il 40,1% dei GioVAni è disoccuPAto

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Transcript il 40,1% dei GioVAni è disoccuPAto

Nuova serie - Anno XLI - N. 6 - 16 febbraio 2017
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Amaro frutto dei governi Renzi e Gentiloni
All’Assemblea nazionale
“Non una di meno” a Bologna
A ruba il volantino
“Viva lo sciopero
globale dell’8 Marzo”
Molti complimenti dalle partecipanti
all’Assemblea
PAG. 10
Il 40,1% dei giovani
è disoccupato
Più del 75% dei contratti è a tempo determinato
PAG. 3
Accordo tra PD, M5S, Lega
Il nuovo Italicum
anche per il Senato
D’Alema lavora per un listone antiRenzi. Bersani non esclude la scissione del PD
Verso le elezioni a giugno?
Primo incontro tra i due governanti imperialisti alla Casa Bianca
Asse imperialista
tra Trump e May
Vogliono guidare il mondo e distruggere lo Stato islamico
Trump e Putin si accordano per
combattere assieme lo Stato islamico
PAG. 14
Al vertice informale di Malta
L’UE vuole blindare la
rotta migratoria del
Mediterraneo centrale
Alla marina libica il compito di intercettare i
barconi e rimandarli indietro
PAG. 15
Ignorando anche le misteriose due polizze vita intestate alla sindaca di Roma
Grillo blinda l’inquisita
e opaca sindaca di Roma
L’ex capo della segreteria Romeo indagato per abuso d’ufficio
Raggi deve dimettersi
Ogni occasione è buona per rilanciare un
diversivo che invece di contrastarlo è
congeniale al capitalismo
PAG. 4
“La sicurezza conta più del profitto”
Strage di Viareggio:
Rivendichiamo
il lavoro, non 7 anni a Moretti. Il Pm
ne
aveva
chiesti
16
l’elemosina
familiari delle 32 vittime in aula con lo
“No alla prescrizione”. L’ex
del “Reddito di Istriscione:
patron di Rfi deve dimettersi
cittadinanza” “Sistema ferroviario insicuro”
PAG. 3
PAG. 2
PAG. 5
2 il bolscevico / interni
N. 6 - 16 febbraio 2017
Accordo tra PD, M5S, Lega
Il nuovo Italicum
anche per il Senato
D’Alema lavora per un listone antiRenzi. Bersani non esclude la scissione del PD
La bocciatura solo parziale dell’Italicum da parte
della Corte costituzionale,
che ha respinto il ballottaggio ma lasciato in piedi la
truffa del premio di maggioranza al 40% e i capilista bloccati, ha aperto un insperato varco alle smanie di
Renzi di precipitarsi verso le
elezioni anticipate il più presto possibile, possibilmente
a giugno se non addirittura
a fine aprile, nel tentativo di
prendersi una rivincita e tornare a Palazzo Chigi.
Tutta questa fretta si
spiega con la preoccupazione che col passare del tempo si dissolva del tutto quel
gruzzolo del 40% di Sì alla
sua controriforma costituzionale, che egli crede (o si
illude) possano tramutarsi in
altrettanti voti al PD, mentre
al suo interno cresce il dissenso della sinistra e si sta
facendo sempre più concreto il rischio di una scissione.
D’altra parte l’insperata facoltà di poter ancora decidere i nomi dei 100 capilista
bloccati e candidabili in più
collegi, gli dà ancora un’ultima occasione di disfarsi
dei suoi avversari interni e
affrontare una nuova legislatura con dei gruppi parlamentari completamente
omogenei e asserviti.
È in questo quadro che
il 31 gennaio il PD è riuscito a concludere un accordo
con il Movimento 5 Stelle e
con la Lega, altrettanto interessati ad andare quanto
prima al voto, per estendere anche al Senato il nuovo
Italicum, ovvero ciò che ne
resta dopo l’intervento della Consulta. In questo modo
verrebbe superato il veto di
Mattarella allo scioglimento anticipato della legislatura in mancanza di una legge elettorale omogenea per
le due Camere.
Analoghe trattative sono
in corso anche con Berlusconi, che pur continuando
a preferire il proporzionale puro è tentato anch’egli
dalla possibilità di scegliersi
personalmente i candidati.
E per fare in tempo a votare
in primavera, la proposta del
PD prevede l’approvazione in parlamento con tempi
contingentati e con il voto di
fiducia, eventualmente con
il voto di Lega e M5S solo
sugli emendamenti e l’uscita dall’aula al momento del
voto di fiducia al governo.
Minacce di scissione
e invocazione del
congresso
Tuttavia
l’accelerazione
Verso le elezioni a giugno?
verso il voto anticipato impressa da Renzi ha fatto insorgere la sinistra del PD,
che ha percepito il rischio di
essere fatta fuori attraverso le candidature. Alle aperte minacce di D’Alema, che
alla riunione dei suoi comitati per il No aveva ventilato l’uscita della sua corrente
dal PD in caso di forzature
elettorali di Renzi, si è unito
anche Bersani nell’ammettere per la prima volta non
più impensabile una scissione da parte della sinistra
del partito, e nel resuscitare
il fantasma dell’Ulivo: “Non
minaccio nulla né garantisco nulla”, ha detto l’ex segretario all’Huffington Post
a proposito dell’eventualità
di una scissione. “Se Renzi
forza, rifiutando il congresso
e una qualunque altra forma
di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al
voto, è finito il PD. E non
nasce la cosa 3 di D’Alema,
di Bersani o di altri, ma un
soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”.
Ormai sono in tanti nel
PD a chiedere il congresso
anticipato, prima di andare alle elezioni: da Bersani
e Speranza a Cuperlo, dal
governatore toscano Enrico Rossi al governatore della Puglia Michele Emiliano,
che si candida alla segreteria e che insieme al lettiano
Boccia si è messo a raccogliere le migliaia di firme tra
gli iscritti necessarie per costringere Renzi a convocare il congresso. E alla porta
sbattuta loro in faccia dal tirapiedi renziano Orfini, che
al posto del congresso offre solo le primarie per decidere il candidato premier,
ribattono alzando la posta
e chiedendo al segretario
sconfitto al referendum di
presentarsi dimissionario al
congresso.
L’idea di un nuovo Ulivo, o “Ulivo 4.0” come lo ha
chiamato oscuramente Bersani, in contrapposizione al
“partito della nazione” che
Renzi continua evidentemente ad accarezzare, cerca di rialzare la testa nel PD
incoraggiata anche da Pro-
di, che ha dichiarato “non irripetibile” l’esperienza degli
anni ’90 e di essere pronto
a “dare una mano” se la situazione nel partito dovesse
precipitare.
Lo strappo di
Napolitano e la
frenata della corsa
al voto
Ad aumentare la confusione si è aggiunta una dichiarazione di Napolitano
nettamente contraria alle
elezioni anticipate: “Nei paesi civili – ha detto infatti l’ex
capo dello Stato – alle elezioni si va a scadenza naturale e a noi manca ancora
un anno. Non si toglie la fi-
ducia al governo per il calcolo di qualcuno”. Tralasciando il fatto che questo
è proprio ciò che lui fece silurando Letta per insediare
al suo posto Renzi, questa
dichiarazione suona come
una secca presa di distanza dalla sua corsa verso le
urne. Già prima del referendum, dopo averlo appoggiato senza riserve per quasi
tre anni, egli aveva manifestato il suo malumore verso
Renzi per la sua eccessiva
“personalizzazione”
della
campagna referendaria e
per aver agitato la minaccia
della fine anticipata della legislatura. Ora lo strappo tra
i due sembra essere definitivo, segno che anche il rinnegato Napolitano non gli
attribuisce più molte possibilità di rivincita, anzi lo considera ormai un pericoloso giocatore d’azzardo che
con la sua smania di elezioni subito rischia di far vincere Grillo, e preferisce quindi puntare sulla durata fino
al 2018 del meno ambizioso ma al momento più affidabile Gentiloni. Un giudizio
probabilmente condiviso da
Mattarella, che infatti per il
momento non si espone e
attende silenziosamente gli
eventi.
Eventi che vanno rapidamente evolvendosi, visto
che neanche 24 ore dopo
l’annunciato accordo elettorale tra PD, M5S e Lega,
Grillo lo ha rimesso in discussione tornando a chiedere la cancellazione dei capilista bloccati: “Una scelta
di democrazia”, l’ha definita
sul suo blog, sconcertando
Renzi, Salvini e Berlusconi
per i quali i capilista bloccati
sono proprio il punto di forza
del nuovo Italicum. Evidentemente si stanno facendo
sentire i contraccolpi negativi della vicenda giudiziaria
della Raggi e dell’incapacità
della sua giunta di governare Roma, delle faide interne
al movimento e delle altre
giunte comunali in crisi, e il
padre padrone del M5S non
è più tanto ansioso di correre al voto in un momento
come questo, e perciò forse
preferisce guadagnare tempo.
Il suo ripensamento, aggiunto alla scarsa voglia dei
parlamentari di tutti i partiti
di andarsene a casa prima
del tempo, deve aver contribuito evidentemente alla
frenata da parte della commissione Affari costituzionali, che ha deciso di rinviare la
calendarizzazione del nuovo Italicum in parlamento in
attesa della pubblicazione
delle motivazioni della sen-
tenza della Consulta. Non
è detto insomma che Renzi riesca a portarlo a casa in
tempo utile per votare a giugno come vorrebbe. Inoltre
la crisi riacutizzata nel PD,
con la prospettiva di arrivare alle elezioni con un partito spaccato e che perde
pezzi lo hanno costretto a
tirare il freno, tanto che per
la prima volta si è dichiarato possibilista sull’eventualità di votare nel 2018. Anche se successivamente si
è dichiarato disposto a concedere il premio alla coalizione in cambio del voto a
giugno.
Le manovre
elettoralistiche
all’esterno del PD
Avvalorano i timori di
scissione le manovre in corso all’esterno del PD, con
D’Alema che sta già lavorando per costruire un listone antiRenzi, e che a questo scopo ha invitato nella
sede della sua fondazione
ItalianiEuropei Nichi Vendola e Nicola Fratoianni, candidato alla testa di Sel-Sinistra italiana, il cui congresso
previsto il 17 febbraio a Rimini, che dovrebbe inglobare anche i fuoriusciti del PD
di Fassina, è ora rimesso in
discussione dalla fazione
dell’altro candidato Arturo
Scotto, ma anche dalle novità che si sono aperte a sinistra con la crisi nel PD.
In quest’area, rimessa in
movimento dalla sconfitta
referendaria di Renzi, stanno cercando infatti una collocazione elettorale degna
delle loro ambizioni personali anche l’ex sindaco di
Milano Pisapia, che sta girando l’Italia per organizzare insieme al sindaco di Cagliari Zedda un suo Campo
progressista da affiancare elettoralmente al PD, e il
sindaco di Napoli, De Magistris, che da tempo si presenta come il leader capace
di riunire sotto la sua bandiera elettorale tutti i movimenti antagonisti.
Come sempre l’obiettivo
di tutti questi vecchi imbroglioni politici è quello di drenare i voti degli astensionisti
di sinistra, cercando in particolare di canalizzare i comitati per il No a supporto delle
loro manovre elettoralistiche, sempre e comunque rivolte a creare nuovi soggetti
politici per ingannare i sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo e riportarli
nell’ambito del parlamentarismo, del riformismo e del
legalitarismo borghesi.
interni / il bolscevico 3
N. 6 - 16 febbraio 2017
Amaro frutto dei governi Renzi e Gentiloni
Il 40,1% dei giovani è disoccupato
Se volessimo fare una
classifica dei più clamorosi fallimenti di Renzi, in cima
ci sarebbe sicuramente la
promessa di debellare la disoccupazione giovanile con
la truffaldina “Garanzia giovani” e il filopadronale Jobs
Act: a certificarlo c’è il tasso
dei senza-lavoro fra sotto i
24 anni, salito al 40,1% a dicembre. Il livello più alto dal
giugno 2015.
È quanto dichiara l’Istat nelle sue rilevazioni
rese pubbliche il 31 gennaio, dove si specifica che il
tasso di occupazione generale si assesta al 12%.
Altissimo, specie tenendo
Più del 75% dei contratti è a tempo determinato
conto che la media europea è dell’8,2%.
L’aumento dell’occupazione, che tanto fa gongolare gli
esponenti del governo e del
gruppo dirigente renziano
del PD, è in realtà fumo negli occhi: i 242 mila occupati in più registrati a dicembre
sono in realtà dovuti in parte
alla forte riduzione degli inattivi, cioè chi non studia né lavora (478 mila in meno, fra
chi ha trovato lavoro e chi è
stato inghiottito dalla disoccupazione ufficiale), in parte
all’aumento dell’età pensionabile determinato dalla riforma Fornero che costringe
molti lavoratori anziani a re-
stare al proprio posto. I padroni li preferiscono rispetto
ai lavoratori più giovani, visto
che questi ultimi sarebbero
da formare e che si stanno
esaurendo i lauti incentivi del
Jobs Act.
A tutto ciò va aggiunto
il fatto che più del 75% dei
nuovi contratti è a tempo determinato, quindi non soltanto il dato della disoccupazione è destinato a salire, ma ai
giovani lavoratori non si prospetta nemmeno un futuro
dignitoso e stabile.
Tutto questo capolavoro
è imputabile a Renzi e alle
sue politiche, ma Gentiloni non è certo esente dalle
responsabilità, visto che lo
scalda-poltrona del nuovo
duce di Rignano come prima
cosa ha dichiarato continuità con il suo predecessore
per quanto riguarda le politiche sul lavoro, confermando
tra l’altro Poletti come ministro nonostante fosse ormai
impresentabile dopo le sue
dichiarazioni sui giovani
che espatriano. E nonostante continui a dichiarare che
l’occupazione in Italia va a
gonfie vele.
Il superamento della terribile soglia del 40% (nemmeno con Monti si era arrivati a tanto) ha naturalmente
prodotto una serie di reazioni indignate. Ma la soluzione
può essere, come auspica
il noto movimentista Andrea
Fumagalli su “il manifesto”
del 1° febbraio, un “reddito di
base”? Tra l’altro l’autore mischia insieme in un impasto
pasticciato la giusta rivendicazione per una soglia minima di reddito, sotto la quale
nessuno stipendio può andare, e quella fumosa e riformistica del reddito di cittadinanza; quest’ultimo, come
abbiamo avuto modo di affermare più volte, è in realtà una trappola dietro cui il
capitale può giustificare la rinuncia alla piena occupazione e al lavoro per tutti.
Noi riteniamo, al contrario, che sia ormai urgentissimo soffiare sul fuoco della lotta di classe e di massa:
se non sono i lavoratori e i
disoccupati a lottare anche
duramente per il proprio sacrosanto diritto a un lavoro stabile, a salario intero,
a tempo pieno e sindacal-
mente tutelato e per abolire
il precariato, non sarà certo
il capitalismo a elargirlo benevolmente. Per questo non
è più rimandabile lo sciopero
generale di otto ore con ma-
nifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi. Se i gruppi dirigenti dei sindacati non
vogliono proclamarlo, siano
i lavoratori e i disoccupati a
pretenderlo a gran voce!
