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Oltre il 4 dicembre, verso il 25 marzo. C’è bisogno ancora di dire NO
Pubblichiamo di seguito l’appello delle realtà aderenti al percorso C’è chi dice NO per un’assemblea
di bilancio e di rilancio fissata per gennaio. L’esito del referendum, nelle sue proporzioni, è andato
oltre ogni previsione. Abbiamo già scritto, subito dopo il voto, che l’essere stati dentro questa
partita, con una propria voce autonoma e non omologabile al resto dell'”accozzaglia”, sia stata per i
movimenti antagonisti una scommessa vinta. Non ci ritorniamo sopra, e spendiamo invece qualche
parola sul dopo-referendum. La nascita del governo Gentiloni, con una squadra di governo
pressoché identica a quella del dimissionario governo Renzi ci raccontano allo stesso tempo di una
forza e di una debolezza della controparte. Partiamo dalla seconda.
Con il 4 dicembre, ci sentiamo di poterlo dire, è finito non solo il governo Renzi, quanto una
possibilità di governo pacificato e consensuale della crisi. In un contesto di sostanziale stagnazione,
di impoverimento e di aumento delle tensioni sociali, gli esponenti italiani del capitalismo
globalizzato ed europeista hanno giocato la carta Renzi come tentativo di convogliare e di
compattare attorno a una narrazione (“l’Italia che riparte”) e a un programma politico
organicamente neoliberista al servizio dalle esigenze competitive dei piani alti della borghesia
italiana (“la rottamazione, il fare spazio al nuovo”), un ceto medio che doveva essere la base della
stabilità nella tempesta della crisi. Questo tentativo è fallito, questa carta si è bruciata nella
sofferenza sociale del dilagare dei voucher, dei risparmiatori truffati dal decreto Salva-Banche, delle
decine di migliaia di giovani e meno giovani costretti a emigrare, in una disoccupazione che non
scende, nel 28,7 % di italiani a rischio povertà. La narrazione non ha retto l’urto della realtà.
Un urto che ha fatto paura alle classi dirigenti del Paese, e che ha imposto di sanare
immediatamente quella finestra di possibile ingovernabilità creatasi il 5 dicembre. Una corsa ai
ripari precipitosa che ci dice una cosa semplice: la governance capitalistica non ha al momento (e
probabilmente per un bel po’ di tempo) delle alternative al progetto (fallito) del PD di porsi come
nuovo Partito della Nazione. Laddove non è più possibile governare con il consenso, diventa dunque
necessario governare nonostante il dissenso. E qui arriviamo alla forza della controparte. Senza la
presenza di un movimento di massa conflittuale e autonomo dalla logica elettorale, infatti, ogni
scossone imposto dal voto (non certo inutile, ma chiaramente insufficiente) viene facilmente
riassorbito. Si tratta di un dato di fatto ineludibile che ci pone davanti un problema e la necessità di
un approfondimento, nel momento in cui questa attivazione autonoma e conflittuale stenta a
decollare e a massificarsi, e l’ostilità verso il PD e tutto ciò che rappresenta non riesce ad andare
oltre al voto. Un voto che è soggettivamente punitivo, di odio, un voto tradito ma ancora impotente
(esempio lampante di questa sicurezza degli assetti di governo sono state le sprezzanti
Oltre il 4 dicembre, verso il 25 marzo. C’è bisogno ancora di dire NO
dichiarazioni del ministro Poletti degli ultimi giorni).
Che scenari ci aspettano dunque, e come attraversarli? Innanzitutto, è forse il caso di dire che delle
elezioni imminenti non sono così scontate, ed è persino possibile che il governo arrivi fino alla fine
della legislatura. Quando il voto diventa un fattore di instabilità politica (e oggi instabilità politica
significa in primo luogo fibrillazione dei mercati finanziari), bisogna cercare di far votare il meno
possibile e laddove non è possibile, contenerne gli effetti. Mentre nel PD si apre una battaglia
interna per la riorganizzazione degli equilibri di partito, che vede tuttavia poche alternative reali
alla riconferma di Renzi, quel 60 % di NO sarà sicuramente conteso nei prossimi mesi da Lega Nord
e M5S, che punteranno a contenerne la forza dentro il gioco elettorale.
Compito nostro è dargli un’altra direzione e un’altra prospettiva (la cui elaborazione politica è
tutt’altro che semplice e scontata). Dare continuità e maggiore connessione alle diverse lotte che
conduciamo nei territori è sicuramente necessario per far vivere il NO sociale, dargli visibilità e
concretezza, e così sottrarre terreno alle destre che alimentano il conflitto orizzontale. Allo stesso
modo, su un piano politico più generale, da un lato la manifestazione del 25 marzo contro l’Unione
Europea, in occasione dei 60 anni dei trattati di Roma, dall’altro i referendum sul Jobs Act,
rappresentano due appuntamenti su cui la continuità del NO sociale, la sua tenuta e i suoi margini
di crescita, possono e debbono misurarsi.
