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PRIMO PIANO
Giovedì 26 Gennaio 2017
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Di Maio, Fico e Di Battista si agitano in cerca di una leadership già incarnata dal fondatore
Se Grillo non li zittisce perde voti
Neppure nel Pci c’era una forma così rigorosa di controllo sugli eletti
DI
CESARE MAFFI
N
on c’è da stupirsi se
Beppe Grillo richiama all’ordine gli
eletti pentastellati,
con insoddisfazione espressa
dagli (insofferenti) interessati. Più si mettono in mostra,
più discutono, più fanno
emergere posizioni politiche,
e più rischiano di allontanare
spezzoni di elettorato. Peggio
ancora se indicano tesi assertorie su taluni temi delicati
come le migrazioni: rischiano
di scontentare a destra per
aprire a sinistra e viceversa.
Ovviamente gli eletti (i
portavoce, in gergo) non sono
appagati di praticare questa
obbedienza cieca pronta assoluta. All’ambizione personale
di molti si somma la volontà
di agire politicamente, e quindi di schierarsi. I personaggi mediaticamente più noti,
i Di Battista, i Di Maio, i
Fico, aspirano all’apice, alla
candidatura per palazzo Chigi. Ciascuno, tuttavia, ha la
propria aspirazione, partendo da quella più comune: farsi rieleggere. Devono quindi
farsi notare, parlare, segnalarsi, specie ricorrendo alla
rete, strumento principe per
l’intero movimento. Hanno
altresì le proprie personali
opinioni, che possono essere
antitetiche rispetto a quelle
del collega che siede a fianco, anche perché il M5s non
prende voti per l’ideologia
(che non possiede), la dottrina politica (che ignora),
le proposte (che cerca di sfumare e ridurre), bensì per la
protesta generale. Più grida,
più lo votano. Se però i suoi
eletti cominciano davvero a
far politica, il rischio è che gli
elettori giudichino il M5s alla
stregua di qualsiasi altro partito e che, quindi, molti voti
vadano in fumo.
Grillo è stato consapevole della questione fin
dall’inatteso trionfo alle politiche del 2013. All’inizio
addirittura il silenzio doveva
essere totale, escludendosi
qualsiasi partecipazione televisiva, dichiarazione alla
stampa, esternazione di opinioni. Non erano mancati i
dissensi e quindi le espulsioni. Un certo, progressivo
rilassamento nei divieti ha
provocato sgradevoli contrapposizioni, intollerabili
in una formazione che nega
il proprio status di partito e
quindi non può tollerare né
personalismi né correnti né
articolazioni territoriali o
nazionali di qualsiasi genere.
L’intero movimento si regge
su una diarchia, con metodi
assolutisti: gli ordini vengo-
Tremonti: mancano i fondi per i terremotati.
Questa non è una partita di giro ma di raggiro
Senato della Repubblica, aula, 25 gennaio
Presidente È iscritto a parlare il senatore
Giulio Tremonti. Ne ha facoltà.
Tremonti (GAL (GS, PpI, M, Id, E-E, MPL).
Signor Presidente, signori senatori, data la
drammaticità della situazione, pur nella relativa solennità di questa sessione, le è qui
formulato un serio invito alla responsabilità.
È giusto, ma la responsabilità postula anche
la verità e della verità fanno parte anche i
limiti dell’azione del suo Governo. Limiti di
forma, di procedura e limiti di sostanza. Nella procedura e nella forma si contano quattro consecutive, concatenate e contraddittorie
ordinanze.
Smettetela di fare danni. Per quanto riguarda la
sostanza dei fondi e dei mezzi finanziari, se lei
osserva pagina 53 del rapporto dell’unità di bilancio del Parlamento, tabella sui fondi disponibili, trova solo due miliardi effettivamente
no dall’alto e non si discutono,
mentre le proposte, sempre
provenienti dall’alto, in buona sostanza si ratificano dalla base attraverso la rete. Il
ruolo dei militanti è paragonabile a quello del popolo nei
primi secoli del cristianesimo:
i vescovi erano formalmente
eletti dalla comunità, che invece si limitava ad acclama-
attivabili per la ricostruzione. Tutto il resto gira
con la tecnica dei carri armati di Mussolini; non
è una partita di giro, è una partita di raggiro.
(Applausi dal Gruppo LN-Aut).
Sono soldi spesi già e altrove. E non proseguite
con la sceneggiata dell’Europa; l’Europa i soldi
non ce li dà comunque, ci permette semmai di
spendere i nostri soldi, ma non ci toglie i debiti, ce li lascia. Io credo che sia davvero cinico
questo utilizzo dei numeri. L’Aquila è costata
più o meno 13 miliardi, l’Emilia più o meno
13 miliardi. Voi ci avete detto, e avendolo
detto voi, è vero, 25 miliardi.
Signor Presidente, lei ha garantito la disponibilità dei fondi; torni qui la prossima volta, al
più presto, ci dica dove li trova, come li trova,
certamente troverà la disponibilità di questo
Parlamento. Inviterei però a non usare la forma
cinica della parresia filosofica.
Un invito finale: a piazza Santi Apostoli ci sono i
terremotati, faccia un salto e dica le stesse cose
anche a loro. (Applausi dai Gruppi GAL (GS,
PpI, M, Id, E-E, MPL), LN-Aut e FI-PdL).
re decisioni prese in alto loco,
dai vertici, dai sacerdoti.
Forme così rigorose di
controllo sugli eletti non
hanno precedenti. Si potrebbe citare il comportamento
rigorosamente ortodosso dei
dirigenti dell’antico Pci: ma
si trattava più di autocensura,
frutto di adesione convinta al
centralismo democratico, che
non di formali disposizioni.