Ogni occasione è buona per rilanciare un diversivo che invece di contrastarlo è congeniale al capitalismo
Rivendichiamo il lavoro, non l’elemosina
del “Reddito di cittadinanza”
“Il reddito di cittadinanza”
o il “reddito di base universale” (che poi sono due cose
diverse) è diventato un tema
che a intervalli più o meno
brevi si ripresenta all’attenzione del dibattito politico
italiano: o perché qualche
partito, organizzazione, rappresentante istituzionale lo
ripropone, oppure prendendo a pretesto nuovi Stati che
si apprestano a metterlo in
pratica, ultimo caso la Finlandia, invocandone l’attuazione anche per l’Italia.
Stavolta il pretesto per riparlarne è stata la vittoria di
Benoit Hamon alle primarie
del Partito socialista francese, colui che al ballottaggio
ha sconfitto l’attuale primo
ministro del governo Hollande, Manuel Valls. Il candidato della “sinistra” del partito attualmente al governo in
Francia aveva tra i suoi cavalli di battaglia il reddito di
base universale che, a detta
di molti, ha contribuito ad attirare le simpatie e i voti che
gli hanno consentito di vincere le primarie.
Partendo da questo sono
apparsi sulla stampa diversi articoli sul tema mentre i 5
Stelle hanno colto l’occasione per rilanciare il “loro” “reddito di cittadinanza” come
“soluzione finale” capace di
risolvere tutti i problemi legati alla disoccupazione, la
povertà e perfino capace di
eliminare la corruzione e il
clientelismo, sistemi molto
radicati nel nostro Paese a
cui tra l’altro il partito di Grillo si è adattato benissimo
come dimostrano le molteplici indagini su di loro, per
ultima quella a Roma sulla
Raggi.
Tra i vari giornali ne hanno dato spazio Repubblica
e in particolar modo “Il manifesto” che in pochi giorni
ha pubblicato al riguardo tre
articoli che esprimevano tre
posizioni diverse: contraria,
favorevole e, per così dire,
intermedia. La prima porta alcune motivazioni condivisibili, ma tutte richiuse
in un modello keynesiano o
da New deal, che tradotto in
italiano significa invocare un
capitalismo dove lo Stato intervenga in maniera forte a
sostegno dell’economia e
dell’occupazione per favorire
i consumi e la crescita.
Quella sperticatamente a
favore porta la firma di Marco Bascetta, un ex operaista (Potere Operaio) il quale,
come il suo vecchio compare Toni Negri, ora predica la
fine della classe operaia e
del lavoro stesso. Secondo
le sue tesi la tecnologia riduce il lavoro, punto e basta,
non gli passa neanche per la
testa che la disoccupazione
la crea lo sfruttamento capitalistico. A suo dire bisognerebbe dare il reddito universale a tutti, così ognuno è
libero di fare volontariato o
altre attività che secondo lui
sono esse stesse lavori ma
non pagati, a questo sopperirebbe il reddito di base.
Secondo Bascetta il sistema capitalistico non può assicurare il lavoro a tutti; ma
che grande scoperta! Sarebbe quindi utopistico chiederlo e rivendicarlo, ma invece
pensare che il capitalismo attraverso un “reddito di base”
per tutti (di quanti euro?) elimini la disoccupazione e si
realizzi il mondo della felicità e del bengodi, o quanto
meno in cui tutti vivono dignitosamente e in maniera più
“autonoma”, non è utopistico
ma realistico. Insomma, una
sequela di corbellerie facilmente smontabili punto per
punto.
Il terzo intervento cerca
invece di tenere insieme le
due cose, sostenendo che
si può rivendicare il “reddito
di cittadinanza” e allo stesso tempo il lavoro, essendo due ipotesi diverse ma
non in contraddizione tra di
loro. Una tesi un po’ difficile
da sostenere perché i 5 stelle, attraverso la voce del loro
capo indiscusso, Beppe Grillo, hanno già detto più volte:
via cassa integrazione e tutti
gli ammortizzatori sociali esistenti e reddito di cittadinanza per tutti.
Anche Renzi, la Fornero,
il presidente dell’Inps Boeri
hanno ripetutamente proposto il “reddito di cittadinanza”, ma sempre in cambio di
licenziamenti più facili, pensioni più basse, cancellazio-
ne dei vecchi ammortizzatori
sociali. Almeno loro lo dicono
chiaramente mentre Sinistra
Italiana, che ha una richiesta
di reddito simile a quella dei
5 Stelle, è meno esplicita ma
siamo sicuri che pur di realizzarlo sarebbe disposta a cedere su tutto il resto.
Noi marxisti-leninisti cogliamo l’occasione per ribadire come il “reddito di base
universale”, ovvero elargito
a tutti indistintamente, compreso ai milionari, è una soluzione che respingiamo
integralmente perché non
tiene conto delle profonde
differenze economiche tra
le classi e gli individui, e oltretutto non sortirebbe nessun effetto concreto perché
la cifra, divisa tra tutta la popolazione, sarebbe talmente irrisoria da non incidere sui bisogni. A meno che,
non siamo tanto ingenui da
credere che la ricchezza,
quella vera accumulata dai
capitalisti, venga redistribuita a tutti.
Anche il “reddito di cittadinanza”, come fa capire il
nome, spetta a tutti i cittadini
senza distinzione tra dipendenti, autonomi o imprenditori, ma spesso e volentieri
non è altro che un assegno
di disoccupazione, magari
un po’ più sostanzioso. Quindi, quando si dice che in Italia non lo abbiamo mentre
esiste in tutto il resto d’Europa non è nemmeno vero perché cambia il nome ma nella
sostanza equivale a forme di
“ammortizzatori sociali” già
esistenti nel nostro Paese.
Ma le differenze di fondo tra
chi rivendica lavoro e chi il
“reddito di cittadinanza” non
stanno tanto nella scelta del
nome.
Per noi la strada da percorrere è quella di rivendicare lavoro per tutti i disoccupati e i lavoratori stabile, a
salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato, e questo comporta di
conseguenza una dura lotta contro i vari governi borghesi, contro il neoliberismo
economico, il federalismo, le
privatizzazioni, il disimpegno
dello Stato dal sociale. Solo
in seconda battuta chiediamo una indennità di disoccupazione pari al salario medio
degli operai dell’industria per
un periodo non inferiore a tre
anni. Indennità che dev’essere estesa anche ai giovani in cerca di prima occupazione. Così come chiediamo
per le casalinghe senza reddito la pensione sociale.
Puntare tutto sul “reddito
minimo” come fanno i partiti della sinistra borghese e
svariati gruppi trotzkisti e gli
anarco-sindacalisti ci sembra una giustificazione bella
e buona per accettare il sistema capitalistico e la società borghese, una rinuncia
alla lotta per il socialismo,
per un lavoro stabile per tutti,
per la casa, per servizi sociali e previdenziali universali,
per scuola, sanità e trasporti
pubblici gratuiti o a basso costo per tutti.
Il “reddito di cittadinanza” non può essere spacciato come la panacea di tutti i
mali del capitalismo. Semmai è il contrario; alla fine è
proprio congeniale alla fase
in cui si trova adesso il capitalismo che ha abbandonato da tempo qualsiasi velleità
riformista e di redistribuzione della ricchezza, seppur
delle briciole, e ha mostrato
la faccia liberista, di attacco
frontale ai redditi e ai diritti
dei lavoratori, delle disuguaglianze sempre maggiori tra
ricchi e poveri, capitalismo
che spera di sanare i suoi
stessi mali con un po’ di beneficenza.
Perfino colui che dovrebbe essere il campione della carità e della misericordia
cristiana, cioè il papa, in una
recente udienza con l’associazione degli imprenditori
cattolici ha sottolineato che
“Non basta fare assistenza,
non basta fare un po’ di beneficenza....perché chi non
ha lavoro non solo non porta il pane a casa ma perde
la dignità!”. Ma stavolta i leader della “sinistra radicale”
e dei partiti falsi comunisti
che citano continuamente il
riformista Bergoglio sembrano non ascoltarlo e alzano
loro la bandiera del “reddito
di cittadinanza”, nient’altro
che una sorta di elemosina
di Stato.
4 il bolscevico / giunta raggi
N. 6 - 16 febbraio 2017
Ignorando anche le misteriose due polizze vita intestate alla sindaca di Roma
Grillo blinda l’inquisita
e opaca
sindaca
di
Roma
L’ex capo della segreteria Romeo indagato per abuso d’ufficio
Agli inizi di febbraio due
nuove tegole giudiziarie
hanno colpito fra capo e collo la sindaca di Roma Virginia Raggi e il suo ex capo
della segreteria politica Salvatore Romeo. La sindaca,
già inquisita di truffa e falso
dal 24 gennaio scorso in relazione alla nomina di Renato Marra alla guida del
Dipartimento Turismo del
Campidoglio, il 2 febbraio è
stata sottoposta a un lungo
interrogatorio durato oltre
otto ore dai Pubblici ministeri (Pm) Francesco Dall’Olio
e Paolo Ielo.
Mentre Romeo il 5 febbraio ha ricevuto un nuovo invito a comparire e risulta indagato dalla procura capitolina
per concorso in abuso d’ufficio sempre nell’ambito della
stessa inchiesta sulle nomine da parte della sindaca.
Negli ultimi giorni l’attenzione degli inquirenti è stata rivolta anche sulla torbida
vicenda inerente le due polizze vita, rispettivamente di
30 mila e 3 mila euro, in cui
la Raggi a sua “insaputa”
compare come beneficiario con causale: “relazione”.
Le polizze, una priva di scadenza e una con scadenza
nel 2019, furono sottoscritte anni prima proprio da Romeo e poi girate alla Raggi
nel gennaio 2016 (poco prima delle Comunarie). A giugno la Raggi vince le elezioni e appena due mesi dopo
promuove Romeo a capo
della sua segreteria politica
e gli triplica anche lo stipendio: da 39 mila a 110 mila
euro l’anno, ridotti poi a 93
mila dopo lo scoppio delle
polemiche che alla fine costringeranno Romeo a mollare la poltrona soltanto il 17
dicembre 2016, all’indomani
dell’arresto di Raffaele Marra ammanettato per corruzione insieme al boss dei
palazzinari romani Sergio
Scarpellini.
Fatti e circostanze strettamente legati fra loro e oggettivamente inconfutabili di
fronte ai quali la Raggi ha
fatto finta di cascare dalle
nuvole imitando maldestramente perfino l’ex ministro
berlusconiano Claudio Scajola che qualche anno fa “a
sua insaputa” diventò pro-
Raggi deve dimettersi
“anche ai dirigenti dell’Avvocatura capitolina e al corpo di polizia locale”. Da cui,
guarda caso, proveniva anche il fratello Renato, poi
promosso a numero uno del
Turismo in Comune.
5 Stelle, ha investito oltre
130 mila euro in polizze assicurative e tra i beneficiari
“a loro insaputa” non figura
solo la sindaca Raggi ma diversi altri politici e funzionari
del Campidoglio in strettis-
Roma. La sindaca di Roma Virginia Raggi e Salvatore Romeo, ex capo della segreteria politica, saliti a detta
loro sul tetto del Campidoglio per sfuggire alle intercettazioni. Sotto: Virginia Raggi con Raffaele Marra, ex
finanziere e braccio destro della stessa sindaca
prietario di un superattico
affacciato sul Colosseo.
“Sono sconvolta, non sapevo nulla di quelle polizze”
ha detto la Raggi con la solita sprezzante faccia di bronzo mentre lasciava la caserma sulla Tuscolana alla fine
dell’interrogatorio.
In realtà secondo il quotidiano romano “Il Messaggero” che nell’edizione del 5
febbraio ha pubblicato una
circolare comunale del 19
ottobre scorso, la Raggi era
al corrente di tutto. Dal documento emerge che l’allora capo di gabinetto e capo
del personale del Comune di Roma, Raffaele Marra, fratello di Renato, legato alla destra romana e già
collaboratore di Alemanno e
della Polverini, invitava “tutti i dirigenti che volessero
candidarsi a incarichi dirigenziali apicali e subapicali”
a “inviare i curricula alla segreteria del suo Dipartimento entro una settimana”. E
tali incarichi sarebbero stati accessibili, si specificava,
Ma non è tutto. Perché
nella circolare che rischia
di inguaiare definitivamente la sindaca pentastellata
si sottolinea anche che “il
presente interpello ha natura esplorativa e non comparativa”. Il che, secondo la
ricostruzione del quotidiano romano, escluderebbe la
comparazione dei curricula,
in violazione del regolamento comunale.
Non solo: poiché nell’ambito dell’abuso di ufficio i
Pm contestano alla Raggi
di aver procurato proprio un
indebito vantaggio a Renato Marra, la posizione della
sindaca potrebbe aggravarsi ulteriormente soprattutto perché non potrà più cavarsela sostenendo di “non
esser stata a conoscenza di
tali vantaggi”, dal momento
che tra i destinatari della circolare del 19 ottobre il suo
nome compariva in cima a
tutti gli altri.
Dalle carte emerge inoltre che Romeo, da quando è diventato attivista dei
simi rapporti con quel famigerato “mondo di mezzo”
descritto dai boss di mafia
capitale Buzzi e Carminati
fra cui anche alcuni attivisti
pentastellati, inclusi almeno
due consiglieri di Municipio.
E mentre anche l’ex vicesindaco Daniele Frongia continua a ripetere che
“delle polizze di Salvatore
Romeo con più beneficiari
non ne sapevo nulla, come
non ne era a conoscenza la
sindaca”, i magistrati romani stanno cercando di capire dove Romeo, che non
risulta essere ricco di famiglia, ha trovato i soldi da investire in queste polizze. Il
sospetto è che quei denari
possano rappresentare tentativi di infiltrazione e condizionamento delle Comunarie con cui il M5S scelse il
proprio candidato sindaco a
Roma. Consultazioni già inquinate dal dossier preparato da Raggi e Frongia ai
danni di Marcello De Vito e
della sua sponsor Roberta
Lombardi.
Tra le carte dei magistrati
c’è anche la trascrizione di
una chat di “Telegram” denominata “Quattro amici al
bar”, a cui partecipavano la
Raggi, Romeo, Frongia (ora
sostituito dall’ex veltroniano Luca Bergamo) e Marra,
nella quale in un caso la sindaca chiede a Marra rassicurazioni sugli aspetti legali
della nomina del fratello, e in
un altro lo rimprovera di non
averle detto che avrebbe
avuto uno scatto di stipendio di 20 mila euro: “Così mi
metti in difficoltà”, si sarebbe lamentata la Raggi, aggiungendo che “la stampa
mi sta massacrando”.
Agli atti della procura c’è
anche una email, inviata in
copia alla Raggi, in cui l’assessore Meloni ringraziava Raffaele Marra di avergli
suggerito la nomina del fratello al dipartimento del Turismo.
Insomma, altro che: “vittima di un tradimento dei suoi
più stretti collaboratori”!
I fatti dimostrano che la
Raggi è parte attiva di un
progetto politico studiato
a tavolino insieme a Marra, Frongia e Romeo e soprattutto con il benestare
del candidato in pectore dei
Cinquestelle a Palazzo Chigi, Luigi Di Maio, per conquistare il Campidoglio facendo asse proprio con quel
“mondo di mezzo” di “mafia
capitale” che il M5S aveva
promesso di spazzare via e
con cui invece ci va nozze.