Due appuntamenti su cui le realtà sociali, politiche e sindacali del territorio lucchese che hanno
costruito la campagna per il No sociale a Lucca e che hanno promosso la partecipazione alla
manifestazione del 27 novembre sono sicuramente chiamate a una discussione.
—–
Abbiamo detto No e non ci basta! Assemblea nazionale 22/01/2017
Siamo quelli che hanno detto NO in piazza alla Leopolda di Firenze il 5 novembre, il 27 novembre a
Roma e il 4 dicembre nelle urne. Siamo scesi in piazza in decine di migliaia di persone a Roma,
venendo dalle grandi città e dalla province, dai territori devastati dalle grandi opere, dalle periferie
e dalle zone terremotate. Siamo le stesse persone che, tra milioni di altre, hanno respinto la riforma
costituzionale: i giovani e giovanissimi, gli abitanti del Sud Italia e tutti coloro per cui la povertà è
un certezza e il futuro un dubbio.
La partecipazione al voto è stata un segnale di rifiuto all’arrogante progetto di Renzi e del Partito
Democratico sull’immiserimento dell’Italia. Un progetto fatto da abbassamento del costo del lavoro
Oltre il 4 dicembre, verso il 25 marzo. C’è bisogno ancora di dire NO
con il Jobs Act, speculazione sui territori con lo Sblocca Italia, la negazione dei più basilari diritti con
il Piano Casa, la privatizzazioni dei beni e dei servizi pubblici a causa del pareggio di bilancio, la
trasformazione delle scuole in aziende con la Buona Scuola.
Sappiamo bene che tanti partiti politici, anche xenofobi e razzisti, hanno rivendicato la vittoria del
NO, ma non possiamo non notare come nelle città in cui le lotte territoriali hanno prodotto una
partecipazione popolare la delegittimazione della riforma abbia raggiunto percentuali di voto
importanti: dalla Val Susa alle assemblee dei quartieri di Napoli, dalla Laguna veneziana alle coste
trivellati dei nostri mari.
Pochi minuti dopo l’esito del referendum abbiamo visto gli sconfitti riciclarsi ai posti di governo,
mostrando arroganza e disprezzo nei confronti delle volontà di chi è andato alle urne.
Renzi prima ha messo in atto l’ultimo show con le sue dimissioni, poi si è trasformato in Gentiloni,
personaggi come la Boschi venivano addirittura promossi mentre i ministri delle riforme
mantenevano le loro poltrone e difendevano il loro operato, disposti a tutto pur di garantire la
continuità clientelare del Partito Democratico.
Sapevamo da subito che il 4 dicembre non sarebbe stato il punto di arrivo, ma l’inizio di una nuova
fase di mobilitazione che si opponga, al di là di Renzi, a chi pensa di mantenere lo status quo,
ovvero la generalizzazione della miseria per i molti e dell’arricchimento di pochi. Gentiloni non è
altro che la continuità delle misure di austerità e impoverimento imposte dall’Unione Europea, e
sono queste le politiche che dobbiamo contrastare.
E’ questo governo che rappresenterà l’Italia nei prossimi mesi in chiave internazionale,
attraversando passerelle di autocelebrazione delle virtù dell’Unione Europea come quella prevista
per il 25 Marzo a Roma. La stessa Europa che mentre smantella i diritti, indirizza le responsabilità
della sua gestione fallimentare della crisi contro i più poveri, soprattutto i migranti. Per questo
motivo la data dell’anniversario dei Trattati di Roma rappresenta una possibilità di mobilitazione per
ridare corpo e voce al NO sociale. Capiamo insieme come.
I tanti temi delle realtà e dei comitati che hanno animato la campagna “C’è chi dice NO” hanno
trovato negli scorsi mesi dei momenti di condivisione. La loro mobilitazione allude ad un
cambiamento radicale delle condizioni di vita del presente e non si limita ad opporsi alle riforme
strutturali dei governi della crisi.
Non ci interessa la competizione elettorale tra partiti, ma le ragioni che hanno portato diciannove
milioni di cittadini ad esprimersi contrariamente alla riforma costituzionale.
Sono i contenuti reali delle lotte e delle iniziative sociali a dover essere messi al centro di un
dibattito collettivo e aperto con una grande occasione di confronto, che proponiamo per domenica
22 gennaio alle ore 13.00 all’Università della Sapienza a Roma.
Oltre il 4 dicembre, verso il 25 marzo. C’è bisogno ancora di dire NO
MOVIMENTI E TERRITORI DEL NO SOCIALE
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