindaco di Roma non ha affrontato niente
DI
MARCO BERTONCINI
V
irginia Raggi passa dal tracollo nella
classifica dei sindaci
(poco) apprezzati dai
propri concittadini alla soddisfazione per la confermata
eleggibilità. Soprattutto si
consola con una considerazione che trova generale rispondenza: le sue disavventure non incidono più di tanto
sulle fortune del M5s (del resto
non intaccate neppure dagli
estemporanei ondeggiamenti
europarlamentari). Intanto le
settimane scorrono senza che
ancora si abbia alcuna notizia del tagliando capitolino
da Beppe Grillo annunciato
per gennaio: eppure manca appena una decina di giorni alla
fine del mese.
La sindaca ha consapevolezza delle difficoltà concrete
in cui è impantanata, tanto che
continua a chiedere tempo ribadendo che sta lavorando. Sia
chiaro: i mali di Roma sono
man mano peggiorati, giunta
dopo giunta, sindaco dopo sindaco. Probabilmente dovrebbe scorrere molto sangue per
rimediare ai danni cui non si
riesce a por rimedio.
Che cosa sia la capitale l’ha
dipinto Ernesto Galli della
Loggia: «Il Comune ha perso il
controllo del territorio; ovvero
ha rinunciato a stabilirvi delle regole secondo un progetto
ragionevole. Il simbolo è la totale assenza della polizia urbana da vie e piazze. Di modo
che, sicuro
dell’assoluta
impunità,
ognuno a
Roma può
fare e fa
quello che
v u o l e. D a
parcheggiare
dovunque in
seconda o addirittura in
terza fila con
conseguente
paralisi del
traffico, a
deturpare il
carattere del
centro storico aprendo
la rivendita
di qualunque porcheria commestibile e no, dallo
schiamazzare dovunque fino
a notte inoltrata, a divellere
segnali stradali, a lordare
senza ritegno marciapiedi e
fontane, a occupare a proprio
piacere il suolo pubblico con
la propria bancarella, con i
propri tavoli nel caso di bar o
ristoranti o con piante e fioriere nel caso di fiorai».
Certo, si potrebbe andare
avanti con ben altro: i conti in
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND
La differenza tra un abruzzese e Salvini: per il primo
il sisma è una calamità, per il secondo una calamìta.
***
Raffica di incendi in Liguria. Cosa non si fa per risparmiare sui riscaldamenti.
***
L’ultima conferenza stampa di Obama si è ripetuta così tante volte che sembra il concerto
d’addio dei Pooh.
***
Canada, rifugiato somalo entra nel governo
Trudeau. In Europa neanche nelle acque territoriali.
Vignetta di Claudio Cadei
cui è impossibile raccapezzarsi; i disastri delle tante società
pubbliche; i trasporti sui quali
il giudizio degli utenti è impie-
toso; la sindacalizzazione spinta corrispondente a una
più che dubbia produttività lavorativa. Probabilmente
pochi enti pubblici
in Italia patiscono
altrettanta disistima dagli amministrati. Tuttavia è
innegabile che il
trascorrere dell’estate, dell’autunno e ora dell’inverno non
abbia segnato una pur pallida
inversione di tendenza.
I romani sono disillusi
dai partiti e dagli uomini che
in precedenza hanno retto il
Campidoglio: se si svolgessero
elezioni domenica prossima, la
Raggi potrebbe essere rieletta; ma solo per rassegnazione,
disperazione, orrore alla prospettiva di tornare in qualche
modo al passato. Possibile,
però, che una, dicesi una,
fra le tante manchevolezze
capitoline non sia stata finora rimediabile dalla giunta pentastellata?
© Riproduzione riservata
IN CONTROLUCE
La sindaca torinese (nonché anche pentastellata) Chiara Appendino
è l’esatto opposto di Virginia Raggi, sempre grillina ma molto scadente
DI
N
DIEGO GABUTTI
on c’è un sindaco «più
amato» dagl’italiani,
come nei giorni scorsi
si leggeva sui giornali. Perché si dovrebbe «amare»
un sindaco? Diciamo che ci sono
sindaci che - per le loro qualità,
caso raro, o perché favoriti dalle circostanze, o per il loro carattere - si fanno notare meno
degli altri e che quindi offrono
meno occasioni d’essere giudicati e (all’occorrenza) detestati.
Tranne che in Corea del Nord,
al vertice dei «moVimenti» populisti e nell’America d’Obama
e Trump, essere invisibili è la
suprema virtù dei leader.
