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PRIMO PIANO
Giovedì 8 Dicembre 2016
Un governo di scopo (Padoan), del presidente (Grasso) o della Balena Bianca (Franceschini)?
Dopo il voto, il tempo rallenta
Non c’è più fretta. Tutto sembra affogato nella nebbia
DI
C
MARIO SECHI
osa succede? Il governo ha messo la fiducia
sulla manovra, il Pd si
riunisce per la solita
«direzione di autocoscienza», i
giornali sono pieni di retroscena dai quale si evince un leggero caos che non porterà nulla
di buono, sono (ri)comparse meravigliose formule istituzionali
che hanno quel taglio da abito
Facis, demodè, splendidi anacoluti si fanno largo sull’incolonnato quotidiano, è un fuoco
d’artificio di invenzioni retoriche, difficile resistere alla sindrome del divano da Transatlantico. Il titolare di List apre
il taccuino, fonte tripla A, con
un suadente afrore di vecchia,
intramontabile Balena Bianca.
Renzi? »C’è una formula che dà
il senso della situazione: il partito si stringe attorno al segretario… per strozzarlo meglio».
No, dai. «Sì, un coro che emana
un potente narcotizzante». Chi
è il più temuto? «Lotti». Perché?
«Ha twittato sul 40 per cento. È
lui l’anima nera». Addirittura?
«Certo, vuole spingere Matteo
al voto». Mi pare non abbia bisogno di spinte… «Ci pensa Sergio…». Sergio chi? «Mattarella».
Ah, dunque? «Niente, è già frenato, anzi congelato». Reagirà,
deve andare al voto, altrimenti
muore di logoramento. «Lei non
ricorda bene quello che diceva
Giulio…». Giulio chi? «Andreotti!». E che diceva? «Meglio tirare
a campare che tirare le cuoia».
Il taccuino è pieno di note, ma
sembra non succedere niente,
dopo il 4 dicembre il tempo ha
improvvisamente rallentato.
Formule rimaste finora sulla
lavagna del Quirinale: governo
di scopo (Padoan), governo del
Presidente (Grasso), governo
della Balena Bianca (Franceschini). Tre formule, un solo
obiettivo: lo scoppio ritardato
di Renzi.
Votare a febbraio? Impossibile. Primo: fa freddo.
Secondo: guardare affluenza
2013, un disastro. Terzo: il
sostegno al segretario del Pd
si sta già sgretolando (occhio
a Franceschini e al suo dialogo continuo con Mattarella).
Quarto: serve una legge elettorale per il Senato, poche storie;
Quinto: Massimo (D’Alema)
sta manovrando dietro le quinte e «niente elezioni anticipate» e Renzi si becchi tutta la
sofferenza; Sesto: vince Beppe
Grillo (in ogni caso, ormai);
Settimo: non rubare (il tempo)
per il ritorno in grande stile di
tutta la filosofia della Prima
Repubblica, vedere alla voce
legge elettorale proporzionale.
Siamo ottimisti, si è toccato il
fondo, ora è arrivato il momento di cominciare a scavare.
Giornali italiani. Un
giardino delle delizie (dipinto
di Hieronymus Bosch, 1480)
da visitare con lo stupore di
Alice nel paese delle meravi-
glie (Lewis Carrol, 1865). Pri- ne che non va a dama: «Renzi confessionale e quanti peccati.
mo caffè energetico e Corriere tenta l’inciucio per comandare figliolo? Padre, volevo rifare il
della Sera: «Inconcepibile il ancora». Libero ha individuato Pd e il Pd ha rifatto me.
voto subito». È l’altolà di Mat- quello che avanti il prossimo:
What is left? Che cosa è
tarella. Amen. Tutto compunto, «Grasso che cola» (da Pietro, la sinistra? In attesa di un
imparruccato e accigliato An- presidente del Senato e can- altro congresso straordinario
tonio Polito spiega e dispiega didato sempre a qualcosa che del Pd, utile per arrotolarsi sul
la fenomenologia
dilemma, il titolare di
dell’arditismo: «Da
List vi offre un pratico
Votare
a
febbraio?
Impossibile.