Il vero tradimento è quello compiuto dal M5S nei
confronti dei suoi elettori
che sono stati letteralmente turlupinati e illusi con
promesse di cambiamento che alla prova dei fatti si
sono rivelati a dir poco fallimentari.
Arrivati a questo punto
la Raggi avrebbe il dovere
avviso della procura e perciò io “non posso che esserle vicino in un momento che
umanamente capisco essere molto difficile”. Mentre in
una lettera pubblicata sul
blog e indirizzata soprattutto agli oppositori interni del
Movimento Grillo nel rinnovare tutta la sua “stima” e
tutto il suo “sostegno” alla
Raggi avverte: “Chi sta con
la sindaca sta col Movimento” e chi si azzarda a fare
altrimenti è fuori dal Movimento.
Insomma cambiano i
suonatori, ma la musica a
Roma è sempre quella di
“Mafia Capitale”. Nel giro
di soli otto mesi coloro che
si erano presentati in Campidoglio con la ramazza a
Cinquestelle “per fare piazza pulita del malcostume e
della corruzione”, si sono
smascherati da vera e propria cosca parlamentare
che sguazza come un pesce nell’acqua in quel torbido mondo (di destra) e del
malaffare con cui il M5S di
Grillo e la Raggi, come dimostrano le indagini di questi mesi, hanno stretti e inconfessabili legami.
Dagli arresti di Roma,
di dichiarare pubblicamente il totale fallimento del suo
programma e rassegnare al
più presto le dimissioni.
Un epilogo che Grillo sta
cercando di esorcizzare in
tutti modi perché sa benissimo che se cade la Raggi
cade tutto il castello di menzogne e di false promesse
su cui ha costruito la sua
fortuna elettorale. Per evitare ciò Grillo ha letteralmente
blindato l’inquisita e oscura
sindaca di Roma col varo di
un nuovo “regolamento ad
personam” che non rende
più obbligatorie e automatiche le sanzioni in caso di
avviso di reato. “Raggi – ha
tuonato a più riprese Grillo - ha adempiuto ai doveri indicati dal nostro codice
etico” perché ci ha subito
avvisati di aver ricevuto un
alle firme false di Palermo
e Bologna, dalle inchieste
in odor di camorra a Quarto, al mercimonio sul petrolio Eni a Gela, passando per
Parma, Livorno, Comacchio fino alle case abusive
del sindaco e dell’assessore all’Urbanistica a Bagheria, e in quasi tutti gli altri 17
grandi e piccoli comuni conquistati dal M5S a partire
dal 2012; il M5S ha impiegato meno di un lustro per
immedesimarsi nelle vituperate istituzioni parlamentari borghesi, assorbendone e praticandone tutti i riti e
i vizi, comprese le faide tra
correnti, le spartizioni di posti di potere fino a ripetere
la sconcezza di “non sapere
nulla” quando vengono beccati con le mani nella marmellata.
strage di viareggio / il bolscevico 5
N. 6 - 16 febbraio 2017
“La sicurezza conta più del profitto”
Strage di Viareggio: 7 anni a Moretti.
Il Pm ne aveva chiesti 16
I familiari delle 32 vittime in aula con lo striscione: “No alla prescrizione”. L’ex patron di Rfi deve dimettersi
La strage ferroviaria di
Viareggio che il 29 giugno
2009 costò la vita a 32 persone e scatenò l’inferno lungo via Ponchielli con decine
di feriti che ancora oggi portano sul corpo i segni delle gravissime ustioni e delle
inenarrabili sofferenze subite non è da imputare a “uno
spiacevolissimo
episodio”
come ha provocatoriamente ripetuto in tutti questi anni
l’ex ad di Fs Mauro Moretti,
ma è la diretta conseguenza di “sistema ferroviario insicuro” il cui vertice, in nome
del massimo profitto, non ha
mai mosso un dito per cercare di risolvere “inadempienze
e omissioni” e mettere in sicurezza l’intera rete.
Lo ha stabilito la sentenza di primo grado del Tribunale di Lucca che, oltre a
sancire le responsabilità di
Rfi (che si occupa delle infrastrutture) e Trenitalia (che
si occupa della gestione del
servizio e quindi dei treni), il
31 gennaio ha condannato a
vario titolo per disastro colposo, incendio colposo, omicidio plurimo colposo e lesioni gravissime 23 imputati su
33 inquisiti.
Su tutti spicca il nome di
Mauro Moretti, attuale ad di
Finmeccanica-Leonardo, ex
ad Ferrovie dello Stato, ex
ad Rfi, condannato a soli 7
anni, meno della metà dei
16 anni chiesti dalla pubblica
accusa. Insieme a lui anche
Mario Michele Elia, ad di Rfi,
ex responsabile Armamento
e Direzione tecnica Rfi (più
di recente ex ad del Gruppo Ferrovie), condannato a 7
anni e 6 mesi a fronte di una
richiesta di 15 anni. Quindi Vincenzo Soprano, ex ad
Trenitalia, ex ad FS Logistica, condannato a 7 anni e 6
mesi (richiesta: 8 anni). Salvatore Andronico, responsabile sicurezza Trenitalia Cargo, condannato a 6 anni (i
Pm avevano chiesto 9 anni).
Mario Castaldo - direttore Divisione Cargo, ex ad di Cargo Chemical, condannato a
7 anni (richiesta: 9 anni).
La corte ha stabilito che
quella notte sui binari di Rete
“Sistema ferroviario insicuro”
ferroviaria italiana circolava
un treno merci mal revisionato, carico di gpl e altre sostanze pericolose, lanciato a
gran velocità lungo le rotaie
che attraversano Viareggio,
e tante altre città italiane,
completamente sprovviste di
qualsiasi sistema di controllo
e sicurezza dei convogli.
Le indagini rivelarono che
il treno deragliò e si rovesciò sui binari per la rottura
state inflitte anche a Daniele Gobbi Frattini, Responsabile tecnico Cima riparazioni; Uwe Koennecke,
responsabile Officina Jungenthal; Rainer Kogelheide, ad Gatx Rail Germania;
Uwe Kriebel, operatore addetto alla verifica ad ultrasuoni dell’Officina Jungenthal; Joachim Lehmann,
supervisore e responsabile
esami non distruttivi pres-
le tecnico del reparto sale di
Cima Riparazioni; Andreas
Schroeter, supervisore esami non distruttivi eseguiti da
Kriebel nell’Officina Jungenthal e Helmut Broedel, responsabile officina sale di
Jungenthal.
A inchiodarli le oltre 95
mila pagine che compongono l’impianto accusatorio firmato dall’allora procuratore
Aldo Cicala e dai suoi sosti-
di primo grado, e che hanno tuttora incarichi pubblici
in società delle Ferrovie dello Stato o in altre partecipate
statali con alla testa Moretti.
“A poche ore dalla lettura del dispositivo – scrivono
i familiari delle vittime – possiamo dire che il sistema ferroviario del trasporto merci pericolose, tanto in Italia
quanto in Europa, è stato riconosciuto
responsabile”.
alcuna intenzione né di mettere mano alla prescrizione
né di mandare a casa Moretti
difeso a spada tratta da quasi tutte le cosche parlamentari a cominciare dalla maggioranza di governo.
Dell’ex dirigente nazionale
della CGIL venduto anima e
corpo al capitalismo, le masse viareggine conservano a
futura memoria il ricordo delle sprezzanti parole che Mo-
Viareggio (Lucca) 31 gennaio 2017. La manifestazione dei familiari delle vittime della strage di Viareggio durante i giorni del processo
di un assile incrinato e pieno
di ruggine che non venne sostituito durante la revisione.
Dopo il deragliamento una
delle 14 cisterne piene di gpl
esplose trasformando l’intero quartiere intorno alla stazione in un inferno di fuoco.
Per questo motivo altri 6
anni di carcere a testa sono
stati inflitti a Giovanni Costa,
responsabile divisione tecnica Rfi; Giorgio Di Marco, ex
responsabile direzione tecnica Rfi; Francesco Favo, ex
responsabile della struttura
di Certificazione sicurezza
imprese ferroviarie e dell’Istituto sperimentale della Direzione tecnica di Rfi; Alvaro
Fumi, responsabile Istituto
sperimentale della Direzione
tecnica Rfi.
Pene tra i 6 anni e 6 mesi
e i 9 anni e sei mesi sono
so Officina Jungenthal; Peter Linowski, responsabile
sistema manutenzione Gatx
Rail; Emilio Maestrini, ex responsabile direzione ingegneria, sicurezza e qualità
di sistema di Trenitalia; Johannes Mansbart, amministratore delegato Gatx Rail
Austria; Giulio Margarita, ex
direttore Sistema gestione
sicurezza circolazione treni
ed esercizio ferroviario della Direzione tecnica di Rfi;
Enzo Marzilli, responsabile struttura direzione norme,
standard, sviluppo e omologazione Rfi; Roman Mayer, responsabile manutenzione flotta carri merci Gatx
Rail Austria; Giuseppe Pacchioni, ex direttore generale Cima Riparazioni; Paolo
Pizzadini, capo commessa
settore carri e responsabi-
Studiare, capire
e agire in base
al paragrafo Il Partito
del discorso di Scuderi
“Da Marx a Mao”
pubblicato su “Il Bolscevico” n. 34/16 e sul sito
http://www.pmli.it/articoli/2016/20160914_34a_discorsoScuderiMarxMao.html
tuti che mettono a nudo le
scarsissime misure di sicurezza adottate da Rfi nella
circolazione delle merci pericolose lungo i binari italiani.
Il tribunale ha dato loro ragione e ai due Pm Giuseppe
Amodeo e Salvatore Giannino che tra l’altro hanno ricordato come il processo ha
accertato che c’era un progetto per dotare i carri merci del rilevatore “anti svio”.
Ma quel rilevatore, che solo
oggi Trenitalia sta sperimentando, costava troppo per “Il
settore merci pericolose che
non faceva vetrina, non era
strategico. Era l’alta velocità che consentiva apparizioni brillanti. Era altro che interessava”.
I familiari delle vittime si
sono presentati in aula con
le foto dei loro cari stampate sulle magliette e uno striscione con su scritto “No alla
prescrizione per Viareggio”.
Infatti dopo sette anni, sette
mesi e due giorni, la prescrizione per alcuni reati è molto vicina e i condannati per
incendio e lesioni colpose
rischiano di farla franca. Al
Processo d’Appello forse resteranno in piedi solo le accuse di disastro ferroviario e
omicidio colposo plurimo.
Subito dopo la sentenza
l’associazione dei familiari delle vittime di Viareggio
hanno stilato un documento
in cui chiedono le dimissioni
di tutti coloro che sono stati condannati nel processo
Ma la battaglia andrà avanti:
“Chiederemo il ricorso in appello: il lavoro della procura
va valorizzato. Una valutazione definitiva potremo darla solo dopo la lettura delle
motivazioni della sentenza.
Ma useremo tutte le nostre
forze nel ricorso in appello,
affinché la qualità di questa
sentenza corrisponda alle richieste quantitative e qualitative della procura di Lucca”.
Di fronte all’imminente
prescrizione di alcuni reati,
l’associazione “Chiede a chi
è imputato, se non si sente colpevole, la rinuncia alla
prescrizione e di farsi giudicare in appello”.
Quanto al commento di
Armando D’Apote, difensore di Moretti che subito dopo
la sentenza ha avuto la barbara faccia tosta di affermare che si tratta di una “sentenza scandalosa... frutto del
populismo” i familiari delle
vittime hanno aggiunto che:
“Riteniamo offensive le dichiarazioni dell’avvocato. Ed
è moralmente inaccettabile
che dopo una condanna di
primo grado Mauro Moretti sia ancora a guidare un’azienda di Stato. Ne chiediamo le dimissioni, e che sia
tolto a Moretti il titolo di Cavaliere”.
Richieste che di fatto sono
già state rispedite al mittente dal Guardasigilli Andrea
Orlando e premier Gentiloni
che al momento non hanno
retti ebbe la sfrontatezza di
pronunciare il giorno dopo la
strage in Comune: “Ferrovie
non ha nessuna responsabilità nell’incidente e per questo l’assicurazione non è tenuta a sborsare un euro”. E
poi quelle del 3 luglio, durante l’audizione al Senato, quando Moretti rincarò la
dose affermando: “Vi prego
di considerare che quest’anno, per la sicurezza – a parte
questo spiacevolissimo episodio di Viareggio – abbiamo ulteriormente migliorato:
siamo i primi in Europa”.
Trentadue morti e decine di vittime, famiglie e case
distrutte, considerate uno
“spiacevolissimo episodio”.
Ecco come ha fatto Moretti a rimettere a posto i conti delle Ferrovie: speculando
sulla vita e sul sangue dei lavoratori e delle masse popolari.
Non a caso, a meno di un
anno dalla strage, il 31 maggio 2010, invece di finire i
suoi giorni in galera, è stato
addirittura nominato Cavaliere da Giorgio Napolitano, lo
stesso presidente della Repubblica che il 7 luglio 2009
venne in città a piangere lacrime di coccodrillo durante i funerali di Stato celebrati
allo stadio. E poi premiato da
Renzi che il 15 maggio 2014
gli affida la carica di amministratore delegato e direttore
generale di FinmeccanicaLeonardo S.p.A.
Che Vergogna!
6 il bolscevico / interni
N. 6 - 16 febbraio 2017
Lo denuncia Oxfam
Otto supermiliardari hanno la stessa
ricchezza di metà della popolazione mondiale
In Italia in sette possiedono il 30% della popolazione. L’1% più ricco ha in tasca quanto ha il restante 99% della
popolazione. I salari sono insufficienti a garantire il minimo indispensabile alle famiglie
Lo scorso gennaio l’organizzazione non governativa
Oxfam ha pubblicato un dettagliato rapporto di 51 pagine, intitolato “Un’economia
per il 99%”, che dimostra
chiaramente che le diseguaglianze nel mondo non soltanto si stanno accentuando, ma addirittura stanno
toccando livelli mai raggiunti in passato. Mai era accaduto nel corso di tutta la storia umana documentata che
solo 8 uomini in tutto il pianeta avessero un patrimonio
personale pari alla metà della popolazione globale.
Infatti dal rapporto emerge chiaramente che 8 capitalisti, da soli, possiedono
attualmente 426 miliardi di
dollari, pari al reddito posseduto da 3,6 miliardi di uomini, donne e bambini che
compongono la metà più povera del pianeta, ed emerge
altresì che già dal 2015 l’1%
più ricco tra gli uomini del
mondo possiede più del restante 99%.
Secondo la rivista Forbes gli otto più ricchi sono
(dal più ricco al meno ricco)
Bill Gates, Amancio Ortega,
Warren Buffet, Carlos Slim,
Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Michael Bloomberg: tranne lo spagnolo Ortega e il messicano
Slim, gli altri sei sono statunitensi.