Quanto a un partito padronale
come Fi o il Pdl, vi ha sempre
dominato un’estesa anarchia
di opinioni: il Cav decide, disinteressato alle tesi sostenute dai propri dirigenti. Nel
M5s dovrebbe ora venir meno
anche quella limitata libertà
di parola finora concessa.
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IN CONTROLUCE
Raggi, non può decidere niente. Per contratto, deve chiedere il permesso
alzando due dita, anche quando va in bagno, pena multe astronomiche
DIEGO GABUTTI
di pensare, che risponda d’ogni sua
iniziativa a LUI e che non dimentichi mai chi deve ringraziare per
otto inchiesta per abuso d’uflo stipendio che ritira a fine mese
ficio e falso in atto pubblico,
(come se lo stipendio non glielo pache cosa fa la sindaca dell’Urgassimo noi, ma lo pagasse
be, Virginia RagLUI). Tocca a LUI non solgi, invece di disperarsi e
tanto dire a Virginia Raggi
dare le dimissioni, o almeA Lui (e lei) sembra perfettamente normale che
cosa fare e come comportarsi
no autosospendersi, come
un
eletto
nei
ranghi
del
partito-azienda
smetta
di
dopo l’avviso di garanzia per
il Movimento 1\2 Pippa
pensare,
che
risponda
d’ogni
sua
iniziativa
a
Lui
e
abuso d’ufficio e falso in atto
pretende da chiunque fiche non dimentichi mai chi deve ringraziare per lo
pubblico ma anche stabilire
nisca, per ragioni anche
se ogni altro Eletto ½ Pippa
meno gravi, in qualche
stipendio che ritira a fine mese (come se lo stipenha diritto di parlare con i
guaio giudiziario? Niente,
dio non glielo pagassimo noi, ma lo pagasse Lui).
giornalisti o di partecipare
la sindaca non fa niente,
Tocca a Lui non soltanto dire a Virginia Raggi
ai talk show. Chi parla senza
salvo «dirlo» a LUI, affincosa fare e come comportarsi dopo l’avviso di gapermesso è fuori. Al freddo,
chè sia LUI a decidere. Un
ranzia per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico
tra gli eretici. «Vaffa», espulaltro chiamerebbe Perry
ma anche stabilire se ogni altro Eletto ½ Pippa ha
sione e multa.
Mason (o lo studio PreSa dio perché LUI chiaviti). Lei chiama LUI.
diritto di parlare con i giornalisti o di partecipare
mi «democrazia digitale»
LUI, Grillo Giuseppe
ai talk show. Chi parla senza permesso è fuori. Al
questo accentramento d’ogni
detto Beppe, è contemfreddo, tra gli eretici. «Vaffa», espulsione e multa
potere nella sua persona (e
poranemente il «garante»
anche un po’ in quella del giodel Movimento ½ Pippa e
vane Casaleggio, figlio del
una specie di riforma vivente della Costituzione più bella del suoi eletti, sindaca compresa. Raggi, suo ex socio). In ciò che LUI chiama
mondo. Ancora si capisce (è roba da com’è noto, non decide né può decide- grandiosamente «democrazia digitapopulisti mezza pippa, ma si capisce) re alcunché. Per contratto, la prima le» non c’è niente di democratico né
che voglia imporre il vincolo di man- cittadina dell’Urbe deve chiedere il di digitale. Non è nemmeno «autoridato ai disperati che ha proiettato permesso alzando due dita, come a tarismo» (s’incarnava ben altra sfiga
nelle istituzioni grazie all’impazza- scuola, anche quando deve andare in storica nel partito dei «rivoluzionari
professionali» leninisti, o nei «soldati
mento dadaista dell’elettorato italia- bagno, pena multe astronomiche.
A LUI (e lei) sembra perfetta- politici» delle ghenghe d’estrema deno. Ma è peggio che da mezze pippe
l’idea che tocchi a LUI stabilire le mente normale che un eletto nei stra). Non è autoritarismo, ma «vaffimosse (resto, vado, m’autosospendo, ranghi del partito-azienda smetta smo». È bullismo politico da quattro
DI
S
mi dimetto) d’una sindaca eletta da
centinaia di migliaia di cittadini (se
ne saranno anche pentiti, o forse no,
ma l’hanno eletta loro, non LUI).
Eppure è così che la vedono LUI e i
soldi. Sa dio anche perché la stampa
(a parte pochissime eccezioni, tra cui
il nostro giornale) lasci correre senza scandalo quest’idea da delirium
tremens della democrazia.
LUI medita, le sindache
dell’Urbe attendono il Suo responso e gli organi d’informazione, invece
di scoppiare a ridere, o di preoccuparsi finalmente un po’, annuiscono
gravemente. Va bene che il Fatto quotidiano, organo del giustizialismo cubista, corra al salvataggio di Virginia
Raggi nascondendo manette e schiavettoni sotto il tappeto. Ma gli altri
giornali, i giornali veri? Dovrebbero
prendere prudentemente le distanze
da LUI e lei; invece, vedendo che la
scure ancora non s’è abbattuta sulla
sindaca, si compiacciono per il garantismo di cui LUI sta dando prova.
Garantista, severo ma giusto,
LUI sembra disposto al perdono. Conoscendolo, naturalmente, potrebbe
cambiare idea da un momento all’altro, sia per convenienza politica che
così, per ghiribizzo. Fossi Sindaco ½
Pippa non starei sereno. LUI è imprevedibile. Raggi non si culli nelle
chimere. Oggi il perdòno extragiudiziario, domani la multa e la cacciata
dal paradiso populista. Un sindaco
avvisato non è necessariamente
mezzo salvato.
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