Primo:
troppi anni dosi
quadretto pubblicato
fa freddo. Secondo: guardare affluenza
massicce di avvendal Wsj che in sintesi
2013, un disastro. Terzo: il sostegno al
turismo vengono
è questo: a sinistra è
segretario del Pd si sta già sgretolando
iniettate nel nocrollato quasi tutto. In
stro sistema politiAustria, sinistra e verdi
(occhio a Franceschini e al suo dialogo
co». Perbacco, cose
hanno vinto con la forcontinuo con Mattarella). Quarto: serve
grosse da via Solfeza della disperazione le
una
legge
elettorale
per
il
Senato,
poche
presidenziali, ma sono
rino, dove dovrebbe
storie;
Quinto:
Massimo
(D’Alema)
sta
assediati; in Francia,
transitare l’intellimanovrando
dietro
le
quinte
e
«niente
il Partito socialista è
genza di quella boralla canna del gas, Holghesia che, da anni,
elezioni anticipate» e Renzi si becchi tutta
lande andrà a casa e
se ne lava le mani
la sofferenza; Sesto: vince Grillo (in ogni
a sinistra ci sono sette
e quel capitalismo
caso, ormai); Settimo: non rubare (il temcandidati per l’Eliseo; in
in svendita (che ha
po)
per
il
ritorno
in
grande
stile
di
tutta
la
Germania la Spd spera
lasciato al Corriefi
losofi
a
della
Prima
Repubblica,
vedere
in Martin Schulz e
re conti eccellenti,
alla voce legge elettorale proporzionale
staranno freschi, stretti
in effetti), sempre
tra il cingolato di Angeon the shelf, sullo
la Merkel e il martello
scaffale del miglior
offerente. Perché è chiaro che non arriva). La Verità dà una della Frauke Petry; in Spagna
l’arditismo non va bene, meglio lettura da telaio: «La trama di è finita com’è finita, il Psoe, per
due volte, ha perso le elezioni, il
il soporifero nulla, che funzio- Renzi per rimanere».
Il caffè ar vetro conduce segretario Sanchez è tornato a
na benissimo (vedremo tra poco
come). Andiamo avanti. Che fa dritti al bar di Ginetto e al Mes- fare il fotomodello e, alla fine, il
Repubblica. Work in progress. saggero: «Mattarella: no al voto partito si è arreso all’evidenza
Mario Calabresi scrive un subito». L’editoriale di Massi- empirica di dover far nascere un
pezzo che ha indubbiamente mo Teodori centra il punto: altro governo Rajoy; in Grecia il
il pregio della distanza, senza «Ma il big bang della sinistra Pasok è morto, sepolto dall’istinruvidezze, dove si evoca «lo spi- decide la crisi». Eccoci, signori e to rapace e dal malgoverno; nel
rito dei tempi» e si pone un mat- signori, siamo alla questione di Regno Unito il Labour è spiagtoncino finale su una casa che fondo e sottofondo, di dritto e di giato sulla scogliera di falesia di
non c’è: «È il momento di fare rovescio: la sinistra. Questo pia- Dover, ha perso le elezioni, ha
un bel respiro e salvare l’Italia neta che ha perso il treno della perso la Brexit, è andato a carte
dalla tentazione dell’ordalia». contemporaneità. E vedremo quarantotto in Scozia e ha un
Ok, ma come la mettiamo con come, tra qualche riga. In mez- leader, Jeremy Corbyn, che
lo zeitgeist, lo spirito dei tempi? zo a questa battaglia, tra il sembra uscito da un tazebao
Perché quello esiste, non è una clangore dell’acciaio e la polvere degli anni Settanta; infine, c’è
forza astratta, è la disarmante e e le macerie fumanti, si erge il l’Italia, con Matteo Renzi che
rapida potenza dell’elettore che titolo dell’Osservatore Romano da rottamatore è diventato
domenica ha ruggito. La Stam- che ieri pomeriggio offriva una «premier congelato».
C’è altro? Sì, i democrapa trae le conseguenze: «Elezio- versione redux della faccenda:
ni, Mattarella frena Renzi». Il «Sempre più complesso il qua- tici in America sono stati
Giornale ha un’interpretazio- dro politico in Italia». Aprite il sepolti dalla Clinton e ora sono
impegnati nell’eroico riconteggio dal quale otterranno un
solo risultato: vincerà Trump
per la seconda volta. È questo
lo zeitgeist, lo spirito dei tempi
del quale la sinistra planetaria
ha perso la traccia nei radar.
Quando non vedi più il traffico
sullo schermo, alla fine vai a
sbattere contro qualcosa: la realtà. Un luogo dove c’è un nuovo
linguaggio, nuovi simboli, nuovi
totem con pochissimi tabù. Populismo? Yes, ma o lo capisci o
non lo eviti. Ti travolge. Seguire Trump. Mamma ho preso
l’aereo. Il mezzo è il messaggio
diceva Marshall McLuhan e
dobbiamo prenderlo sul serio
perché ne abbiamo avuto la
prova anche ieri sera. Il Tweeter in Chief (Donald Trump)
ha inviato questo messaggio:
Cancel order! Trump non vuole il nuovo Air Force One e
spedisce un altro messaggio ai
suoi elettori e ai democratici.
