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PRIMO PIANO
Venerdì 3 Febbraio 2017
Quello fra D’Alema e Renzi che sta distruggendo l’unico partito del ’900 rimasto in piedi
Un duro scontro fra Titani(c)
Se la minoranza Pd esce, M5s diventa il primo partito
DI
S
MARIO SECHI
contro tra titani(c). What
is left? È stato lo slogan
pensoso e pomposo di
molti dibattiti sulle varie
«cose» della sinistra in tutto il
mondo. In Italia la faccenda dal
1989 (crollo del Muro, Achille
Occhetto, buchi nelle bandiere, svolta per nessun dove, della
Bolognina) interessa parecchio
gli esperti di neuropsichiatria.
L’ultima puntata del Game of
Thrones della Garbatella (topos del racconto in progress, dal
brutale Nanni Moretti ai più
sofisticati Cesaroni) ha come
protagonisti Matteo Renzi e
tu quoque Massimo D’Alema.
Il primo vuole votare, il secondo sabotare. Matteo desidera
giocare l’all-in, Massimo è uno
specialista del buio, il segretario fa wrestling, il rottamato fa
l’ape sul ring.
Questo scontro tra
titani(c) sta distruggendo l’ultimo partito del Novecento che
era rimasto semi-in-piedi in Italia. La seduta di autocoscienza
demolitoria non è più sul governo del paese, il suo destino
eccetera ma su quanta sabbia
sia rimasta dentro la clessidra
per fissare la data del voto. È
tutta una questione di tempo.
Sopravvivenza e mors tua vita
mea. Più tempo per Renzi significa più logoramento, più
tempo per D’Alema significa
più energia (denaro) e organizzazione per fare la scissione.
Renzi vuole tagliare il tempo,
D’Alema lo vuole dilatare fino
a farlo diventare proustiano, un
tempo perduto.
In entrambi i casi siamo
ormai al tempo perso perché
la scissione, in queste condizioni, sta per diventare un esito
obbligato, un dato strutturale,
una rovina. Il Pd con l’uscita di
D’Alema, Bersani e gli altri perderebbe voti e avrebbe di nuovo
l’ennemi à gauche in fase Dracula, non potrebbe neppure lontanamente centrare l’obiettivo
40% (mission impossible già
adesso) e sarebbe certamente
battuto dal Movimento 5 Stelle di Grillo che diventerebbe
il primo partito d’Italia. Anche
in caso di voto alla coalizione,
saremmo in presenza di piccole
galassie, tutte minacciate dalla
presenza di un pianeta con una
enorme forza gravitazionale,
sempre i 5 Stelle.
La (dis)soluzione della
crisi nel Partito democratico
fa da specchio per il centrodestra, dove anche in presenza di
coalizione (e senza un robusto
premio di maggioranza) non
ci sarebbero i numeri per governare e tutto incoraggia alla
corsa solitaria per poi contarsi
in un secondo momento. A quel
punto, in pieno clima tropicale, tra le piante carnivore della
Prima Repubblica, immersi
in un proporzionalismo senza
partiti, il Movimento 5 Stelle
divenuto primo partito ha il di-
ritto di esprimere un presidente
del Consiglio e trovare degli alleati. Con le mani libere, tutto è
possibile e la logica degli affini
conduce dritti a un esisto da
sottosopra.
Gli elettori di Grillo, Salvini, Meloni e della stessa Forza
Italia, si scambiano le figurine
dei candidati (è già ampiamente
successo alle amministrative),
sono già più avanti dei loro leader che, in queste condizioni,
non hanno nient’altro da fare
che diventare followers della
loro massa e cliccare «mi piace».
Su cosa? Il governo sovranista a
Palazzo Chigi. Questo non è un
incubo né un fantascenario, è
l’incidente nucleare che si apre
se il segretario del Pd perde la
valigetta con i codici di lancio e
una parte del suo esercito si ribella. D’Alema e soci non hanno
i numeri per vincere, ma possiedono quelli sufficienti per far
perdere. La situazione ricorda
quella in cui si trovò Napoleone a Waterloo nel 1814, Bonaparte prima di muover battaglia
disse: «Wellington è un pessimo
generale. Prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo».