Prescindendo comunque
dalla posizione dei pochi uomini sopra menzionati, dallo
studio emerge chiaramente che lo sviluppo economico in tutto il globo favorisce
l’accumulo di risorse nelle
mani di una sempre più ristretta cerchia di soggetti
(per lo più società multinazionali) ai danni dei più poveri: infatti “multinazionali e
Pietro e Giovanni Ferrero, i rampolli della famiglia più ricca d’Italia
super ricchi continuano ad
alimentare la disuguaglianza
- spiega il rapporto - facendo
ricorso a pratiche di elusione fiscale, massimizzando i
profitti anche a costo di comprimere verso il basso i salari e usando il loro potere per
influenzare la politica”.
I grandi monopoli spadroneggiano dappertutto e condizionano e piegano ai propri
interessi i governi e le autorità politiche dei diversi Paesi mentre la grande finanza
muove quantità ingenti di capitali solo per scopi speculativi e mai preoccupandosi
degli interessi delle popolazioni. E così i vari appelli cadono regolarmente nel vuoto come quelli levati negli
ultimi quattro anni dal Forum
Economico Mondiale che ha
identificato nella crescente disuguaglianza economica la maggiore minaccia alla
stabilità sociale, invitando i
governi a introdurre misure
di equità sociale.
Nulla di concreto è stato
fatto, anzi la tendenza attuale, come ricorda la recente
elezione di Trump negli Stati
Uniti col suo governo zeppo
di miliardari, è proprio nel segno dell’aumento del divario:
nel biennio 2015/2016 dieci
tra le più grandi multinazionali hanno realizzato complessivamente profitti supe-
Per la sua vicinanza con un imprenditore legato alla ’ndrangheta
Arrestato il procuratore
capo di Aosta
Lo scorso 30 gennaio è
stato arrestato ad Aosta,
su ordine della procura della Repubblica di Milano, il
magistrato Pasquale Longarini, che aveva l’incarico di procuratore capo della
Repubblica facente funzione presso la Procura di Aosta, insieme all’imprenditore Gerardo Cuomo, titolare
del Caseificio Valdostano,
la maggiore impresa di quel
settore nella Regione, nonché amico personale di vecchia data di Longarini.
Secondo l’accusa per cui
è stato arrestato – ossia il
reato di induzione indebita a
dare o promettere utilità - il
magistrato costrinse l’albergatore Sergio Barathier, titolare dell’Hotel Royal Golf di
Courmayeur, che si trovava
sottoposto a un’indagine per
reati fiscali e riciclaggio diretta dallo stesso Longarini,
a rifornirsi per 70.000 euro
di prodotti venduti dall’imprenditore caseario, minacciando in caso contrario un
aggravamento della sua posizione e prospettando altresì in caso di accettazione
una sostanziale fuoriuscita
dall’inchiesta.
Gli inquirenti milanesi ora
stanno indagando per capire quali vantaggi possa aver
tratto Longarini dal rapporto
con Cuomo: per ora hanno
scoperto che Cuomo contribuì, con un altro imprenditore, a regalare al magistrato una vacanza in Marocco
e lo rifornì ripetutamente di
prodotti caseari, ma i titolari milanesi dell’inchiesta, i
pm Perrotti e Pellicano, non
escludono di estendere l’im-
putazione a carico del magistrato al reato di rivelazione
di segreto d’ufficio, in quanto
dalle indagini è emerso che
Longarini informò Cuomo di
un’inchiesta aperta dalla direzione distrettuale antimafia di Torino a carico di Cuomo, sospettato dai magistrati
del capoluogo piemontese di
legami con la camorra e la
’ndrangheta
Infatti l’indagine antimafia dei carabinieri di Torino
ha potuto accertare, tramite intercettazioni, lo stretto
rapporto intercorrente tra
Cuomo e il pluripregiudicato
Giuseppe Nirta
Nel loro complesso, comunque, le intercettazioni a
carico del magistrato aostano hanno consentito di appurare che egli svolgesse le
sue funzioni in modo disin-
volto e inopportuno, dando
suggerimenti ai suoi interlocutori, avvocati o addirittura
indagati con in quali intratteneva rapporti confidenziali, su come comportarsi
o che strategie processuali
adottare nell’ambito di procedimenti penali iscritti presso quell’ufficio giudiziario ed
assegnati allo stesso Longarini o ai suoi colleghi, in un
intreccio di rapporti equivoci che potrebbero avere avvantaggiato anche altri imprenditori della zona, come
Claudio Leo Personettaz,
che contribuì alle spese del
viaggio in Marocco, e Francesco Muscianesi, che fece
a sei mesi di distanza nel
2015 due bonifici bancari a
favore di uno dei conti correnti intestati al magistrato
per complessivi 45.000 euro.
Pranzo in una mensa per poveri
riori a quanto raccolto dalle
casse di 180 Paesi del mondo, il che equivale a dire che
sono le maggiori aziende
mondiali a condizionare la
legislazione degli Stati.
Il risultato di tale tendenza è che, sempre secondo
il rapporto dell’Oxfam, sette
persone su dieci nel mondo
vivono in luoghi dove la disuguaglianza è cresciuta negli ultimi 30 anni, e che tra il
1988 e il 2011 il reddito medio del 10% più povero è aumentato di 65 dollari, ovvero meno di 3 dollari l’anno,
mentre quello dell’1% più
ricco di 11.800 dollari, cioè
182 volte di più.
La conseguenza di tale
polarizzazione di ricchezza
è devastante sul piano sociale, perché al fenomeno
della massimizzazione dei
profitti si contrappone una
realtà di salari da fame, inadeguati anche a sopperire ai
più elementari bisogni, all’elusione fiscale delle multinazionali e ai favori che i vari
governi fanno ai potentati economici capitalisti corrispondono difficoltà, per gli
Stati stessi, a garantire livelli
sufficienti di servizi come sanità e istruzione, che infatti
subiscono tagli.
Anche in Italia le contraddizioni del sistema capitalista, sono comunque assai
accentuate perché - stando
ai dati del 2016 - l’1% più facoltoso della popolazione ha
nelle mani il 25% della ricchezza nazionale netta e i
primi 7 miliardari del nostro
Paese posseggono una ricchezza superiore a quella
del 30% più povero degli italiani.
In Italia nel 2016 l’1% di
popolazione più ricca ha potuto contare su oltre 30 volte
le risorse del 30% più povera e 415 volte quella del 20%
più povera e, per ciò che riguarda il reddito, tra il 1988
e il 2011 il 10% più facoltoso
della popolazione italiana ha
accumulato un incremento
di reddito superiore a quello
della metà più povera.
Anche in Italia, come nel
resto del mondo, la tendenza è quella che vede aumentare gradualmente la concentrazione di ricchezza da
una parte e l’aumento di povertà dall’altra. Ecco le delizie del capitalismo. Sono
questi il benessere e il progresso per il proletariato e le
masse popolari.
ambiente / il bolscevico 7
N. 6 - 16 febbraio 2017
Secondo il rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente
I morti per smog sono 91 mila all’anno
Stando al rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente
(Aea), in Italia si contano 91mila morti premature ogni anno,
467mila in Europa. I decessi
sono stati 20mila solo a Roma
nel periodo 2006-2015. Nel primo mese di quest’anno, a causa della scarsità delle piogge
nelle regioni del nord (-98% in
Piemonte, -89% in Lombardia
e -62% in Emilia Romagna),
l’aria che si respira in Italia è la
peggiore dal 2012 in poi. Nei
primi 25 giorni di gennaio nove
città hanno superato per più di
15 giorni il limite previsto dalla
legge, posto a 50 mg/mc, e discutibile soglia di soffocamento
stabilita “a termini di legge”. In
Lombardia, da sempre una delle aree più inquinate d’Europa,
si registrano regolarmente livelli
di Pm10 tre volte sopra i limiti in
tutte le province ed a Bergamo,
Lecco e Varese la settimana
scorsa si sono registrati i picchi
più alti dal 2002. A Cremona,
in un solo mese, si sono sforati
i limiti venti volte, il 60% delle
giornate di sforamento consentite in un anno, così come
nelle città di Torino e Frosinone, seguite da Treviso, Padova, Vicenza e Reggio Emilia.
Dovrebbe allarmare un recente
studio dell’Università di Milano, secondo il quale ad ogni
aumento di 10 microgrammi di
PM10, si registra una crescita
della mortalità dello 0,25% su
base nazionale e dello 0,30% in
Lombardia. Nonostante ciò non
sono state intraprese azioni
per fermare questa potenziale
sciagura ambientale e sanita-
Le città soffocano nell’indifferenza delle Istituzioni
Milano coperta da una coltre di smog
ria; possibile che le Istituzioni,
dirette responsabili della salute
pubblica a partire dai sindaci, si accontentino di ridurre le
emissioni solo per mezzo della
pioggia? Legambiente parla di
“silenzio assordante” della Regione Lombardia e sottolinea
che in Svizzera, il Canton Ticino
ha imposto il blocco dei diesel
euro 3, il limite degli 80 km/h
in autostrada e, soprattutto, ha
offerto in questo periodo mez-
zi di trasporto pubblici gratuiti.
Un ulteriore studio condotto
a Barcellona sugli alunni delle
elementari che vivono dove l’inquinamento da traffico è maggiore, ha rilevato una maggiore
difficoltà cognitiva e disordini
comportamentali; un altro studio svedese mostra che sui
bambini che vivono nelle zone
più inquinate si è registrata una
maggiore prescrizione di farmaci per disturbi mentali ed è
confermata la notizia secondo
la quale anche a livelli bassi di
inquinamento si verificano ritardi nello sviluppo fetale quali in
particolare minor peso e minor
circonferenza cranica. Forse
questa ecatombe silenziosa
diventerà notizia quando la
Commissione europea avvierà
la procedura, già aperta, di sanzione all’Italia per violazione delle norme sulla qualità dell’aria.
Comunque sia, per paradosso,
altri centinaia di milioni di euro
di multa sono “poco o nulla” rispetto alle spese già sostenute
dal sistema sanitario per curare
le patologie direttamente collegate all’inquinamento atmosferico che aumentano di anno in
anno. La concentrazione delle
polveri sottili nelle città è questione strutturale poiché i centri
maggiori come Milano, Roma e
Napoli sono circondati da anelli
autostradali con conseguente
concentrazione di polveri sottili e nanopolveri; non va tanto
meglio alle altre città toccate in
gran parte da vie autostradali come Firenze ad esempio, e
questo fenomeno si riproporrà
fino a quando il tema dei trasporti non sarà affrontato in
maniera radicale. A poco servono, anche se sono auspicabili in totale assenza di ulteriori
provvedimenti, isolati blocchi
del traffico, totali o parziali che
siano, poiché non risolvono il
nocciolo del problema. Ormai
è chiaro che la mobilità in generale, ed in particolare quella
cittadina, deve avere risposte
collettive e pubbliche e non private e individuali. A fianco alla
questione trasporti, è presente
la poca consistenza degli incentivi per l’efficentazione dei
riscaldamenti domestici e degli
altri miglioramenti residenziali,
che fino ad oggi hanno avvantaggiato in maniera massiccia i
palazzinari sulle nuove costruzioni e poco più nell’ambito
delle ristrutturazioni, lasciando intatte per fare un esempio
concreto, le problematiche
energetiche insite nei condomini che rappresentano a livello nazionale circa il 50% della
forma residenziale. Sul versante della mobilità poi rimane da
aggiungere che, nonostante a
livello europeo siamo di fronte ad un piccolo “boom” della
mobilità elettrica, l’Italia pare
non prendere in considerazione
questa opportunità, nonostante
i proclami per l’installazione di
nuove colonnine di ricarica nei
principali centri cittadini.
Multe salate della Ue per la rete idrica vecchia
La privatizzazione dell’acqua è fallita e costa cara
Le grandi aziende, come Acea, Hera, A2A e Iren, chiedono l’aumento delle tariffe per aumentare i loro profitti
La situazione degli acquedotti, della distribuzione e della rete fognaria italiana è ormai
nota da tempo; acquedotti
vecchi di 30 o 50 anni con una
dispersione media nazionale di
circa il 50 per cento, particolarmente concentrata al Sud e
nelle isole, e una depurazione
delle acque reflue che copre
solo per l’11 percento del totale
delle utenze. Ci sono poi i casi
più allucinanti, come Alcamo,
in provincia di Trapani, che non
eroga acqua dai rubinetti da
anni. L’acqua viene distribuita a fasce orarie, utilizzando le
autobotti, e costa tantissimo:
un metro cubo, comprensivo
di fantomatici servizi di depurazione e fognatura, costa 1,72
euro e non è neppure assicurato. A poco è servito l’avvicendamento del primo cittadino del
comune che ora è amministrato
dal Movimento 5 Stelle, poiché
ancora non esiste una erogazione decente e tutto rimane in
mano ai privati. Per sistemare
tutto il “processo acqua”, in Sicilia come altrove, servirebbero
fondi pubblici e soprattutto un
servizio interamente pubblico,
indipendente dal profitto, ed
in coerenza con l’esito referendario del 2011. Le principali
conseguenze di un sistema di
distribuzione e di depurazione
così vergognosi, sono gli incalcolabili danni per l’ambiente e
per la qualità delle acque marine e di superficie; in seconda
Roma 26 marzo 2011. Manifestazione nazionale per l’acqua pubblica
battuta ma non meno importanti, sono le sanzioni europee
comminate all’Italia, colpevole
di ritardi nell’applicazione delle
regole sul trattamento delle acque. Questa la situazione che
emerge dal Blue Book 2017, realizzato dalla ex Federutility ora
Utilitalia, l’associazione delle
aziende multiulity italiane, che
segnala anche come, a causa
dei ritardi nell’ammodernamento delle infrastrutture idriche,
gravi sull’Italia una nuova multa
dell’Unione europea. Lo scorso
dicembre l’Italia ha già subito
due procedure d’infrazione con
una conseguente sanzione pari
a 62,7 milioni di euro, alla quale andranno aggiunti 346 mila
euro al giorno fin quando non
saranno sanate le irregolarità
del ciclo integrato delle acque.