Populismo? Ok, va bene, chiamatelo come volete, ma l’etichetta non risolve il problema:
Trump funziona. È una rottura
del linguaggio e della liturgia
politica di impressionante forza e efficacia. Tutto quello che
manca alla sinistra di qualche
riga fa. Renzi l’aereo nuovo
l’ha fatto decollare. E certo,
siamo al populismo e al vaffa,
in molti casi al ruttodromo,
ma resta un punto sul quale
riflettere: è strafinita l’era dello storytelling, l’elettore chiede
azione. Ciak, si gira. E il film
è a scansione accelerata delle
immagini, va in onda sui social, non sui media tradizionali.
Quanti partiti in Italia hanno
una macchina digitale come
quella del Movimento 5Stelle?
Nessuno. Tanti auguri. E buon
zeitgeist a tutti.
Il Foglio.it - List
CIOÈ NELLE DUE REGIONI DOVE L’INSEDIAMENTO DEL PD DI TIPO TRADIZIONALE È PIÙ CONSOLIDATO
Il Sì ha vinto in Emilia e Toscana
Bersani non può quindi dire che ha sconfitto Renzi nel Pd
DI
D
GOFFREDO PISTELLI
opo aver lasciato a Massimo
D’Alema il lavoro sporco, financo ridere dell’esito referendario e
parlarne insieme alla Roma, nel
senso di «maggica» squadra calcistica, nella sede del comitato del No, Pier Luigi
Bersani, uomo della «non vittoria» del
2013 è corso a intestarsi la vittoria di tre
anni dopo. E poi ha dettato la propria contrarietà a che si vada al voto rapidamente:
«Non si vince sulla macerie», ha ripetuto.
Gli ha fatto subito eco, in questo senso,
Susanna Camusso, leader Cgil, che
condivide la stessa leadership nell’ideale
partito dei livori antirenziani. Dopo aver
a lungo chiesto a Roberto Speranza di
assumere l’immagine pubblica della sua
corrente, Bersani torna lesto a dispensare le sue analisi mescolate a eloquenza
padana, solo che le mucche nei corridoi
hanno preso il posto dei tacchini sul tetto
di un tempo.
Resta da vedere se questo attribuirsi meriti per la vittoria del No sia
giustificato, perché l’apporto della sinistra
dem al fronte abrogazionista è infatti
alquanto discutibile. Secondo l’Istituto
Cattaneo, che ha analizzato un campione
dell’elettorato democratico in 11 grandi
centri, si è schierata per il No una quota
di votanti dem che varia dal 20,3% a Firenze e al 22,8% di Bologna, fino al 40%
a Napoli e Palermo, passando per il 33 di
Torino. A voler leggere questa sconfessione della linea ufficiale del Nazareno come
una grande primaria, Bersani avrebbero
perso sempre. Senza dimenticare che il rilevamento dell’istituto bolognese, oltretutto, era misurato in raffronto ai dati delle
politiche del 2013, quando il Pd ottenne
il 25%.
Un dato grezzo, se si considera la
volatilità del consenso oggi e che tre
anni sono praticamente un’era geologica,
durante la quale il Pd aveva acquisito
nuovi elettori, poi in parte perduti, come
hanno mostrato prime le amministrative
del 2015 e dello scorso giugno, e sondaggi
successivi. Ma grezzi o raffinati che siano,
quei flussi dimostrerebbe che la diaspora
bersaniana è stata teoricamente decisiva
solo al Sud, dove ha sottratto al Sì almeno
10 punti percentuali. Più che alambiccarsi
il cervello in valutazioni statistiche, basterebbe guardare al voto nelle due sole
regioni in cui il Sì ha vinto, l’Emilia e la
Toscana, ossia i territori a maggior e storico insediamento prima del Pci, poi del
Pds e dei Ds, l’anima del Pd in cui maggiormente si identifica la minoranza di
Bersani, le cui personali fortune politiche
sono cominciate proprio dal governo della
Regione emiliana. Laddove la Ditta, celebrata sempre con pathos dalla retorica
bersaniana, era radicata la contropropaganda della minoranza sembrerebbe aver
avuto un effetto risibile.