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PRIMO PIANO
Venerdì 17 Giugno 2016
Che, secondo lui, si verificherebbe nel caso che, nel referendum di ottobre, vincesse il SI
D’Alema teme lo scontro finale
Per Repubblica è «l’emblema del declino della sinistra»
DI
I
FRANCESCO DAMATO
n due anni e mezzo di
scontro con l’odiato Matteo Renzi, che costituisce
dopo Bettino Craxi il più
grande incidente di percorso
incontrato in quattro decenni,
più grande anche della caduta
del muro di Berlino, nel 1989,
e dell’irruzione di Silvio Berlusconi nella politica con la
vittoria elettorale del 1994, la
sinistra-sinistra, quella che va
a letto con i calzini rossi per
avere sempre il colore del cuore a portata di piede, non si è
mai sentita così male. Mentre Renzi, sempre lui, reduce
dall’approvazione del decreto
legislativo contro gli statali
fannulloni, o furbetti del cartellino, vola a San Pietroburgo
per vantarsene con Putin in
persona, tra le pieghe di un
summit internazionale, e dimostrare
di quali e quante
riforme egli sia capace in Italia, Nichi Vendola per
continuare a sorridere deve starsene in Canada col
suo compagno Ed
e farsi fotografare, e intervistare,
con in braccio figlioletto Tobia,
nato quest’anno in
California. Dove
– ha spiegato l’ex
governatore pugliese – “la legge
consente di scrivere all’anagrafe quello che vuoi”,
a prescindere dall’utero della
necessaria gravidanza.
Massimo D’Alema, almeno sino a qualche giorno fa
in Puglia, in attesa di tornare a Roma – si presume – per
scegliere nel ballottaggio di
domenica prossima fra il suo
compagno di partito Roberto
Giachetti e la grillina Virgi-
nia Raggi come sindaco della
Capitale d’Italia, si guadagna
da Stefano Folli, l’editorialista di Repubblica, la qualifica
di «emblema del declino della
sinistra», dopo esserne stato e
forse ritenendo di esserne ancora «leader storico». Fabrizio
Rondolino, peraltro suo ex
collaboratore ai tempi di segretario dell’ex Pci e poi di presidente del Consiglio, ha invece
invitato D’Alema sulla prima
pagina della storica, anch’essa,
Unità fondata incolpevolmente
da Antonio Gramsci, di decidersi a dire se voterà Giachetti,
dopo avere smentito l’intenzione attribuitagli da un retroscenista di Repubblica, per niente
deciso a ritrattare il suo racconto, di preferire la candidata
pentastellata al Campidoglio
pur di fare un dispetto a Renzi, e di contribuire ad una sua
Vignetta di Claudio Cadei
sconfitta politica, magari propedeutica ad un’altra ancora
più grossa e inevitabilmente
foriera di una crisi di governo,
e di partito: la vittoria del no
al referendum di ottobre sulla
riforma costituzionale.
Mentre Rondolino si
aspetta da D’Alema un sì,
per quanto sofferto, al povero Giachetti, già definito nei
Matteo Renzi
mesi scorsi dall’ex presidente
del Consiglio inadatto, o quasi,
alla carica di sindaco di Roma,
il presidente del Pd Orfini, e
casualmente Matteo pure lui,
come Renzi, lo ha sfidato a presentarsi disciplinatamente ai
gazebo allestiti dal partito per
festeggiare un po’ di
tutto: dall’abolizione della tassa sulla
prima casa alla mobilitazione per il sì
al referendum costituzionale d’autunno.
È facile immaginare
con quanto fastidio
D’Alema abbia accolto, con il carattere che ha, invidie a
sfide a condividere
ciò che notoriamente
non gli piace. E cui,
se proprio dovesse
decidere di offrire
qualche gesto di sopportazione, vorrebbe
farlo con la maggiore
discrezione possibile. Peraltro,
l’ex presidente del Consiglio
non si è limitato a smentire le
intenzioni e confidenze ad amici attribuitegli da Repubblica.
Né si è limitato ad attribuire, a
sua volta, al retroscenista del
giornale diretto ora da Mario
Calabresi l’esecuzione di
chissà quale odioso mandato
dei suoi avversari di partito
per denigrare la propria immagine. Egli ha pure accusato
Renzi e amici, con dichiarazioni dirette o altri retroscena,
magari suscettibili anch’essi di
smentite o precisazioni, di «stare cercando un capro espiatorio
perché pensano che i risultati
di domenica non saranno soddisfacenti come vorrebbero».
Ma non è finita. L’adiratissimo
D’Alema ha anche espresso il
sospetto, se non la convinzione,
che una vittoria del sì nel referendum costituzionale d’autunno potrà servire a Renzi per
una resa dei conti nel Pd, con
o senza congresso anticipato.