Sindaca torinese, Chiara
Appendino si fa notare poco
(virtù decisamente non pentastellare ma sommamente
sabauda). Per questo è in cima
alle classifiche dei sindaci meno
ingombranti. Non boccia le Olimpiadi, e neppure passa le sue giornate a dire, qualunque cosa succeda, che «tutta la colpa» è sempre
e comunque degli «altri», gli zombie, i politici, e in particolare del
suo predecessore, Piero Fassino
(che è stato un sindaco forse più
burbero ma non meno appartato
e sabaudo di lei). Appendino non
fa grandi conferenze stampa, ma
quando i giornalisti si fanno sotto
con taccuini e telecamere risponde
alle domande senza fare storie (a
differenza di Virginia Raggi, che
non degna i gazzettieri neanche di
un’occhiata, o di Donald Trump,
che risponde solo alle domande
della «stampa sincera» e indica
la porta – «out!» - alla «stampa
bugiarda»). Non è un sindaco che
fugge davanti alle responsabilità
Appendino, inoltre, non ha firmato il
contratto che, pena multe da capogiro, trasforma gli eletti mezza pippa in
marionette nelle mani dei due Associati
supremi (un giorno anti e un giorno pro
Europa, oggi attenti a destra, domani
dietrofront). Infine non è una faccia
nota. Bella, educata e discreta, le puoi
passare accanto in via Po o a Porta
Nuova senza riconoscerla
(sempre a differenza di Virginia
Raggi) e nemmeno un sindaco che
disconosce amici e compari finiti
nei guai («Tizio, dite? è solo uno
dei 23.000 dipendenti del Comune»). Appendino, inoltre, non ha
firmato il contratto che, pena
multe da capogiro, trasforma gli
eletti mezza pippa in marionette
nelle mani dei due Associati supremi (un giorno anti e un giorno
pro Europa, oggi attenti a destr,
domani dietrofront). Infine non è
una faccia nota. Bella, educata e
discreta, le puoi passare accanto mai così contenti (magari sbaglio,
in Via Po o a Porta Nuova senza ri- intendiamoci, forse hanno soltanto
conoscerla. Di qui non la sua popo- l’aria d’essere contenti) come quanlarità (parola grossa e fuori luogo) do una calamità devasta la città di
ma la noncuranza degli elettori. cui sono i primi cittadini e possono
Sta lì. Magari non combina nien- fi nalmente impazzare in collegate di buono, nessuna rivoluzione, mento esterno dal nubifragio, dal
niente di memorabile, ma almeno terremoto, dall’inondazione in tutsi tiene fuori dai guai
ti i talk show. C’è il
(sempre a differenza
sindaco che non si
eccetera). Avanti
sa bene cosa comcosì. Evviva il sinbini oltre a litigare
daco.
con Beppe Grillo
Prendiamo ine c’è il sindaco che
vece Luigi de Manon fa un accidente
gistris. Come si fa
oltre a proclamarsi
non dico ad amarlo
d’accordo sempre
ma anche soltane comunque con
to a tenere la tivù
gli Associati qualaccesa quando ’o
siasi cosa dicano e
sindaco si affaccia
facciano (o si fumidopo cena o all’ora
no).
del tigì nelle nostre
Ci sono poi gli
cucine e nei nostri
ex sindaci per
Virginia Raggi
salotti? Tutti quei
antonomasia.
ricci, e quei modi
Uno è stato apguappi: «Renzi, ti devi cacare sot- pena deposto dal Trono d’Italia,
to», «Al Pacino, vieni a trovarmi», dove s’era seduto a sorpresa, con
«Voglio essere ricordato come il Che un’azione di commando, e dove
Guevara di Napoli», «Maradona, conta di tornare, Berlusconi aiudevi tornare a Margellina». Oppure tando. Un altro di questi sindaci è
prendiamo Giuseppe Sala, sinda- Walter Veltroni, uscito di scena
co di Milano. Uno che quando s’of- già da molti anni, ma non senza
fende con la magistratura (che gli aver lasciato un segno profondo:
ha inviato un avviso di garanzia, film mai visti da nessuno tratti da
come fa con tutti, tranne che con suoi racconti mai letti da nessuno
Virginia Raggi) molla ogni cosa e e film diretti da lui completamente
se ne va a pescare oppure a pian- ignorati da tutti.
gere da Berlusconi. Ci sono sindaci
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