In pratica altri 61 milioni a semestre di inadempienza, prelevati
direttamente dalle tasche della
popolazione. Su questo punto si arrampica sugli specchi
il Ministro dell’ambiente Gian
Luca Galletti, sostenendo che
non sono le risorse a mancare,
ma “la capacità, la velocità e la
trasparenza nella spesa in sede
locale”. Colpa degli enti periferici dunque, e di qualche isolato
malfunzionamento. La privatizzazione non c’entrerebbe. Le
grandi aziende dell’acqua quindi, tirano fuori il problema ma,
naturalmente, propongono una
soluzione a loro funzionale: nel
report i gestori sostengono che
l’unica soluzione per migliorare
il servizio sia quella di alzare le
tariffe per coprire i costi degli
investimenti necessari, stimati in 5 miliardi l’anno. In pratica circa 80 euro per abitante,
mentre ora il programma 20142017 prevede una media di 32
euro pro capite. Tutti soldi che,
secondo le aziende, in base al
sistema “full cost recovery” dovranno essere sborsati dai cittadini, per adeguarsi ad esempio alle tariffe di Berlino dove un
metro cubo di acqua costa 6,03
dollari, o di Parigi e Londra,
dove il costo è comunque più
che doppio rispetto a quello di
Roma. Soltanto Atene e Mosca,
insiste il rapporto, hanno tariffe
così basse come l’Italia. Peccato, sempre per fare un esempio,
che il report dei padroni dell’acqua non tenga minimamente
conto del rapporto costo-stipendi di un determinato Paese;
in pratica quanto effettivamente
la tariffa pesa per il reddito di
una famiglia italiana, un costo
dell’acqua praticamente doppio dell’attuale quando i suoi
introiti sono della metà o di un
terzo delle famiglie dei paesi
sopra citati. Le grandi multiutility quotate in Borsa, come Acea,
Hera, A2A ed Iren, per citare le
maggiori, stanno premendo per
assorbire i gestori più piccoli
e rilanciare la politica del “full
cost recovery”, e cioè il costo
del servizio interamente coperto dalla tariffa. Queste proposte
sono “una cura peggio della
malattia” come dice il Forum
dei Movimenti per l’Acqua Pubblica, poiché tali aziende hanno
semplicemente fini di lucro ed
hanno ampiamente dimostrato
il loro disinteresse nel fornire un
servizio decente. Nel report, a
sentire le aziende, pare che il
problema acqua in Italia sorga
adesso; in realtà è dalla metà
degli anni ’90 che è iniziata la
privatizzazione dell’acqua perché, si diceva, solo una gestione privatistica delle municipalizzate avrebbe saputo migliorare
la rete. La situazione attuale
dimostra appieno il fallimento
dei privati nel gestire la cosa
pubblica e, di contro, gli utili di
queste grandi multi utility che
continuano a crescere, testimoniano che esse perseguono
solo il profitto e nulla più. L’unica soluzione è invertire decisamente la rotta, ripubblicizzando
il servizio con un grande piano
di investimenti sul ciclo dell’acqua finanziato dalla fiscalità
generale; bisogna innanzitutto
ammodernare e garantire la
costante manutenzione delle
reti idriche per garantire l’igiene e evitare sprechi. Servono
piani straordinari immediati per
garantire in quantità sufficiente
l’afflusso e i rifornimenti dell’acqua potabile in tutti i centri abitati, specie al Sud e nelle Isole;
occorre adeguare e potenziare
gli impianti municipali di depurazione dell’acqua che garantiscano condizioni di massima
sicurezza igienica di potabilizzazione e pressione sufficiente
nelle tubature dell’acquedotto,
unitamente ad analisi periodiche e batteriologiche, da parte
delle amministrazioni comunali,
dell’acqua potabile pubblicizzandone i dati risultanti. Per il
Sud e per le isole, dovrebbero
essere fatti ulteriori sforzi per
individuare nuove falde acquifere, creare invasi appositi per
la raccolta di riserve d’acqua
consentendo finalmente il rifornimento adeguato dei centri
urbani.
8 il bolscevico / PMLI
N. 6 - 16 febbraio 2017
Radicare ed
estendere il PMLI
per dargli un corpo
da Gigante Rosso
Ne abbiamo fatta tanta di
strada, e tutta in salita, per
costruire il Partito. Ma abbiamo le energie per scalare
le prossime vette ancora più
alte, che richiedono durissimi
sforzi e un impegno più qualificato. Anche perché abbiamo pochissimi mezzi e risorse economiche e siamo oggetto di un assordante silenzio stampa. La nostra è la tipica situazione in cui si trovano i pionieri che aprono una
nuova strada nell’incredulità e
nello scetticismo degli osservatori. (…)
Oggi più che preoccuparci di quando arriverà il socialismo, di quando avverrà
la svolta rivoluzionaria della lotta di classe, di quando il proletariato si schiererà
con noi, dobbiamo preoccuparci di dare al PMLI un corpo
da Gigante Rosso radicandolo ed estendendolo nelle città
e regioni dove siamo presenti,
in modo da ricavarne le forze
per espanderlo in tutta Italia.
Questo deve essere il nostro
obiettivo strategico a medio
termine. Questo è quello che
ci è richiesto dall’attuale lotta
di classe e dall’attuale situazione del nostro Paese. Se non
ce la facciamo a raggiungere
tale obiettivo a medio termine, non ci resta che rilanciarlo
una o più volte fino a conquistarlo. Non tutto dipende da
noi, cioè dalle nostre capacità
e dal nostro impegno. Noi abbiamo in mano solo metà della chiave del problema, l’altra
metà l’hanno la lotta di classe,
il proletariato e le nuove generazioni.
La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta, assieme a quello delle fabbriche, dei campi, delle scuole
e delle università. Frequentiamola il più possibile per diffondere i messaggi del Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte
e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più
ad esse. Gli ambienti in cui
operiamo devono essere conosciuti a fondo e studiati in
maniera sistematica e tale da
aiutarci a intervenire con volantini, documenti, comunicati stampa, articoli ben calibrati
e fondati sulla realtà concreta.
(…)
Marx, Engels, Lenin, Stalin e
Mao ci hanno lasciato in eredità un grande patrimonio ideologico, politico e organizzativo, facciamolo fruttare. Ciascuno in base alle proprie possibilità e capacità e secondo il
posto e il ruolo che il Partito ci
ha assegnato. Con tranquillità e serenità,senza affanni, un
passo per volta, imparando e
insegnando gli uni dagli altri,
dando il meglio di noi stessi,
tenendo ben alte le bandiere
dei grandi maestri del proletariato internazionale, del socialismo, dell’anticapitalismo,
dell’antimperialismo, dell’antifascismo, dell’antirazzismo,
dell’internazionalismo proletario e del PMLI.
(Brani tratti dal discorso “Da Marx a Mao”
pronunciato da Giovanni Scuderi, Segretario
generale del PMLI, a Firenze l’11 settembre
2016 in occasione della Commemorazione
per il 40° Anniversario della scomparsa di
Mao)
10 il bolscevico / PMLI
N. 6 - 16 febbraio 2017
“Viento del Este” pubblica la foto
di Scuderi tra quelle dei dirigenti
marxisti-leninisti della terza fase
Il sito Viento del este (Vento
dell’Est) del Partito comunista (marxista-leninista) di Panama, nella galleria fotografica, ha pubblicato la
foto del compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI,
assieme a quella di Pol Pot e altri
dirigenti marxisti-leninisti della terza
fase. È la prima foto della serie.
Le foto della prima fase sono
quelle di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Nelle foto della seconda
fase c’è anche quella di Ho Chiminh.
Cari compagni,
in questi giorni ho intrapreso
a studiare la “Storia del
Partito Comunista Bolscevico
dell’URSS”, in quanto lo
ritengo un ottimo testo
marxista-leninista che può
servire alla crescita ideologica
e organizzativa dei militanti,
dei simpatizzanti e degli
amici del PMLI. Soprattutto
in una società capitalista
come quella attuale dove
regna la caduta dei valori e
A ruba il volantino
“Viva lo sciopero
globale dell’8 Marzo”
Molti complimenti
dalle partecipanti all’Assemblea
Bologna, 4 febbraio 2017. Diffusione del volantino del PMLI a sostegno dello scioipero globale delle donne indetto per l’8 Marzo
(foto Il Bolscevico)
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione
di Modena del PMLI
Questa la foto del compagno Giovanni Scuderi pubblicata sul sito del PC(m-l)P
Studiare la “Storia
del Partito Comunista
Bolscevico dell’URSS”
rafforzerà in noi
la certezza
della conquista
del socialismo
All’Assemblea nazionale
“Non una di meno” a Bologna
Presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università
di Bologna, in via Belmeloro
14, si è svolta la due giorni
dell’Assemblea nazionale di
“Non una di meno”, per continuare il lavoro dei tavoli tematici e la scrittura del piano
nazionale femminista contro
la violenza, e per condividere
percorsi e pratiche verso lo
sciopero globale delle donne
dell’8 Marzo.
Sabato 4 febbraio, nella
prima giornata dell’Assemblea, alcuni compagni modenesi del PMLI si sono portati
davanti ai cancelli della facoltà
l’imbarbarimento della società;
dove trionfa il qualunquismo,
l’opportunismo e prevale la
cultura antimarxista, clericale,
antirivoluzionaria
della
borghesia, del capitalismo e
del revisionismo della “sinistra”
borghese e del liberalismo,
che deviano le masse popolari
e la classe operaia dalla giusta
strada per la loro completa
emancipazione e sono un
grande ostacolo per il PMLI
impegnato nella lotta titanica
ad aprire la strada per il trionfo
del socialismo in Italia.
Penso che questo libro
abbia un’immensa importanza
storica per i marxisti-leninisti:
esso rafforza in noi la certezza
che seguendo gli insegnamenti
dei nostri grandi Maestri del
proletariato
internazionale,
Marx, Engels, Lenin, Stalin
La piazza è il nostro ambiente ideale e naturale di lotta e di propaganda,
assieme a quello delle fabbriche,
dei campi, delle scuole e
delle università.
e Mao, un giorno riusciremo
ad abbattere la borghesia e
il capitalismo e a instaurare
il socialismo e la dittatura del
proletariato in Italia. Questo
compito spetta al PMLI, il
Partito che incarna l’esperienza
e il pensiero dei nostri grandi
Maestri.
Ritengo che la formazione
ideologica, teorica e pratica,
politica e organizzativa dei
membri e dei simpatizzanti del
PMLI, sono la “base essenziale
per far divenire il Partito un
Gigante Rosso anche nel
corpo, capace di far trionfare il
socialismo in Italia”.
Saluti marxisti-leninisti a
tutta la Redazione centrale, alla
compagna Monica Martenghi,
che è la direttrice de “Il
dove si è svolto un proficuo
volantinaggio. Sono stati distribuiti più di 300 volantini,
andati a ruba, recanti i saluti,
l’appoggio e l’invito del Partito a lottare contro il governo
Gentiloni, per abbattere il potere borghese e per instaurare
il socialismo, poiché solo con
esso ci sarà la piena emancipazione femminile e la parità
tra donne e uomini. La presenza del PMLI è stata ben
accolta dalle partecipanti, che
hanno gradito lo splendido
volantino e sono volati molti
complimenti. Come apparivano sul volantino diffuso, citiamo le splendide parole di Mao:
“Le donne portano sulle loro
spalle la metà del cielo e devono conquistarsela”.
Bolscevico”, al compagno
Giovanni Scuderi, Segretario
generale del PMLI e a tutti i
suoi collaboratori.
Francesco Campisi
- Belpasso (Catania)
Disponibile
ad aiutare il PMLI
Spero di avere la possibilità
di partecipare a qualcuno dei
vostri incontri, tipo quello di
Cavriago davanti al busto di
Lenin.
Potrei parlare ai miei coetanei
del PMLI anche se la politica
non li tocca profondamente. Se
posso aiutare anche a distanza
dall’Abruzzo, sono disponibile.
Un giovanissimo abruzzese
STARE
IN PIAZZA
Frequentiamola
il più possibile per diffondere i messaggi del
Partito, per raccogliere le rivendicazioni, le idee, le proposte
e le informazioni delle masse e per stringerci sempre più a esse.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
chiuso il 8/2/2017
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
cronache locali / il bolscevico 11
N. 6 - 16 febbraio 2017
Grande partecipazione al corteo in solidarietà per il Presidente dell’ANPI di Quarona (Vercelli) organizzato da Cgil, Cisl e Uil
In centinaia scendono in piazza per gridare
che il fascismo e il razzismo non passeranno
Apprezzamenti al PMLI che diffonde il volantino contro il governo Gentiloni
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di Biella
del PMLI
Si è rivelato un pieno successo politico il corteo di
solidarietà nei confronti di
Marco Bozzo Rolando, Presidente dell’ANPI di Quarona
(Vercelli) e funzionario della
CGIL di Vercelli-Valsesia che
nelle settimane scorse è stato nuovamente preso di mira
da non meglio identificati neofascisti vari che si sono addirittura spinti ad incendiargli
la porta di casa nell’improbabile tentativo di intimidirlo e
farlo desistere dall’opera di
accoglienza e inserimento
nel tessuto sociale che Marco presta ai migranti della
Valsesia, offrendo loro assi-
stenza legale, economica e
abitativa.
Oltre trecento manifestanti si sono ritrovati sabato 28
gennaio nella piazza centrale di Quarona in Valsesia
per manifestare la più forte
e sentita solidarietà a Marco
e gridare ai neofascisti, che
fomentano l’odio razziale e
cercano di intimidire chi pratica l’antifascismo e l’accoglienza, che verranno spazzati via presto dalla storia dei
popoli. Il corteo, organizzato
ufficialmente da CGIL, CISL
e UIL della Valsesia, ha visto
l’adesione ufficiale di moltissime organizzazioni no profit
che operano in favore dei migranti nonché di partiti politici
tra cui il PMLI, Rifondazione
Comunista di Biella, il Partito
Comunista Italiano della Valsesia e il Partito Democratico.
Il corteo, che si è snodato
per le vie del centro del paese, ha intonato le principali canzoni di lotta quali “Bella
ciao”, “L’Internazionale”, “Valsesia” e “Fischia il vento” ridando così fiducia e certezze
alla popolazione antifascista
della Valsesia che le vigliacche intimidazioni neofasciste
mai faranno presa in quelle
terre.
Giunti in piazza per i comizi finali hanno preso la parola il Segretario provinciale
della CISL-Vercelli, Roberto
Bompan e il Responsabile
dell’Organizzazione dei migranti della CGIL-Piemonte,
Lamine Sow. Quest’ultimo,
con un discorso partecipato e intelligente, ha entusiasmato ricevendo numerosi
appalusi. Anche l’intervento della novantatreenne Lidia Menapace, partigiana e
membro del Comitato Nazionale ANPI ha riscosso l’approvazione generale della piazza col suo discorso
teso a dimostrare l’importanza della partecipazione attiva delle masse popolari per
contrastare i movimenti che
si ispirano apertamente al
ventennio mussoliniano.
L’Organizzazione
biellese del PMLI ha diffuso oltre
200 volantini contro il governo
Gentiloni ricevendo numerosissimi apprezzamenti politici.
Quarona (Vercelli) 28 gennaio 2017. Un momento del corteo di solidarietà per il Presidente dell’ANPI locale al quale ha partecipato il PMLI (foto
il Bolscevico)
Piombino (Livorno)
Gli operai della ex Lucchini ancora in piazza
in difesa del posto di lavoro
‡‡Dal nostro corrispondente
per la Toscana
Le operaie e gli operai della
ex Lucchini di Piombino hanno nuovamente manifestato
il 2 febbraio scorso in difesa
del posto di lavoro e contro
la mancata realizzazione del
piano industriale di Cevital.
Dopo una partecipata assemblea in fabbrica gli operai organizzati da Fiom, Fim e Uilm
hanno deciso di scioperare
per 24 ore e scendere in piazza dando vita a un combattivo
corteo per le strade di Piombino. “Senza lavoro non c’è dignità”, “Responsabili? Rebrab
e chi l’ha voluto” questi alcuni degli striscioni portati dagli
operai durante la manifestazione. Combattività e determinazione nelle parole degli
operai che hanno annunciato
CALENDARIO
DELLE MANIFESTAZIONI
E DEGLI SCIOPERI
FEBBRAIO
Osrl Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Osp-Ugl, Faisa-Cisal, OrsaAutoferro Tpl.Fast-Mobilità e Orsa-Ferrovie - Sciopero
del personale del trasporto pubblico locale e ferroviario
con modalità diversificate sul territorio
Cgil - Prima giornata di mobilitazione per i due referendum.
