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 La Cassazione conferma che per gli accertamenti standardizzati il contraddittorio preventivo è un obbligo anche “ontologicamente” fondato (nota a Cass., sez. V-­‐trib., sentenza 20 gennaio 2017, n. 1496) di Costantino Scalinci, 3 febbraio 2017 1 Con la recente sentenza 20 gennaio 2017 n. 1496 la sezione tributaria della Cassazione, nonostante la presenza di una disposizione normativa ad hoc applicabile ratione temporis alla fattispecie in contestazione, curiosamente avverte l’esigenza di confermare che l’attivazione di un contraddittorio endoprocedimentale “sulla prova e per la prova” di accertamenti standardizzati è indefettibile anche a seguito del revirement delle Sezioni Unite sull’esistenza di una «clausola generale di contraddittorio» e che tale obbligo è ontologicamente fondato, perché necessario a verificare l’ipotesi probabilistica a base degli studi di settore. La controversia concerneva un accertamento di maggiori imposte sul reddito relativo al periodo d’imposta 2004 e, in quanto tale, ricadente nell’ambito di applicazione della novella che introdusse l’obbligo di «invita(re) il contribuente a comparire, ai sensi dell'articolo 5, D.Lgs. n. 218/1997» «prima della notifica dell'avviso di accertamento» [cfr., il comma 3-­‐bis dell’art. 10, l. n. 146/1998, inserito dall'art. 1, comma 409, lett. b), L. n. 311/2004, che, ai sensi del successivo comma 410, ha «effetto a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004»]: obbligo cui, nella fattispecie, l’ufficio si era sottratto. La Cassazione curiosamente non riconosce de plano a tale circostanza e a quel dato normativo il peso specifico che avrebbero meritato, ma quasi ne prescinde e indugia sull’antefatto istruttorio, sulla tipologia di tributo accertato, sulla recente e alterna giurisprudenza delle Sezioni Unite sull’esistenza di un generale e immanente principio del contraddittorio. Più nel dettaglio, è singolare che, nonostante il cennato e chiaro dettato normativo del 2004, la Corte non si limiti a trarne le inesorabili implicazioni ma prenda le mosse dalla circostanza che l’accertamento in questione non concerne un tributo armonizzato e non è stato preceduto da alcuna attività ispettiva presso la sede dell’impresa accertata, per poi adombrare anche soltanto il dubbio – fugato un attimo dopo – che in questo caso «l'obbligo del contraddittorio non sussista». Eppure è proprio questo, in sintesi, l’iter argomentativo seguito dal Giudice di legittimità il quale giunge, così, ad osservare che, se in base alla sentenza a Sezioni Unite del 18 settembre 2014 n. 19668, «il principio» del contraddittorio endoprocedimentale avrebbe operato «a prescindere dalla qualificazione giuridica dell'accertamento (analitico induttivo o in base agli studi di settore)» e dall’esistenza di una previsione specifica – trattandosi di un obbligo «immanente nell'ordinamento tributario» «ogni volta che debba essere adottato un provvedimento che incide sui diritti e gli interessi del contribuente» – viceversa a seguito del revirement delle Sezioni Unite del 2015 (sent. 24823 del 9 dicembre) quel «vincolo» al contraddittorio «sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito», salvo che l’accertamento attenga a tributi armonizzati. A seguire, però, è la stessa Cassazione a dirimere ogni perplessità sulla “persistenza” dell’obbligo di attivare il contraddittorio preventivo nella procedura di accertamento standardizzato. Tracciando un sentiero inutilmente tortuoso e ripercorrendo a ritroso alcuni dei suoi precedenti, la Corte chiarisce che le Sezioni Unite del 2015 comunque confermarono, «anche in relazione ai cd. "accertamenti standardizzati" (quelli, cioè, fondati sui "parametri" di cui all'art. 3, commi 181 e ss., l. 549/1995 o sugli "studi di settore")», la necessità di un contraddittorio endoprocedimentale e – come pure nella sentenza n. 26635 del 2009 – non già «sul presupposto della vigenza nell'ordinamento di una clausola generale di contraddittorio, bensì in considerazione delle specifiche caratteristiche ontologiche e normative di detti accertamenti». È, peraltro, curioso che la Cassazione cerchi una conferma nei suoi precedenti di legittimità più che nello specifico enunciato normativo vigente «a decorrere dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2004». Già, perché soltanto al netto dell’espressa previsione normativa del contraddittorio preventivo ai fini di un accertamento di quella tipologia – e, quindi, soltanto qualora la Corte avesse dovuto definire un accertamento relativo a periodi antecedenti alla novella del 2004 – avrebbe avuto senso chiedersi se negare l’esistenza di una clausola generale immanente e circoscrivere il principio del contraddittorio ai cd. tributi armonizzati – come 2 fecero le Sezioni Unite nel 2015 – avrebbe potuto consentire il superamento della precedente giurisprudenza “additiva” (cfr., ancora, SS. UU. sent. 18 gennaio 2009, n. 26635) dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale in materia di accertamenti “standardizzati”. È, quindi, singolare che la Corte si ponga questo interrogativo, per poi trovare una risposta guardando – ancora una volta, nell’ottica parziale e riduttiva della sentenza del 2015 – proprio a quella pronuncia del 2009 (cfr., SS. UU. sent. 18 gennaio 2009, n. 26635) in cui – a ben vedere – le Sezioni Unite colmarono la