Giornali italiani. Sono il
batiscafo che s’immerge nello sprofondo del Belpaese. Sui
quotidiani il bollettino è appunto quello di una guerra. Il primo
caffè se ne va con il Corriere della Sera, che titola con il solito
brio da marcia funebre: «La
battaglia nel Pd sul voto». Per
la serie, frasi argute e memorabili, ecco l’incipit di Massimo
Franco: «L’impressione è che
la situazione stia sfuggendo di
mano». L’impressione? Repubblica dà una sverniciata allo storytelling della felicità contabile
e apre così: «Sui conti l’Italia
non convince la Ue. Napolitano:
sbagliato votare subito». L’unico
giornale a diffusione nazionale
piazza un uno due di realtà, due
righe di titolo d’apertura, due
fatti che danno la misura della
crisi aperta nel Pd (e nel paese)
dal no al referendum costituzionale lo scorso 4 dicembre. Tutti i
contributi al minimalismo post
voto se ne vanno in fumo, puf!
Il Fatto Quotidiano traduce
la situazione così: «Arrenditi
Matteo, sei circondato». David Allegranti sul Foglio è
sintonizzato sulla stazione di
Radio Rignano, onde cortissime: «Assedio a Renzi». Libero
salta direttamente il voto e arriva alle conclusioni: «Ci manca
un ducetto», occhiello: «Dopo il
voto ci aspetta il caos». La Verità
allarga la faccenda all’Europa
attaccata alla canna del gas:
«Che cosa fare se l’euro si frantuma». La Stampa apre sulla
lettera spedita dall’Italia alla
Commissione europea, la lettera è una non-risposta, non c’è
un numero ma certificata la
fase del salto nel buio: «L’Italia
all’Ue, correggeremo i conti».
Per fortuna c’è Marcello Sorgi che sferruzza con
pazienza sicula un pezzo di
analisi politica sulla «Strana
alleanza per le urne», cioè
quella tra Renzi, Grillo e Salvini, tre che insieme possono
stringersi la mano e trenta
secondi dopo pugnalarsi alle
spalle. Sul Giornale l’apertura
è davvero off-topic, ma in compenso c’è un intelligente pezzo
di Alessandro Gnocchi sul
dilagante uso a sproposito della parola maledetta dei nostri
tempi: «Populista, l’insulto jolly». Mi hai fregato la paghetta, populista! Il vocabolo ora
è usato anche nel commento
delle sentenze, è atteso il suo
sbarco a MasterChef per un
ingresso nel lessico degli unici
intellettuali che vendono libri
in Italia, i cuochi.
È l’ora di un caffè ar vetro
a Il Messaggero, titolo d’apertura: «Corsa al voto, guerra
nel Pd». Sì, ma ne notizie ne
abbiamo? Certo, l’oroscopo di
Branko: «Leone, sviluppi molto
positivi». Sul Mattino c’è la fase
iper-suk: «Caos Pd, l’offerta di
Renzi». In prima sul quotidiano
di Napoli c’è un patchwork di
nera e bianca con un dizionario
da paura: «listopoli», «maxi-inchiesta», «cyberbulli», «pistola»,
«armi», «tomba», «blitz». Sembra di stare in un noir a Marsiglia, tra le nebbie del porto.
Dal Profondo Nord, il
Gazzettino sull’ultimo ritrovato di ingegneria costituzionale
all’italiana: «I nuovi Venetisti.
Secessione? No, decolonizzazione». Premio la fortuna è cieca,
ma la sfiga ci vede benissimo
assegnato di diritto alla protagonista di questo titolo in
prima pagina sulla Gazzetta
del Mezzogiorno: «Eredita tre
miliardi di lire, non può cambiarli in euro». Termini scaduti.
Come l’Italia. Il titolare di List
va all’estero. Dove? Nell’unico
posto dove stanno facendo davvero la rivoluzione, in America.
Trump, la tv e i democratici. Trump l’altro ieri ha
battuto l’ultimo discorso sullo
Stato dell’Unione di Obama e
ha battuto anche se stesso negli
ascolti tv di quando condusse la
prima stagione di The Apprentice. Piaccia o meno, The Donald
è un fenomeno di pop-politica
formidabile. P.S. Il segretario di
Stato Rex Tillerson ha passato l’esame del Senato. Faceva il
petroliere, al Dipartimento di
Stato finalmente c’è uno che sa
cos’è la geopolitica.
Hanno perso la Casa Bianca. E anche la testa. Si parlava
di guerra civile americana ieri
a Mix24 con Giovanni Minoli
e Pietrangelo Buttafuoco e
ops! eccola: al direttore di Breitbart News, il giornale da cui
proviene il consigliere strategico
di Donald Trump, Steve Bannon, è stato impedito di partecipare a una discussione pubblica
organizzata dall’Università di
Berkeley. Milo Yiannopoulos
è stato oggetto di una durissima
contestazione da parte di manifestanti di sinistra. Risultato:
evento cancellato, botte, feriti,
incendi. La democrazia e il free
speech valgono solo quando vincono loro.