Una resa di conti comprensiva
dell’espulsione dei dissidenti, a
cominciare da lui, «l’emblema
– secondo la già ricordata definizione di Folli su Repubblica
– del declino della sinistra» di
vecchio, anzi antico conio.
Buone notizie arrivano
invece, una volta tanto, almeno per gli affezionati all’ex
Cavaliere, dal fronte di Silvio
Berlusconi. Che ha superato
così bene l’intervento al cuore da avere indotto i medici a
prevederne il ritorno pieno alla
politica, a dispetto di tutti i preparativi, annunciati o nascosti,
di una successione. Al risveglio,
Berlusconi non si è risparmiato (secondo una gola profonda
raccolta da Libero Quotidiano
diretto da Vittorio Feltri) il
piacere di «fare il gallo con l’infermiera». Avrà forse da dolersene la compagna Francesca
Pascale, che dal canto suo si è
guadagnata, con quelle lacrime
carpitele dai fotografi appostati
davanti all’ospedale, la davvero
insperata difesa dell’insospettabile, seppur sempre urticante, Marco Travaglio sul Fatto
Quotidiano. Dove in queste ore
preferiscono prendersela con i
troppi «non so» e «non ricordo»
opposti dal giudice costituzionale ed ex presidente del Consiglio Giuliano Amato ai giudici che lo hanno interrogato a
Roma sugli avvicendamenti da
lui gestiti ai Ministeri dell’Interno e della Giustizia negli ormai lontani anni delle presunte
trattative fra lo Stato e la mafia
stragista.
Formiche.net
SCOVATI NELLA RETE
IN QUELLO DEL 18 APRILE 1993 CHE CAMBIÒ LA LEGGE ELETTORALE
Già un’altra volta Massimo D’Alema scommise,
sbagliando, sonoramente, su un No a un referendum
DI
CLAUDIO PETRUCCIOLI
L’
occasione del referendum (è
quello del 18 aprile 1993 che
cambiò la legge elettorale) era
attesa da una parte della sinistra (del Pds) per un regolamento di
conti. L’obiettivo era che il NO superasse il venticinque per cento dei voti. Pur
attribuendone al Msi un dieci per cento,
sarebbe risultato che, a sinistra, c’era
un’area di opinione intorno al quindici
per cento che rifiutava la riforma voluta dal SI’. Così pensavano in molti.
Fuori dal Pds, una maggioranza dei
dirigenti dei verdi – Gianni Mattioli
in testa – la Rete (il raggruppamento di
Leoluca Orlando), molti intellettuali
(Rodotà e altri), il manifesto; oltre a
Rifondazione. C’erano, poi, pezzi della
sinistra democristiana e del mondo
cattolico. Infine, al nostro interno, i comunisti democratici (la minoranza che
non seguì la scissione di Rifondazione);
ma non solo loro. Si sarebbe aperta una
contestazione molto acuta, che avrebbe
messo in discussione la segreteria Occhetto; ma anche la svolta e il Pds.
D’Alema agì per collegarsi a
questa realtà, per accreditarsi come
interlocutore, in alternativa a Occhetto
se il referendum avesse avuto un esito
in linea con le aspettative del NO. Ci
furono incontri: a Firenze con Caponnetto e Mattioli. Furono programmati
appuntamenti: un’assemblea nell’au-
la magna dell’università di Roma con
Ingrao. Di tutto questo lavoro, di cui
D’Alema fu parte attiva, sono a conoscenza non certo perché io sia abituato
a «fare indagini». Mi giungevano notizie, mi informavano in molti. I «comitati del NO» proliferavano dappertutto. Il loro vero significato era rivelato
dall’obiettivo di renderli permanenti, di
farli esistere anche dopo lo svolgimento
del referendum. Dovevano aggregare
una «sinistra di opposizione», antagonistica: in conflitto con chi aveva pensato
e voluto il Pds.
Se il NO avesse avuto il risultato
che si aspettava, tutto era pronto per
una virata che avrebbe rimesso in discussione l’orientamento di fondo della
sinistra: Pietro Ingrao lasciò il partito nelle settimane immediatamente
successive al referendum (il SI ebbe
l’82,60%) . Fu la sua ultima battaglia:
fino a quel momento non aveva del
tutto rinunciato a determinare una
inversione di rotta. Visto l’esito, valutò che – almeno in tempi brevi – non
c’erano forze sufficienti; e rinunciò.
D’Alema cercò di volgere il sommovimento a proprio vantaggio. Da allora,
cioè dalla primavera del ’93, e fino a
luglio del ’94, ogni sua parola, ogni suo
atto non hanno avuto altro obiettivo
che la cacciata di Occhetto
da: Claudio Petruccioli
Rendiconto – Il Saggiatore, 2001.
pagg. 120-121