mancanza di una disposizione ad hoc applicabile ante novella 2004, considerando il contraddittorio preventivo un obbligo «a prescindere dalla espressa previsione» (così, sent. n. 26635/2009): e, più precisamente, un «momento» di «partecipazione del contribuente alla fase di formazione dell'atto» «comunque, “indefettibile”» per ogni procedura di accertamento standardizzato, «in ossequio al principio del giusto procedimento amministrativo» e all’“imperativo costituzionale” di verificare la tenuta e pertinenza dei «dati statistici di settore» alla luce di «elementi concreti desunti dalla realtà economica dell'impresa del singolo contribuente» (cfr., ancora, SS. UU. sent. 18 gennaio 2009, n. 26635; cfr., altresì, Cass., sent. n. 17229/2006 e Corte cost., sent. 1° aprile 2003, n. 105). Ad ogni modo, se non altro nel concludere questo fin troppo articolato percorso argomentativo, la sezione tributaria giunge, finalmente, al punto. Sia pure utilizzando ulteriormente il diaframma della più recente “pronuncia plenaria” (SS.UU. sent. 24823/2015), la Cassazione rileva che «una serie di norme», «tra le quali anche quelle che interessano la vicenda per cui è causa» [art. «10, comma 3 bis, l. 146/1998 (introdotto dall'art. 1, comma 409 lett. b, l. 311/2004)»], «impongono il contraddittorio anche in quei procedimenti accertativi che non comportano verifiche, ispezioni ed altro nella sede dell'azienda (art. 12 co. 7 Statuto del contribuente)». Per motivare il decisum sarebbe stato sufficiente ricordare proprio questo dato positivo, oltre all’elaborazione – quella sì giurisprudenziale – che conferì al contraddittorio preventivo ad un accertamento per standard anche la specifica funzione di integrare e testare un’ipotesi probabilistica di settore. Ricorrendo diffusamente alla “mediazione dei suoi precedenti” e alla loro “rilettura plenaria” del 2015 (sent. n. 24823), la Cassazione va ben oltre e finisce per sottrarre dalla penombra a cui sembravano destinate proprio le sue pronunce di maggior peso sistematico specifico. La Corte, per la verità, le ricorda soltanto nel resoconto che ne fecero le Sezioni Unite del 2015, ma basta guardare direttamente alla fonte perché ci sia restituita l’immagine nitida del tentativo compiuto (proprio in quella più recente pronuncia) di “armonizzare” e di escludere ogni antecedente “distonica” fondazione dell’obbligo del contraddittorio sulle caratteristiche ontologiche di un atto o di un procedimento tributari, a prescindere dall’esistenza di uno specifico ancoraggio normativo. Contrariamente a ciò che sostennero nel 2015, infatti, le Sezioni Unite, già nella sentenza 26635/2009, avevano cercato e trovato la ragion d’essere dell’obbligo di attivare il contraddittorio nel “principio” del giusto procedimento e nelle caratteristiche “ontologiche” della prova per standard. Già allora, pertanto, era stato tracciato e seguito un percorso “deduttivo” almeno prossimo a quello che, nel 2014, condusse le stesse Sezioni Unite ad affermare generale l’obbligo di preavvisare il contribuente dell’imminente emissione di un atto lesivo e di consentirne una proattiva partecipazione al procedimento. Quel “metodo”, dunque, era già in auge ed è difficilmente conciliabile con l’impostazione che, soltanto un anno dopo, portò il Giudice di legittimità a negare categoricamente l’immanenza del principio del contraddittorio. Più che gli approdi, fu proprio la metodica più volte sperimentata l’autentico file rouge della giurisprudenza “additiva” di forme di contraddittorio endoprocedimentale non specificamente previste dal legislatore. Così si spiega perché l’accurata analisi (SS. UU. sent. 24823/2015) di trascorsi nomofilattici obiettivamente “distonici” rispetto al revirement del 2015 fu un esercizio delle Sezioni Unite tutt’altro che ricognitivo e rese necessario limitare al novero degli atti similari ad un’iscrizione ipotecaria la ragion d’essere, prima che la portata, del 3 principio sistematico enucleato nel 2014 (nelle sentenze 19667-­‐19668). Tutto ciò è assai eloquente dell’importanza della questione in cui per molti aspetti si inscrive anche la vicenda del contraddittorio per gli accertamenti cd. standardizzati e delle ragioni profonde che hanno determinato la parabola altalenante – per ora, discendente – della giurisprudenza sul contraddittorio endoprocedimentale (cfr., in questo Supplemento, SCALINCI, Sull’esistenza di un generale diritto al contraddittorio preventivo la Cassazione conferma una “frattura interna corporis” tuttora scomposta, e ivi ulteriori richiami), ma è anche esemplare del rischio che, nell’elaborazione mediata dal diaframma di autorevoli “precedenti”, si smarrisca il dato di partenza – in questo caso – positivo e dirimente: ossia, proprio quella norma ad hoc, dalla quale la Corte sembra quasi prescindere, che nel 2004 impose espressamente di “invitare” il contribuente a comparire «prima della notifica dell'avviso di accertamento», così come nel 2011 l’obbligo del “preavviso” di iscrizione ipotecaria ex art. 77 del D.P.R. n. 602/1973 [cfr., l’art. 7, comma 2, lett. u-­‐bis), del d.l. n. 70/2011, conv. con modif. nella I. n. 106/2011], rendendo indefettibile un incombente propedeutico al contraddittorio endoprocedimentale prima ancora che le Sezioni Unite (nel 2009 e nel 2014) giungessero ad affermarne la necessità in ogni tempo, o a prescindere da un’espressa previsione normativa.