Saranno organizzate iniziative con uno o più punti di presidio e
volantinaggio con iniziative su tutto il territorio nazionale.
Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Ugl-Ta - Sciopero personale
delle aziende del settore trasporto aereo rappresentate da
Assaereo, Assaeroporti, Fairo e Assohndlers e di Aviation
Services Spa,Aviapartner Handling Spa,WFS Ground Handling
Srl, Consulta Spa, GH Aircraft Clening Services Srl,LP Industrial
Spa,On Board Catering Srl,AYS,Full Cleaning,AC95 SP
10 -17
11
23
navigante (piloti e assistenti di
23 Anpac – Sciopero personale
volo) Air Italy SpA
23 Cub-Trasporti -Aereo – Sciopero personale Gruppo Alitalia-Sai
personale navigante di cabina
23 RSA Anpav-Aereo –delSciopero
Gruppo Meridiana
Osr Filt-Cgil/Fit-Cisl/Uilt-Uil/Ugl-Ta Aereo – Sciopero del
personale delle aziende Handling che effettuano pulizie di
23
bordo presso l’aeroporto di Fiumicino
Rete dei 65 movimenti - presidio a Roma davanti
per il ritiro dei decreti attuativi della
23 -24 a Montecitorio“riforma”
della scuola
MARZO
8
Usb,Usi-Ait, Sial-Cobas, Slai-Cobas, - Sciopero Generale di tutte
le categorie pubbliche e private
una crescente mobilitazione
se le cose non cambieranno.
I sindacati affermano:
“Questa situazione a partire
dalla mancanza del circolante fino a una non più tollerabile indefinitezza del piano industriale rischiano di mettere
in seria crisi il progetto Piombino, così come configurato dell’accordo di programma
del 2014. Abbiamo ribadito, quindi, che tale obbiettivo
va salvaguardato in ogni suo
aspetto, a partire dal ruolo centrale della siderurgia...
l’obbiettivo va perseguito costringendo Rebrab ad assumersi impegni certi e certificabili in assenza dei quali
il Governo deve assumersi
la responsabilità ricercando
ogni alternativa possibile per
mantenere gli impegni contenuti nell’accordo di programma. In ogni caso abbiamo
fatto presente al Governo la
necessità di salvaguardare gli
ammortizzatori sociali in scadenza al 30/6/2019, qualora
essi non fossero sufficienti. Ci
avevano detto che questo era
un progetto serio e sostenibile
e tutti ci abbiamo creduto, ma
oggi conosciamo tutti i ritardi
e non sappiamo nulla di bonifiche e smaltimento. Il risultato è che in fabbrica ora è tutto
fermo: ha fatto bene il ministro Calenda a dare l’ultimatum ma non abbiamo ancora
una data certa, non ci basta
sapere che l’incontro sarà tra
una settimana. Se il ministro
non fissa la data noi andremo
a Roma”.
Ed è vero. Era il 2014
quando il nuovo duce Matteo Renzi, baldanzoso annunciava la firma dell’accordo
su Piombino con il capitalista
pescecane Rebrab “è un’acquisizione strategica. Piombino è un pezzo di futuro dell’Italia”. Nel giugno 2015 la ex
Lucchini viene ufficialmente
venduta all’algerina Aferpi del
gruppo Cevital dell’imprendi-
Piombino (Livorno), 2 febbraio 2017. Gli operai della ex Lucchini manifestano in difesa del posto di lavoro.
tore Rebrab con un accordo
per la messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico e produttivo
dell’area dei complessi aziendali. “Oggi Piombino riparte davvero” aveva detto con
soddisfazione il governatore
della Toscana Enrico Rossi
(PD), e ancora “la scommessa di una riconversione ecologica della siderurgia siamo in
condizione di vincerla grazie
ad un imprenditore algerino
che ci ha permesso di salvare quattromila posti di lavoro mentre, se stavamo dietro
agli imprenditori italiani, quei
posti li avremmo perduti”.
L’azienda Cevital ha più di
12mila dipendenti e 25 filiali, è attiva nel campo agrario
soprattutto con la produzione
di olio vegetale, zucchero e
margarina (proprio da questi
prodotti alimentari “vitali” deriverebbe il nome dell’azienda, da “c’est vital”, “è vitale”).
Cevital è la più grande azienda privata d’Algeria e Rebrab
controlla una delle più grandi raffinerie di zucchero del
mondo, per l’Algeria egli è l’unico agente della Samsung e
di Europcar, oltre ad essere
presidente di Hyundai Motors
Algeria, e ha investimenti an-
che in Sudan, Etiopia e Costa
d’Avorio. Oggi il suo patrimonio è di 3,2 miliardi di dollari.
Per “Forbes” nel 2013 era il
più ricco del suo Paese, uno
dei primi 8 uomini più facoltosi
d’Africa, e al numero 506 nel
mondo. Rebrab in un’intervista ad un quotidiano francese ha affermato “In Europa si
possono comprare delle fabbriche per un tozzo di pane...
con la crisi in atto in Europa,
esistono delle opportunità che
si possono presentare una
volta ogni secolo. Non tutti i
giorni l’Europa è in crisi. Oggi
siamo facilitati nell’acquisizione di imprese che possiedono un’altissima tecnologia e
che ci permettono non solo di
acquisire questa tecnologia,
ma anche di sviluppare le nostre attività in Algeria”. In merito alla Lucchini Rebrab aveva affermato “Possiamo ora
disporre di 560 ettari e di un
porto recentemente ampliato
dal governo italiano a Piombino, di cui due banchine sono
a nostra disposizione. Le utilizzeremo per i bisogni del
complesso siderurgico, ma
anche per la piattaforma logistica e per altri investimenti nell’industria agroalimentare in Italia. E poi ci permetterà
di sviluppare tutta l’industria
meccanica in Algeria, per l’uso di acciai speciali prodotti a
Piombino, dove abbiamo così
acquisito un savoir-faire che
gli italiani avevano accumulato lungo secoli... con le acciaierie Lucchini realizzeremo in
Algeria diverse fabbriche nel
settore della meccanica, ad
esempio per la fabbricazione
di pezzi di ricambio”.
È passato un anno e mezzo e la situazione occupazionale lascia ancora incertezza
per gli operai. Sembra che il
capitalista Rebrab abbia difficoltà a portare capitali fuori
dall’Algeria a causa di mancati appoggi politici. La regione, tramite Fidi Toscana, ha
deciso di acquistare fino a un
massimo di 20 milioni di euro
le materie prime. I sindacati
hanno affermato che “Chiunque venisse meno agli impegni presi, causando la mancata realizzazione di questo
progetto, per il quale ad oggi
gli unici ad aver fatto la loro
parte sono i lavoratori, sarà
considerato a tutti gli effetti
una nostra controparte”.
Noi marxisti-leninisti sosteniamo con forza la lotta degli operai della ex-Lucchini e
li esortiamo a continuare la
loro giusta e coraggiosa battaglia per la salvaguardia del
posto di lavoro costringendo
il governo e gli enti regionali
e locali a fare di più per una
soluzione positiva. È palese
come nel capitalismo gli unici
interessi dei capitalisti siamo
il denaro e non certo i lavoratori. Il sito industriale di Piombino è fondamentale per la
città che proprio a causa della pesante perdita dei posti di
lavoro, dei salari sempre più
bassi (molti degli operai della ex Lucchini percepiscono
gli “ammortizzatori sociali”) e
dell’incertezza occupazionale
sta impoverendosi e desertificando come insediamento industriale.
12 il bolscevico / cronache locali
N. 6 - 16 febbraio 2017
Falso e brogli elettorali l’ipotesi di accusa
Un dossier confezionato dall’imprenditore Romeo
Scoppia lo scandalo Bassolino spiava
Listopoli a Napoli
De Magistris?
In prima linea il PD del nuovo duce Renzi e della candidata Valente
‡‡Redazione di Napoli
A Napoli sprofonda completamente il PD di Renzi con
la nuova inchiesta della Procura di Napoli condotta dal
pubblico ministero Stefania
Buda in ordine alla false certificazioni elettorali presentate
dall’entourage della candidata a sindaco Valeria Valente
e, in particolare, dal suo compagno di vita e già consigliere
comunale PD, Gennaro Mola
(ex PCI).
Tutto è nato dalla denuncia dell’avvocatessa Donatella Biondi che ha affermato
agli inquirenti di aver incontrato un uomo legato allo staff
elettorale della Valente che le
avrebbe consigliato di stilare
un modulo in cui dichiarare di
non aver mai sostenuto spese elettorali. In sostanza la
donna ha spiegato agli inquirenti di aver saputo di essere candidata a sua insaputa
dopo alcune segnalazioni di
amici che avevano visto impresso il suo nome nelle liste
PD. I dubbi si facevano certezza laddove l’avvocatessa
Biondi riceveva dalla Corte di
Appello di Napoli una richiesta di documentazione relativa alle spese elettorali sostenute. A quel punto la Biondi
chiedeva spiegazioni a una
lista civica collegata con la
candidata a sindaco Valente
che le rispondeva di compilare un modulo prestampato:
solo in quel momento l’avvocatessa giungeva alla certezza di essere stata candidata
a sua insaputa.
Per cercare di non far scoppiare uno scandalo il convivente della Valente, Gennaro
Mola, fissa un appuntamento con la Biondi mostrandogli proprio il modulo che sostiene di non aver sostenuto
spese elettorali, aggirando
la legislazione elettorale ma
soprattutto facendo accetta-
re implicitamente e induttivamente alla Biondi di essere
stata candidata alla luce del
sole. A questo punto l’avvocatessa si rivolgeva alla Procura di Napoli che faceva
scattare l’inchiesta che vede
sotto la lente circa 300 nomi
di “riempilista” a loro insaputa e che dovrebbe riguardare non solo il PD, ma anche
alcune liste “civiche” che appoggiavano le liste della casa
del fascio del candidato Gianni Lettieri, ossia “Pensionati”
e “Terra Nostra”.
Nelle indagini sono spuntate altre vicende come quella di Federica, 23 anni, una
ragazza con la sindrome di
down, candidata a sua insaputa nel seggio 704 di via
Marrone a Pianura; o quella di Annachiara Sereni, 23
anni, neolaureata in economia e commercio, nella lista delle nove persone che
già hanno denunciato l’inse-
rimento nelle liste PD irregolarmente.
Intanto Renzi preferisce
rimanere in silenzio sulla vicenda in attesa di un intervento del PD nazionale, mentre i dirigenti napoletani sono
impegnati nello scaricabarile puntando l’indice sul compagno della Valente, Gennaro Mola, che supervisionava i
nomi delle civiche che sostenevano la candidata PD sindaco. Ad autenticare le firme
furono i consiglieri comunali
Salvatore Madonna, Antonio
Borriello e Vincenzo Varriale: una autentica organizzazione che la Procura di Napoli verificherà se essere a
delinquere e se finalizzata al
falso e ai brogli elettorali, cominciando dall’atteggiamento omissivo della Valente, di
Mola e dei consiglieri compiacenti di questa ennesima
vergogna targata Partito Democratico.
Nella Calabria governata dal PD Oliverio non si capisce dove finisce la
’ndrangheta e inizia lo Stato borghese e viceversa
Un comitato d’affari legato alla ’ndrangheta
vibonese dirottava i fondi europei destinati
alle famiglie povere: 9 arrestati
La Direzione Distrettuale
Antimafia di Catanzaro il 2 di
febbraio ha eseguito un blitz
che ha portato all’arresto di 9
persone nell’ambito di un’indagine sui fondi UE, destinati alle famiglie disagiate, gestiti
dalla Regione Calabria tramite il progetto “Credito Sociale”.
L’inchiesta,
denominata
“Robin Hood”, riguarda l’esistenza di un comitato d’affari
legato alla ’ndrangheta vibonese (in particolare la ’ndrina
Mancuso di Limbadi) in grado
di dirottare i fondi europei su
conti correnti, anche esteri, di
società private.
Le accuse sono di peculato, turbativa d’asta, corruzione, minaccia ed estorsione
aggravata dal metodo mafioso. Posti sotto sequestro due
milioni di euro.
Gli arrestati sono: Nazzarano Salerno, “ras” di Serra San
Bruno (Vibo Valentia), una vita
nella Dc, poi Ccd, AN, Ncd,
oggi consigliere regionale di
Forza Italia; è stato assessore regionale al Lavoro nella
giunta del fascista mal-ripulito
e condannato Scopelliti, considerato la mente del comitato, sotto inchiesta anche per
voto di scambio con le ’ndrine
Lo Bianco e Vallelunga. È stato sospeso dal consiglio regionale per la vicenda.
Pasqualino Ruberto di Lamezia Terme, ex presidente
di “Calabria Etica”, società in
house della Regione trasformata da Ruberto, nominato
da Scopelliti, in un vero “assumificio” clientelare. Considerato molto vicino al Salerno,
oggi è consigliere comunale
di Lamezia Terme dopo la sua
trombatura come candidato
sindaco con un pezzo di “centro-destra”. È stato sospeso
dal consiglio comunale.
L’imprenditore Gianfranco
Ferrante di Vibo Valentia.
Vincenzo Spasari, impiegato di Equitalia a Vibo Valentia.
Vincenzo Caserta, ex dirigente del dipartimento delle
politiche sociali della regione.
Ortensio Marano, dirigente
della Cooperfin spa.
Giuseppe Avolio Castelli di
Roma.
Bruno Dellamotta, residente a Firenze ma irreperibile.
Claudio Isola, ex componente della struttura speciale
dell’assessorato regionale al
lavoro.
L’inchiesta si sta allargando
anche ad altri soggetti, esponenti della mafia dei “colletti
bianchi”.
Insomma in Calabria persino le briciole date dalla UE
imperialista per aiutare i più
bisognosi diventano cibo per
pescecani senza scrupoli!
Nel frattempo il governatore PD Mario “palla-palla”
Oliverio fa il bilancio dei suoi
primi 2 anni alla guida della regione Calabria (è stato eletto
nel novembre 2014 con il voto
di 2 calabresi su 10) parlando
di “buon governo” e “lotta alla
’ndrangheta”, facendo ridere
(se non ci fosse da piangere)
visto e considerato che le condizioni di vita, lavoro, studio e
salute del popolo calabrese si
sono ulteriormente aggravate
grazie alla sua nefasta azione
di governo borghese, neofascista e filomafiosa.
Quanto al PD regionale,
sotto shock dopo la batosta
del referendum del 4 dicembre che ha visto in Calabria
stravincere il No con percentuali “bulgare”, è sempre più in
difficoltà sia per le lotte intestine interne con un occhio alle
prossime amministrative e politiche, sia per la penetrazione
mafiosa.
Su questo punto va detto che il segretario regionale, il renzianissimo Ernesto
Magorno, ex sindaco di Dia-
mante (Cosenza) oggi deputato, è fortemente sospettato
dalla DDA di essere vicino al
clan Muto di Cetraro, la terribile ’ndrina del cosentino così
potente da avere in passato
propri uomini perfino dentro il
Tribunale di Paola (Cosenza).