Le perdite di Deutsche
bank. Il colosso finanziario
della Germania paga i costi
delle cause aperte dopo la crisi dei mutui subprime di cui
Deutsche ha sulle spalle emissioni tossiche per 7,2 miliardi.
Risultato nel quarto trimestre:
una perdita netta da 1,9 miliardi di euro.
I ricavi di Facebook e i
giornali. Segnaliamo il tripudio con cui i giornalisti scrivono
sui risultati economici di Facebook. Sembrano quasi azionisti.
Il social network ha realizzato
il record di ricavi nel trimestre,
8.8 miliardi di dollari, derivanti
all’84 per cento dalla pubblicità
su piattaforma mobile. Tripudio.
Che bravi. Siamo di fronte a un
oligopolio che sta distruggendo
il mercato dell’informazione e
il dibattito civile. Ma ormai è
chiara la deriva, Zuckerberg,
uno che ha in mano le vite pubbliche e private di 1.9 miliardi
di persone, pensa di correre
alle presidenziali americane
nel 2020. I democratici, i progressisti, gli illuminati, hanno
trovato l’esito finale della loro
storia per la libertà: applaudire
come scimmiette ammaestrate l’incubo del totalitarismo
orwelliano.
IlFoglio.it - List
UN AMMINISTRATORE SICILIANO RACCOGLIE L’IMMONDIZIA PER COMPENSARE L’ASSENZA DI PERSONALE
Assessore e operatore ecologico
Polemica sugli Ato, gli enti che gestiscono le società del servizio rifiuti
DI
H
GAETANO COSTA
a indossato i guanti da lavoro.
Poi è salito sul camion dei rifiuti
e, insieme con l’autista, ha svuotato i cassonetti del suo Comune. Come operatore ecologico, Giuseppe
Tramontana, assessore all’Ambiente di
Villalba, in Sicilia, se l’è cavata piuttosto
bene. L’amministratore della giunta di
Alessandro Plumeri, sindaco civico del
paese in provincia di Caltanissetta, ha
preso il posto di un operaio assente per
motivi di salute che non è stato sostituto
dagli Ambiti territoriali ottimali (Ato), gli
enti sovraccomunali che gestiscono, tra le
altre cose, la raccolta dell’immondizia e la
riscossione delle apposite tasse.
Villalba conta circa mille abitanti. La scorsa settimana, i cassonetti da
svuotare, per un solo operatore, erano
troppi. Dopo che l’operaio malato non è
stato rimpiazzato, Tramontana ha dato
la sua disponibilità per fare il giro dei
contenitori della spazzatura, in modo da
evitare il dissolversi di cattivi odori e l’accantonarsi dei rifiuti ai bordi delle strade.
Il Comune, in una nota, ha precisato che il
sindaco Plumeri e l’assessore Tramontana
«hanno più volte sollecitato la società Ato
Rifiuti a regolarizzare la presenza di personale, in quanto, per svolgere il servizio
in sicurezza, occorrono un autista e due
operatori».
«Malgrado ciò», ha proseguito il
Comune, «a tutt’oggi si continua a non
avere stabilità nella presenza in numero
necessario di personale per lo svolgimento
del lavoro quotidiano della raccolta rifiuti.
Tale protesta scaturisce dall’esasperazione verso l’Ato Rifiuti che, per la gestione
del servizio, viene retribuita con una lauta
spesa da parte di tutti gli enti che ne fanno parte». Lo sfogo dell’amministrazione
di Villalba, però, non ha avuto effetti. E
l’assessore Tramontana è tornato a farsi
sentire, annunciando di essere pronto a
informare la prefettura del disservizio di
Ato Rifiuti prima di sottolineare «la rabbia e la frustrazione nel dover retribuire
la quota di circa 40mila euro annui per
il mantenimento dei suddetti uffici burocratici».
Da tempo, gli Ato sono al centro del
dibattito politico della Sicilia. Lo scorso
luglio, il governatore Pd dell’isola, Rosario Crocetta, aveva presentato un ddl
che riduceva gli Ato da 18 a 9, mentre il
ministero dell’Ambiente aveva chiesto di
portarli a 5. Un paio di settimane fa, l’Autorità anticorruzione (Anac) ha effettuato
un’indagine conoscitiva sul ciclo dei rifiuti
siciliani, finalizzata a verificare «fenomeni
distorsivi» del sistema. L’Anac ha dato alla
Regione due mesi di tempo per illustrare
le misure che intende adottare.