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INCHIESTA '&330&."3&*/"55&4"%&-#0/64
Mentre il governo
tratta il ferrobonus
con Bruxelles, i privati
chiedono di migliorare
la rete e di separare RFI
da Trenitalia, per poter
competere in vista
dell’appuntamento
più atteso dell’anno:
l’apertura del Gottardo,
che raddoppierà
la capacità di traffico
con la Germania
NON SI VIVE
DI SOLI
INCENTIVI
P
er il combinato ferroviario, la
linea in questi giorni più trafficata è quella tra Roma e Bruxelles. Il decreto ministeriale che dovrà
distribuire, per il prossimo triennio,
i 20 milioni l’anno di incentivi al
ferro-strada, stanziati dall’ultima
legge di Stabilità, è ancora in cottura ma, soprattutto, attende l’ok
preventivo dell’Unione europea, per
evitare all’Italia di incorrere ancora
una volta in procedure d’infrazione.
Una prima missione ha permesso di
strappare un via libera a riproporre
l’impianto dei precedenti decreti in
materia, ma evidenziando i fini ambientali che si intendono perseguire
con la misura.
L’ultimo ferrobonus
In particolare, il provvedimento del
2011 prevedeva inizialmente di assegnare 25,7 milioni a «servizi di
trasporto combinato o trasbordato
con treni completi» che avessero
mantenuto un volume di traffico
almeno dell’80% di quello svolto
nell’anno precedente e si fossero
18 aprile 2016
impegnati a mantenerlo anche per
quello successivo». Ma in questo
modo il contributo – 2 euro per treno/km – sarebbe finito al gestore
ferroviario, l’unico in grado di garantire l’organizzazione di treni completi. Per questo il decreto, su richiesta
degli autotrasportatori, fu corretto:
il 40% dell’incentivo avrebbe dovuto
essere girato al trasportatore, tramite una riduzione della tariffa.
Un meccanismo che dovrebbe essere riproposto con il nuovo decreto, anche perché, sostengono le
associazioni del trasporto merci su
gomma, i 60 milioni complessivi di
questa volta sono soldi ai quali
hanno rinunciato gli autotrasportatori, sacrificando il rimborso
dell’accisa per i veicoli fino a Euro
2 che vale 180 milioni di euro nel
triennio e che ha consentito di
finanziare l’intermodalità del ferrobonus, ma anche quella del marebonus. Eppure, non si tratta di
cifre tali da giustificare, da sole,
l’eccitazione che si vive in questi
giorni negli ambienti ferroviari.
L’attivismo del governo
Certamente crea speranze l’attivismo del governo. Il nuovo responsabile della struttura tecnica di missione del ministero per le Infrastrutture
e i Trasporti, Ennio Cascetta, ha prodotto, ai primi di febbraio, un documento sulle «Politiche per il rilancio
del trasporto ferroviario delle merci»
che punta decisamente sull’intermodalità, con l’obiettivo di aumentare
«almeno del 40%» nei prossimi tre
anni i servizi ferroviari intermodali.
Un risultato da raggiungere attraverso un miglioramento dei collegamenti tra porti e interporti (è
previsto addirittura un Piano degli
interporti), ma soprattutto attraverso «un ripensamento dell’approccio
agli incentivi», che identifichi «meccanismi premiali di accesso a incentivi e defiscalizzazioni».
Dieci giorni dopo è sceso in campo
lo stesso ministro, Graziano Delrio,
per annunciare l’aggiornamento
2015 del contratto di programma
con RFI, «riempito» con 8.971 milioni, ai quali, ha detto, si aggiun-
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e l’avvio allo sviluppo entro il 2020.
L’obiettivo è di «diventare leader nel
trasporto merci ferroviario transalpino
da/per l’Italia, mantenendo l’attuale
posizione in Italia. Ciò avverrà focalizzandosi su sette corridoi transalpini e
due corridoi nazionali e facendo perno
sulla pianura padana e collegando i
porti di Genova, La Spezia, Livorno e
Trieste».
Le richieste private
Tutto al Nord, insomma. Anche per
questo ha suscitato irritazione tra gli
operatori privati il decreto del ministero dei Trasporti – previsto dalla legge
di Stabilità – che stanzia solo per «i
trasporti merci compresi quelli transfrontalieri aventi origine o destino
soltanto nelle regioni meridionali e
nelle isole», altri 100 milioni di incentivi (anch’essi sotto la lente di Bruxelles)
per le imprese ferroviarie che prestino
«servizi per il trasporto nazionale di
merci per ferrovia». Giancarlo Laguzzi, presidente di Fercargo, l’associazione delle imprese ferroviarie private,
lamentava già a dicembre – quando il
decreto era in bozza – che quei soldi
«per una formulazione burocratica errata si possono utilizzare solo in parte
per incentivare il sud Italia e non l’intera rete ferroviaria nazionale».