Fra le vittime più celebri dei
Muto il caso di Giannino Losardo, segretario capo della
procura di Paola, sindaco di
Cetraro del PCI revisionista,
ucciso nel 1980 proprio perché si era avvicinato troppo
all’intreccio locale fra i Muto,
lo Stato borghese e in particolare la procura di Paola.
E pensare che Magorno è
persino membro della commissione parlamentare Antimafia!
Non si può tacere infine, a
proposito dell’ormai proverbiale trasversalismo di Oliverio, delle recenti elezioni
provinciali cosentine del 29
gennaio scorso, elezioni di
secondo grado, come prevede la sciagurata “riforma” Delrio che ha ristretto gli spazi di
democrazia borghese.
Su 16 seggi disponibili 14
sono andati al “centro-sinistra”, questo perché nonostante il fatto che il capoluogo
Cosenza e decine di comuni
della provincia siano in mano
alla destra, quest’ultima ha visto escluso dalla competizione il proprio candidato Antonio De Caprio “per mancato
raggiungimento di firme necessarie” (pensate un po’...)
e ha quindi votato in massa
per Franco Iacucci, sindaco
di Aiello Calabro, da sempre
sgherro di “palla-palla” e candidato del “centro-sinistra”, diventato presidente con tanto
di maggioranza schiacciante infarcita di impresentabili
di ogni risma e colore, a cominciare dal genero dell’ex
eurodeputato PD e ex democristiano Mario Pirillo, ovvero
Graziano Di Natale, ex presidente facente funzioni della
provincia, in passato Dc, Cdu
(con il quale fu vicesindaco
con la destra a Paola) quindi La Margherita, oggi a “sinistra” con il PD.
Dunque in Calabria non
si capisce più dove finisce la
’ndrangheta e inizia lo Stato
borghese (e viceversa), dove
inizia la destra e finisce la “sinistra” borghese (e viceversa), di sicuro si capisce che
Mario Oliverio e la sua giunta
regionale borghese, neofascista e filomafiosa devono andare via al più presto!
“Palla-palla” dimettiti! Sei la
vergogna della Calabria!
‡‡Redazione di Napoli
Un dossier ritenuto in
grado di “mettere una pietruzza tombale sulla carriera politica” di Luigi de
Magistris che è stato confezionato alla vigilia delle primarie del “centro-sinistra”.
Sarebbe questa la notizia
che è trapelata da un’inchiesta al vaglio della Procura di
Napoli che sta indagando su
un accordo intercorrente tra
l’imprenditore Romeo e l’ex
governatore e rinnegato del
comunismo, Antonio Bassolino. L’ex governatore campano avrebbe chiesto a un
dirigente del Comune, Giovanni Annunziata, a lungo al
vertice del servizio Demanio
e Patrimonio, di confezionare un dossier per boicottare la campagna elettorale di
De Magistris.
L’inchiesta,
condotta
dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Celeste Carrano e dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice,
coordinano il lavoro nel quale sembrano già indagati
per corruzione sia l’imprenditore Alfredo Romeo, sia
il dirigente Annunziata. Un
paio di mesi fa, quando dagli atti depositati emersero
i primi riferimenti alla presunta raccolta di documenti ritenuti in grado di colpire
De Magistris alla vigilia delle elezioni, Romeo rispose
con un duro comunicato, respingendo le accuse; rimane però il fatto che è stato
proprio l’ex pm a sbattere
fuori Romeo e fargli chiudere la sua azienda filo PD che
si occupava del patrimonio
pubblico partenopeo, non
rinnovando i contratti con il
Comune. Ulteriori elementi potrebbero emergere dalle intercettazioni nell’auto di
Carlo Vadorini, l’amico di cui
Annunziata avrebbe ottenuto la riassunzione presso la
Romeo gestioni in cambio di
certificati e altre iniziative ritenute favorevoli per la società.
Vadorini, secondo Woodcock, aveva fatto riferimento al presunto dossier:
“Prima delle elezioni, Annunziata mi disse che sta-
va raccogliendo alcuni documenti”. Secondo la prima
ricostruzione, Annunziata
avrebbe raccolto carte riservate sulla gestione del patrimonio immobiliare da parte
di “Napoli Servizi”, carte che
sarebbero state sufficienti a mettere in difficoltà De
Magistris se non addirittura
compromettere l’intera compagna elettorale del 2016.
Ed ecco il collegamento
con l’ex governatore campano: questi dati sarebbero
stati propedeutici alla predisposizione di un documento che sarebbe stato chiesto
ad Annunziata da Bassolino
alla vigilia delle elezioni primarie del “centro-sinistra”,
poi vinte dalla renziana Valeria Valente. Si tratta di uno
dei filoni dell’indagine che
coinvolge il Gruppo Romeo,
partita dall’appalto delle pulizie al Cardarelli: secondo
i pm napoletani ci sarebbe
stato un accordo con i clan
sull’assunzione del personale. Da quel filone ne sono
scaturiti altri, fino all’indagine sui bandi Consip (spostata alla procura di Roma)
che coinvolge Luca Lotti e
il comandante generale dei
Carabinieri, Tullio Del Sette.
“Non riescono a costruire una dialettica democratica, l’unica cosa che possono fare è inventare dossier
per colpirmi” è il commento laconico di De Magistris.
Romeo, dopo essere stato
convocato dai pubblici ministeri il 23 dicembre, ora
sembra disposto a parlare
con gli inquirenti. Sarebbe
interessante verificare qual
è il ruolo ricoperto dal rinnegato Bassolino: mandante, artefice o comparsa? La
guerra per bande attraversa tutta la vita delle istituzioni borghesi e contrappone
non solo la destra alla “sinistra” del regime neofascista,
pronte a qualsiasi meschinità e colpo basso pur di conquistare la poltrona di turno
ma anche i diversi capibastone all’interno dello stesso
partito e coalizione allo scopo di assicurarsi la supremazia e il predominio dell’uno sull’altro.
La maggioranza pentastellata blocca
il referendum sul forno crematorio a
Civitavecchia
‡‡Dal corrispondente
dell’Organizzazione di
Civitavecchia del PMLI
Il 31 gennaio scorso si è
svolta una conferenza stampa del Comitato “No forno
crematorio industriale” dalla
quale è emerso che il referendum sul forno per ora non
si farà.
È quanto è scaturito dall’ultimo consiglio comunale che,
mettendosi sotto i piedi il malcontento della popolazione
ha definitivamente stoppato
l’ipotesi referendum.
Il Comitato pro referendum, di cui fa parte anche
l’Organizzazione di Civitavecchia del PMLI, è ora pronto
ad azioni più incisive. Esprimendo il proprio disappunto
per l’esito del consiglio comunale, il presidente del suddetto Comitato Mario Michele
Civitavecchia, 21 gennaio 2017. Il banchino del Comitato contro il forno
crematorio mentre raccoglie le firme al mercato di piazza Regina Margherita, a cui partecipa l’Organizzazione di Civitavecchia del PMLI
Pascale ha affermato: “siamo molto delusi del comportamento dell’amministrazione
comunale. Ho visto dei consiglieri che si nascondono dietro alla gonna di un segretario generale. Uno spettacolo
che si potevano risparmiare.
La città ha inviato un segnale chiaro, esiste la volontà popolare di fare questo referen-
dum. Abbiamo raccolto più di
2 mila firme in poche settimane e a mio avviso c’è una violazione dei diritti dei cittadini”.
Ancora una volta non si
smentisce l’arroganza del
sindaco targato M5S Antonio Cozzolino perciò la lotta
contro la giunta pentastellata
continua.
14 il bolscevico / esteri
N. 6 - 16 febbraio 2017
Primo incontro tra i due governanti imperialisti alla Casa Bianca
Asse imperialista tra Trump e May
Vogliono guidare il mondo e distruggere lo Stato islamico
Trump e Putin si accordano per combattere assieme lo Stato islamico
Nello stesso giorno in cui
Donald Trump firmava un decreto per “iniziare una grande
ricostruzione delle forze armate”, destinando ancora più
risorse per marina e aeronautica militari, e contemporaneamente un altro per bloccare
l’accesso negli Usa di cittadini provenienti da sette Stati a
maggioranza islamica definiti
“a rischio terrorismo”, Theresa
May è sbarcata a Washington per rafforzare la “relazione
speciale” storica tra la Gran
Bretagna e gli Stati Uniti.
La premier britannica – primo capo di Stato straniero a far
visita al neo presidente americano – si presentava infatti a
Trump non solo quale leader
del paese che con la Brexit ha
rotto i legami con l’invisa Unione europea, ma anche dopo
aver appena annunciato l’intenzione della Gran Bretagna di
riacquistare la sua piena libertà
di grande potenza imperialista
come nel passato, dotata di
una sua politica estera, commerciale e militare autonoma,
e dedita d’ora in poi a ricercare
solo accordi bilaterali nel suo
esclusivo interesse nazionale,
a cominciare appunto dal rinsaldare l’asse di ferro storico
con la superpotenza Usa.
Presentandosi con queste
credenziali, perciò, l’intesa
col nuovo inquilino della Casa
Bianca non poteva essere più
perfetta su quasi tutti i punti in
agenda, tanto che è stata unanimemente paragonata a quella tra la Thatcher e Reagan.
Sicuramente l’asse di ferro tra
i due governanti imperialisti si
propone oggettivamente come
l’embrione di una internazionale nera - grazie anche alla
Brexit e all’indebolimento della
Ue, definita sprezzantemente
da Trump “una consorteria” di
lenti burocrati - per unire le forze razziste e fasciste e guidare
insieme il mondo. Non a caso
Washington 29 gennaio 2107. La protesta contro Trump (tenuta a distanza da uno schieramento di polizia e barriere mobili) nei pressi della
Casa bianca (sullo sfondo a sinistra)
i due si sono fatti fotografare
davanti al busto di Churchill
fatto rimettere nella sala ovale
da Trump, e hanno esaltato la
“relazione speciale” tra i due
paesi che “è stata una delle
grandi forze della storia per la
giustizia e la pace”.
“La priorità è la lotta
all’IS”
La Brexit, ha detto Trump,
“è una benedizione per il mondo” e sarà “una cosa fantastica”, e gli Stati Uniti oggi
“rinnovano lo stretto legame
militare, finanziario, culturale
e politico” col Regno Unito. In
particolare “abbiamo discusso come potenziare insieme
la lotta all’Isis”, ha detto a sua
volta la premier britannica,
sottolineando come la lotta al
“terrorismo” e la distruzione
dello Stato islamico siano in
cima all’intesa tra i due governi. Quanto al problema dell’uso
della tortura, che Trump vuole
ripristinare, e che la May aveva
invece escluso perché proibita
dalle leggi britanniche, il presidente Usa l’ha liquidato delegando la decisione al capo del
Pentagono, il generale James
“cane pazzo” Mattis, e tanto
è bastato alla premier inglese
per lasciar cadere l’argomento.
Così come, per quanto riguarda il banditesco decreto contro gli immigrati islamici firmato
lo stesso giorno dell’incontro,
la May ha fatto finta di averlo
saputo solo al suo ritorno a
Londra.
Riguardo ai soli due punti veramente controversi, la
Nato e i rapporti con la Russia
di Putin, i due hanno fatto in
modo di smussare al massimo
i differenti punti di vista. Sulla
Nato, che Trump aveva definito un’organizzazione “obsoleta”, la May ha parlato a nome
di tutti e due, dichiarando che
il presidente americano “mi ha
confermato che è al cento per
cento a favore e siamo uniti nel
riconoscimento dell’Alleanza
atlantica come baluardo della difesa europea”, anche se
è necessario che tutti gli Stati
membri “rafforzino il loro contributo finanziario”.
Quanto alla Russia la premier ha rimarcato che “le sanzioni devono restare in vigore,
fino a quando gli accordi di
Minsk non saranno applicati”.
Mentre Trump, che l’indomani
aveva in agenda la prima te-
lefonata con Putin, è stato più
vago, dicendo che “se andassimo d’accordo, ad esempio
nella lotta all’Isis, sarebbe un
vantaggio. Non so se accadrà,
magari no, ma prima devo parlarci”. E difatti nella telefonata
i due si sono trovati d’accordo
sulla necessità di “dare priorità
alla lotta al terrorismo” e per
creare un “reale coordinamento contro lo Stato islamico”; e
prima di salutarsi hanno anche
convenuto di “riprendere i legami economici”, il che metterebbe quantomeno in dubbio
il mantenimento delle sanzioni invocato invece dalla May.
L’allentamento delle sanzioni
per l’Ucraina e la ripresa dei
rapporti Usa-Russia sarebbe
la contropartita della comune
guerra allo Stato islamico in Siria, dove Putin si è impiantato
stabilmente e intende spartirsi
il territorio con Usa e Turchia
per condurre insieme l’attacco
finale alle roccaforti dell’IS.
La nuova
internazionale
fascista di Trump
Londra, 4 febbraio 2017. La manifestazione di protesta contro Trump e la premier inglese Theresa May d’accordo con le scelte dell’amministrazione americana
Ma al di là di queste differenze tattiche non c’è dubbio
che il vertice Trump-May abbia
inaugurato un’alleanza strategica che va ben oltre i comuni sentimenti nazionalistici,
protezionistici e cosiddetti
“populistici” che vengono loro
attribuiti. Stando al corrispondente dagli Usa de la Repubblica, Federico Rampini, il 27
gennaio a Washington “è nata
la nuova internazionale populista. Ha la sua dottrina: nazionalista, anti-europea, perfino...
‘operaista’. La visita di Theresa May alla Casa Bianca è il
battesimo ufficiale”. Niente di
più riduttivo e falso! Semmai
è nata la nuova internazionale
fascista, e Trump ne ha preso
decisamente in mano la guida,
con il rivitalizzato imperialismo
inglese a fargli da spalla.
Altro che “populista”, Trump
è un miliardario capitalista e un
fascista, e quella che si è realizzata negli Stati Uniti con la
sua ascesa elettorale al potere
è una dittatura fascista in piena regola. Infatti egli concentra
nelle sue mani il potere esecutivo e quello legislativo, avendo il suo partito la maggioranza in Congresso e in Senato.
E con la recente nomina a vita
del reazionario Neil Gorsuch a
giudice della Corte suprema
controlla adesso anche il potere giudiziario: la sedicente
separazione dei poteri è stata
definitivamente denudata per
quella che è, e il presidente assume di conseguenza i poteri
di un vero e proprio dittatore.
Del resto basta guardare la raffica di provvedimenti e decreti
antipopolari, fascisti, razzisti
e antislamici firmati in pochi
giorni dalla sua elezione per
rendersene conto.
L’avvento di Trump segna
anche una nuova fase dei rapporti internazionali, caratterizzata dal declino della superpotenza americana e dall’ascesa
della superpotenza cinese,
declino a cui l’imperialismo a
stelle e strisce cerca di reagire con Trump facendo la voce
grossa e mostrandosi più aggressivo che mai: “Fare di nuovo grande l’America” è infatti il
suo slogan, che suona come
un’ammissione di non essere
più la superpotenza egemone
incontrastata di inizio secolo, e
al tempo stesso come un bellicoso proposito di rivincita.
Aumentano i pericoli
di guerra imperialista
Quella di Trump è tutt’altro
che una politica “isolazionistica” e di difesa, bensì aggressiva e che cerca di rimontare le
posizioni perdute. È in questa
ottica che vanno lette le sue
prime mosse internazionali: tra
cui la telefonata alla presidente
di Taiwan in spregio al principio di “una sola Cina”; il muro
al confine col Messico; l’appoggio totale al governo nazisionista di Israele e alla sua
politica di annessione dei territori palestinesi; le minacce di
rompere l’accordo antinucleare con l’Iran; l’incoraggiamento
al riarmo del Giappone e della Corea del Sud; gli attacchi
commerciali e politici alla Ue,
e in particolare alla Germania;
la recente minaccia di inviare
la flotta da guerra nelle acque
cinesi, e così via.
Segnali aggressivi che il
governo socialimperialista di
Pechino interpreta infatti come
minacce di guerra intensificando a sua volta i preparativi e le
manovre militari. Mai il pericolo
di una guerra imperialista tra la
superpotenza cinese in ascesa
e quella americana, decisa a
non farsi spodestare dal suo
ruolo egemone a livello mondiale, era stato così forte e ravvicinato come adesso.
esteri / il bolscevico 15
N. 6 - 16 febbraio 2017
Al vertice informale di Malta
L’UE vuole blindare la rotta migratoria
del
Mediterraneo
centrale
Alla marina libica il compito di intercettare i barconi e rimandarli indietro
Gli argomenti più importanti
del vertice informale di Malta
del 3 febbraio, presieduto dal
presidente del Consiglio europeo il polacco Donald Tusk,
erano certamente quelli della
sessione pomeridiana dove i 27
paesi dell’Unione europea (Ue)
hanno continuato la discussione, avviata nel precedente incontro di Bratislava, sul futuro
della potenza imperialista europea nell’era del dopo Brexit
e delle novità della presidenza
Trump alla Casa Bianca; una
discussione che si dovrebbe
concludere entro il vertice del
25 marzo in Italia in occasione
della celebrazione del 60esimo anniversario dei trattati di
Roma. Nella riunione mattutina a 28, con la presenza della
britannica Theresa May, hanno
discusso degli “aspetti esterni
della migrazione” in relazione
soprattutto a come “affrontare la rotta del Mediterraneo
centrale”. O meglio di come
tentare di chiudere la rotta dei
flussi migratori che passano dal
Mediterraneo centrale sulla via
libica.
Uno strumento per tentare
di sigillare la rotta del Mediterraneo centrale è certamente
quello degli accordi bilaterali
come quello firmato il 2 febbraio a Roma da Fayez Al Serraj,
capo del Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato
di Libia ovvero il governo fantoccio sponsorizzato dall’Italia
e dall’Onu, e dal presidente del
consiglio italiano Paolo Gentiloni.
Il “Memorandum d’intesa
sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale”,
come afferma il primo rigo del
documento, riporta tra le altre
“la ferma determinazione (di
Italia e Libia, ndr) di cooperare
per individuare soluzioni urgenti
alla questione dei migranti clandestini che attraversano la Libia
per recarsi in Europa via mare,
attraverso la predisposizione
dei campi di accoglienza temporanei in Libia, sotto l’esclu-
sivo controllo del Ministero
dell’Interno libico, in attesa del
rimpatrio o del rientro volontario
nei paesi di origine, lavorando al
tempo stesso affinché i paesi di
origine accettino i propri cittadini ovvero sottoscrivendo con
questi paesi accordi in merito”.
Da subito le Parti si impegnano tra le altre a “avviare
iniziative di cooperazione in
conformità con i programmi e
le attività adottati dal Consiglio
Presidenziale e dal Governo di
Accordo Nazionale dello Stato
della Libia, con riferimento al
sostegno alle istituzioni di sicurezza e militari al fine di arginare i flussi di migranti illegali” e
in particolare “la parte italiana
si impegna a fornire supporto
tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta
contro l’immigrazione clandestina, e che sono rappresentati
dalla guardia di frontiera e dalla
guardia costiera del Ministero
della Difesa, e dagli organi e dipartimenti competenti presso il
Ministero dell’Interno”.
Un Gentiloni gongolante ha
portato l’accordo al vertice di
Malta e incassato gli elogi dei
partner imperialisti. Al contrario
Carlotta Sami, la portavoce in
Sud Europa dell’agenzia Onu
per i rifugiati (Unhcr) affermava
che “siamo contrari all’accordo. L’Europa vorrebbe replicare
il modello messo in atto con la
Turchia, ma è una follia, perché
la Libia non è un Paese sicuro.
Non è certo questo, l’impegno
che ci aspettiamo” e denunciava che il documento parla
di “migranti illegali” mentre “in
realtà buona parte di coloro
che fuggono avrebbe diritto
alla protezione internazionale.
Nel 2016 il 38% dei richiedenti asilo l’ha ottenuta. Cercare
protezione non è illegale, ma
anzi è un diritto, e ignorare la
cosa significa venir meno alle
proprie responsabilità di accoglienza”; quello che fa la Ue
alzando muri contro migranti e
profughi.
L’intesa Italia-Libia è infatti in
linea con il vergognoso accor-
do stipulato a suo tempo col
fascista turco Erdogan, pagato
fior di milioni di euro affinché si
accollasse il compito di fermare
il flusso dei profughi dai paesi
mediorientali lungo il corridoio
balcanico. E in linea col piano
europeo presentato il 25 gennaio a Bruxelles dalla Commissione europea e dall’Alta
rappresentante della politica
estera Ue, Federica Mogherini.
Nel caso della Libia i soldi destinati all’impresa dalla Ue ancora
non sono tanti ma d’altra parte
anche il governo fantoccio di
Tripoli è in grado di operare solo
su una parte molto ridotta del
territorio nazionale; la marina
libica si è assunta comunque il
compito di intercettare i barconi
e rimandarli indietro. E riconsegnare i migranti ai trafficanti di
esseri umani che controllano la
gan parte dei lager del paese.
“La Libia non è sicura non
rimandate indietro i migranti”,
chiedeva l’Onu in un documento messo a punto dall’ufficio dell’Alto commissario per
i diritti umani a dicembre dello
scorso anno dal titolo significativo: “Detenuti e disumanizzati,
rapporto sulle violazioni dei diritti umani dei migranti in Libia”.
Una denuncia confermata recentemente dai responsabili di Medici senza Frontiere e
dall’Unhcr.
A Malta i 27 hanno ignorato qualsiasi obiezione e hanno
tirato dritto pensando al futuro
della Ue imperialista avendo a
monito un passaggio della lettera che il presidente Donald
Tusk aveva inviato ai 27 capi
di Stato o di governo dell’UE
prima del vertice; “la disintegrazione dell’Unione europea - affermava Tusk - non
comporterà il ripristino di una
mitica, piena sovranità degli Stati membri, bensì la loro
dipendenza reale ed effettiva
dalle grandi superpotenze: gli
Stati Uniti, la Russia e la Cina.
Solo insieme possiamo essere
pienamente indipendenti”. O
meglio concorrenti imperialisti
a pari titolo.
Trump mette al bando gli immigrati
Nel commentare l’insediamento del nuovo presidente
americano Donald Trump alla
Casa Bianca il 20 gennaio
scorso denunciavamo la sua
politica che di fatto si presenta
come l’instaurazione della dittatura fascista negli Stati Uniti;
una misura ritenuta necessaria
dalla destra americana per ricompattare il paese e rilanciarlo nella sfida per l’egemonia
mondiale, una volta preso atto
che gli Usa non sono più la superpotenza egemone e incontrastata nel mondo. I primi atti
della nuova amministrazione
Usa lo confermano.
Il 25 gennaio Trump firmava
il decreto per la costruzione del
muro al confine con il Messico,
o meglio per il completamento della costruzione del muro
avviata nel 1994 dall’allora
presidente Bill Clinton e proseguita dal repubblicano George
Bush con la legge Secure Fence Act del 2006 votata tra gli
altri anche dagli allora senatori
Barack Obama Hillary Clinton.
Tre giorni dopo, il 28 gennaio, Trump firmava un ordine
esecutivo, presentato come
uno strumento per impedire
l’ingresso di terroristi islamici
negli Stati Uniti, che bloccava la concessione dei visti di
ingresso per la popolazione
proveniente da Iran, Iraq, Libia,
Somalia, Sudan, Siria e Yemen.
O meglio per la popolazione di
fede musulmana dato che una
clausola esplicita garantiva la
corsia preferenziale di ingresso
per “profughi cristiani”. L’ordine esecutivo di Trump è di fatto una moderna legge razziale
che conferma il carattere fascista dell’amministrazione Usa.
A motivazione del provvedimento Trump citava gli attentati terroristici dell’11 settembre
2001 sostenendo che allora “la
Onu e Ue lo criticano
Gli antirazzisti
ancora in piazza
capitale che con una dichiara- decretava che i rifugiati o altre il giordano Zeid Ràad al Hus-
politica del dipartimento di Stato impedì ai funzionari consolari di esaminare adeguatamente
le richieste di visto di alcuni dei
19 stranieri che finirono con
l’uccidere circa 3 mila americani”. Se si considera che gli autori degli attentati provenivano
dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dall’Egitto e dal
Libano, ovvero da Paesi non
inseriti nel decreto, risalta evidente la pretestuosità dell’atto.
A Trump interessa confermare
che l’imperialismo americano
è di nuovo pronto a menare le
mani come in passato.
Le scene di passeggeri provenienti dai 7 paesi bloccati
il 28 gennaio negli aeroporti
americani facevano il giro del
mondo assieme a quelle delle
immediate manifestazioni di
protesta dentro e fuori gli scali
aerei e per le strade di molte
città americane. Un corteo di
diverse migliaia di dimostranti
sfilava fin davanti la Casa Bianca per gridare No al bando,
altre migliaia di manifestanti
si riunivano a Battery Park, la
punta sud di Manhattan sulla
baia di New York, di fronte alla
Statua della libertà gridando
“No Ban No Wall”, no al bando
no al muro. Le manifestazioni
contro la legge razzista si moltiplicavano in molte città in tutto il mondo.
La protesta continuava nei
giorni successivi con gli antirazzisti in piazza negli Usa
ancora il 4 febbraio, financo a
Mar-a-Lago in Florida dove si
trovava Trump per il fine settimana. Sulla spinta delle manifestazioni si muoveva anche
la magistratura con i procuratori generali di 15 Stati e della
zione congiunta condannano
come incostituzionale il provvedimento di Trump contro i
viaggiatori provenienti da sette
Paesi a maggioranza islamica.
Una giudice del tribunale del
distretto federale di Brooklyn
persone interessate dalla misura e che sono arrivati negli
aeroporti statunitensi non potevano essere espulsi.
Contro la legge razzista si
pronunciava l’Alto commissario Onu per i diritti umani,
seini, che definiva il bando
“illegale e meschino” e “la
discriminazione basata sulla
nazionalità contraria ai diritti
umani”. Anche l’Unione europea criticava il bando di Trump,
financo quella del ritrovato
fedelissimo alleato del Regno
Unito. Nessun commento invece da paesi musulmani quali
Arabia Saudita, Emirati arabi,
Giordania, Egitto e Turchia.
Tutti zitti, alleati allineati e coperti. Come significativa era la
posizione della Russia, con un
portavoce di Putin che chiudeva la questione con un secco
“ritengo che non sia un affare
nostro”.
Dopo l’annuncio del segretario di Stato Usa Tillerson che è possibile un blocco
navale nel Mar cinese meridionale
La Cina: “Il conflitto con l’America
adesso e’ piu’ concreto. La guerra
non e’ soltanto uno slogan”
Per ora tra Usa e Cina siamo
solo alle parole ma sono parole pesanti e danno comunque
il senso di come crescano velocemente i pericoli di guerra
tra potenze imperialiste.
Il confronto era stato aperto
dal nuovo segretario di Stato
Usa Rex Tillerson che non ancora insediato ma soltanto nominato, aveva ai primi di gennaio annunciato che gli Stati
Uniti erano pronti a organizzare anche un blocco navale per
impedire l’accesso alle isole
artificiali fortificate che la Cina
sta costruendo nel Mare Meridionale, diverse delle quali
situate negli atolli e nelle isole
la cui sovranità è contesa coi
paesi vicini. Tillerson definiva
le costruzioni delle basi militari
cinesi su queste isole assimilabili a quella della “Russia che
ha occupato la Crimea“.
Il ministero degli Esteri di
Pechino replicava a tambur
battente appellandosi “a mutuo rispetto e cooperazione”
e a relazioni basate sul “non
scontro, non conflitto e mutuo
beneficio” pur ammonendo
che gli americani “devono fare
attenzione a quello che dicono e fanno” per non mettere
a rischio “la pace e la stabilità
di tutta la regione”. Commenti secchi del tipo di quelli che
già avevano espresso il malcontento di Pechino quando
il neopresidente Trump aveva
telefonato per primo al governo di Taiwan.
A metà gennaio l’avverti-
mento per Donald Trump era
affidato alle colonne di importanti media ufficiali quali Global Times e China Daily. Su un
editoriale di Global Times, nato
da una costola del Quotidiano
del Popolo, l’organo ufficiale
del Partito comunista revisionista, si affermava che “Tillerson
farebbe bene ad approfondire
le strategie sulle potenze nucleari se vuole costringere una
potenza nucleare a cancellare
il suo territorio”. E si garantiva che la Cina ha “sufficiente
forza e determinazione e per
assicurare che il suo agitatore non riesca nei suoi intenti.
A meno che Washington non
pianifichi una guerra su larga
scala nel mar Cinese meridionale, altri approcci per preve-
nire l’accesso cinese alle isole
sarebbero stupidi”. Qualora le
affermazioni diventino reali a
seguito dell’insediamento del
tycoon alla Casa Bianca, rilanciava China Daily, “ci sarebbe
il viatico per un devastante
confronto tra Cina e Stati Uniti
e le due parti farebbero bene
a prepararsi a uno scontro militare”.
Chiudeva il giro dei commenti il rapporto a fine gennaio di un ufficiale dell’Esercito
popolare di liberazione alla
Commissione militare centrale
nel quale si affermava che le
probabilità di un conflitto con
l’America di Donald Trump
adesso sono “più concrete.
La guerra non è soltanto uno
slogan”.
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No alla violenza maschile sulle donne
l’Assemblea
nazionale
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MENO e le auguriamo pieno successo
SALUT
la piattaforma contro la violenza
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maschile
sulle
donne,
sulle
lesbiche
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O
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e sulle persone transessuali
le donne a lottare contro il governo
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Gentiloni e il capitalismo, per il socialismo.
Perché solo abbattendo il capitalismo e il potere della
borghesia e instaurando il socialismo con il proletariato al
potere è possibile realizzare la piena emancipazione delle
donne, la totale parità tra le donne e gli uomini e costruire
un mondo nuovo
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
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Stampato in proprio
“Le donne portano sulle loro spalle la metà
del cielo e devono conquistarsela” Mao Zedong