Quello del Mezzogiorno è un grosso
problema: tunnel troppo stretti per i
carri container, banchine troppo corte
per le operazioni di carico e scarico,
ponti non in grado di sopportare carichi troppo pesanti. Ma non è che il
resto della rete nazionale stia tanto
meglio: il limite massimo di massa
rimorchiata oggi è di 1.600 tonnellate
(sulla linea del Brennero l’hanno da
poco aumentato da 1.300 a 1.500),
mentre in Germania in alcuni casi si
arriva anche a 4.000 fin dai tempi della trazione a vapore. «Bisognerebbe
portarlo almeno a 2.000», ha chiesto
Laguzzi in un convegno organizzato a
fine febbraio proprio da Fercargo per
presentare le richieste degli operatori
privati: treni di 750 metri (anziché dei
550 attuali); sagome da 4 metri per
attraversare gli Appennini, un solo
macchinista, utilizzo dell’Alta velocità
anche per le merci, maggiore integrazione tra ferrovia e terminal.
Laguzzi si fa forte di una «ripresina»
che, stando ai dati della «Nota congiunturale Confetra» 2015, segna
un incremento del 2,6% del cargo
ferroviario. Anche in questo caso non
molto e comunque meno dell’incremento di tre punti registrato dall’autotrasporto. Ma in tempi stentati come
quelli attuali, il segno è incoraggiante.
E il presidente di Fercargo se ne è subito appropriato per sostenere che
«la liberalizzazione ha avuto effetti
positivi» e che «se l’intermodalità
avesse un prezzo competitivo, ovvero un costo per i clienti più basso del
tutto camion, almeno sulle medie-lunghe distanze e sui corridoi ad elevata
IL GRUPPO FS SI RICORDA DELLE MERCI
Dopo anni di tagli al servizio, il Gruppo FS ricomincia
a guardare alle merci: il nuovo polo cargo pubblico ha dato il via
a un piano di riorganizzazione che prevede la costituzione di
una holding con le sue 10 società che attualmente operano nelle
merci, per raggiungere il riequilibrio economico entro il 2018.
Obiettivo: «diventare leader nel trasporto merci ferroviario
transalpino da/per l’Italia
20 aprile 2016
domanda, la liberalizzazione, a parità
di regole, riprenderebbe fiato e i volumi crescerebbero».
Una posizione diversa da quella del
Gruppo FS che punta a una penalizzazione dell’autotrasporto. Marco Gosso, amministratore delegato di FS Logistica e Cemat e probabile prossima
guida del nuovo polo cargo, ha chiesto
di «tenere in considerazione le esternalità negative del trasporto su gomma,
come viene fatto, per esempio, in Svizzera». Praticamente una richiesta di
Eurovignette anche per l’Italia.
Le risposte pubbliche
Richiesta respinta da Cascetta («Non
è all’ordine del giorno, è una misura
che richiede studi approfonditi e tempi lunghissimi, oggi le priorità sono
altre») che, però, ha raccolto alcune
di quelle avanzate da Laguzzi, a cominciare dal macchinista unico, osservando che «siamo rimasti ormai gli
unici in Europa a far viaggiare su molti
locomotori due macchinisti, per di più
in un quadro di totale disomogeneità
territoriale». (Per inciso, la Deutsche
Bahn sta effettuando prove con treni
senza macchinista e prevede di renderli operativi entro cinque anni).
Dallo stesso palco, poi, Gianpiero
Strisciuglio, direttore commerciale
esercizio rete di RFI, ha annunciato
che si sta decidendo come intervenire
per permettere la circolazione a 2.000
tonnellate «su determinati slot», ennesimo segno che qualcosa si sta davvero muovendo, sia pure con la consueta lentezza della mano pubblica.
E adesso apre il Gottardo
Ma ci sono altri due tizzoni che covano sotto la brace e infuocano l’attività degli operatori – pubblici e privati
– e dello stesso governo, nella frenetica ricerca di attrezzare una rete che
è il tallone d’Achille di qualunque tentativo volto al rilancio del cargo ferroviario e del combinato: il prossimo
1° giugno aprirà il tunnel di base del
Gottardo e il successivo 1° dicembre
sarà dato il via al traffico regolare.
Quei 57 chilometri da Erstfeld nel
cantone di Uri a Bodio nel canton
Ticino non costituiscono soltanto la
galleria ferroviaria più lunga del mondo (quella sotto la Manica misura 54
chilometri), ma sono anche un’opera
che intende spostare su rotaia gran
parte del traffico merci tra il Nord d’Italia e il Sud della Germania, grazie
anche al forte aumento della tassa
sul traffico dei tir, già previsto a partire dal 2017, che porterà, per di più,