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PRIMO PIANO
Venerdì 10 Febbraio 2017
Eletta nei pentastellati, essendo delusa, sta vagando da un gruppo parlamentare all’altro
La sen. De Pin, un’anima in pena
Non sono ovviamente esclusi altri trasferimenti
I
DI
CESARE MAFFI
l turismo parlamentare, si
sa, è uno sport molto praticato: i viaggi dall’una
all’altra formazione sono frequenti.
Ci sono poi gruppi
che, vedendo arrivare o partire qualche
aderente, mutano
ripetutamente denominazione, a volte
semplicemente per i
cambi di casacca di un
eletto insoddisfatto,
che resta nel gruppo
ma cambia riferimento politico. Esemplare,
anzi unica, è la vicenda della senatrice Paola De Pin.
Entrata a palazzo
Madama nelle (allora) folte schiere grilline, la De Pin è tra
le prime a lasciare la
casa pentastellata, per
aderire al gruppo misto. Trascorso qualche mese, costituisce, con altri ex cinque stelle,
la componente Gap (Gruppo
azione popolare), divenuta
poi Gapp (Gruppo azione par-
tecipazione popolare).
Nel maggio 2014, insieme
con altri senatori dissidenti
dal M5s, forma una nuova
componente, denominata
Paola De Pin
Italia lavori in corso (non
si può negare un’accentuata fantasia nella scelta
dei nomi), che abbandona
nell’autunno successivo, restando nel misto, ma senza
etichetta.
Nel maggio 2015, va nel
gruppo Gal (Grandi autonomie libertà), cui è tuttora
iscritta. I suoi spostamenti
costringono,
però, a ripetuti
mutamenti nella denominazione completa del
gruppo. Infatti
la De Pin conosce una stagione ambientalista, cosicché il
gruppo acquisisce l’ulteriore
sigla di Federazione dei verdi.
Arriva l’inverno 2016,
ecco la stagione
Euro-exit della
senatrice: Gal
cancella l’indicazione della
Fe d e r a z i o n e
dei verdi e aggiunge questa ennesima
sigla, Euro-exit. Nella primavera successiva, nuovo
passaggio: Alternativa per
l’Italia, e il gruppo Gal di
nuovo si adatta, mutando
nome. Siamo nell’inverno
2017: la senatrice, avendo
aderito a un movimento nuovo di zecca, Riscossa Italia,
fa cambiare ancora il nome
a Gal.
Si attende l’arrivo della primavera o, al più,
dell’estate, per comprendere
se la vivace grillina delusa
si accaserà in qualche altra
formazione, con correlato
cambio di nome nel gruppo
parlamentare.
Andrebbe aggiunto che
alle europee del 2014 la De
Pin si esprime a favore della lista Tsipras, però non
aderisce alla successiva costituzione della componente
l’Altra Europa con Tsipras,
peraltro poi dissoltasi per
passaggio dei membri (an-
che loro ex grillini) a Sel.
A conti fatti, il gruppo
Gal ha già mutato denominazione dodici volte, mentre
la De Pin è transitata attraverso tre gruppi, due componenti, cinque sigle e due
permanenze senza etichetta
specifica.
Ovviamente, nel rimanente scorcio di legislatura saranno possibili ulteriori trasmigrazioni e cambiamenti
di nome.
Vicende simili chiariscono chi siano spesso gli
eletti pentastellati e quale
affidamento si possa fare su
di loro. Transumanze parlamentari così avvilenti costituiscono poi un ulteriore
sussidio all’antipolitica.
© Riproduzione riservata
SCOVATI NELLA RETE
ANTONIO POLITO: ADESSO RENZI APPARE APPANNATO PERCHÉ NON È PIÙ LUI CHE DÀ LE CARTE
Fuori dall’Italia, ma vicino a noi, sta succedendo di tutto e noi
ci stiamo baloccando sui capilista e le candidature degli amici
DI
R
FEDERICO FERRAÙ
enzi? Non è più lui a dare le
carte, spiega Antonio Polito. Per l’editorialista e vicedirettore del Corriere è sempre più probabile che si voterà alla
scadenza naturale della legislatura.
Ma la vera questione, al di là della
legge elettorale e le vicissitudini in
casa Pd, è la marginalità dell’Italia
nel nuovo contesto europeo e internazionale. Nell’anno in cui per la
prima volta la Ue e la moneta unica
appaiono a rischio, «potremmo ritrovarci con un sistema politico che
esplode come nel ’92».
Domanda. Polito, l’Italia è in
grave difficoltà nel contesto europeo. Come si sta mettendo il
nostro 2017?
Risposta. Sono molto preoccupato e molto pessimista. Più ancora di
quello che accade in Italia, è quello
che succede intorno a noi che rischia
di metterci nei guai. Potremmo ritrovarci al di fuori di una serie di
elementi di contesto che per decenni
ci hanno protetto.
D. A cosa pensa?
R. Le elezioni in Francia mettono
per la prima volta a rischio la Ue e
la moneta unica; l’America, per la
prima volta nel dopoguerra, se ne
infischia dei suoi alleati europei e
cerca un rapporto diretto con la Russia di Putin; rischiamo di avere una
situazione del commercio mondiale
più difficile per i paesi esportatori
come l’Italia. A tutto questo si aggiunge la nostra crisi politica.
D. Il quadro è frammentato,
non si riescono a trovare un
equilibrio e soluzioni durature.
Perché?
R. Quello della politica italiana è
un big-bang già cominciato nel 2013.
Da allora si è formata in Parlamento
una maggioranza rappattumata perché tutti temevano lo scioglimento
e le elezioni. Ma corriamo il rischio
che il sistema politico esploda come
nel ’92, perché le prossime elezioni
potrebbero non garantire nessuna
maggioranza. Proprio nel parlamento
che potrebbe doversi occupare della
permanenza dell’Italia in Europa.
D. Renzi sembra ostinato a
volere il voto a giugno. Lo otterrà?
R. È molto difficile. In questa fase
politica lo schema di gioco di Renzi
non è più quello lineare e dichiarato
di prima del referendum. Oggi il segretario del Pd ha le idee molto meno
nette su quello che può fare, per il
semplice motivo che non è più lui a
dare le carte.
D. Però tutti temono il voto.
Bersani è tornato a dire che è meglio votare nel 2018 e secondo il
Corriere diversi maggiorenti del
Pd si preparerebbero a sostenere
Orlando a capo del Pd se Renzi
insiste con il voto anticipato.
R. Renzi certamente preferirebbe
le elezioni a giugno, perché oggi ha
ancora una presa sull’opinione pubblica e non c’è un avversario vero che
emerge, dato che i 5 Stelle sono percepiti come forza anti-sistema.
D. Dunque il tempo congiura
contro di lui.
R. Sì. Per qualche mese ancora è il
politico con più probabilità di successo. Se si vota nel 2018, nel frattempo
ci sarà stato il congresso del Pd, la
sua presa sul partito potrebbe essere
ridimensionata e nell’opinione pubblica potrebbe essere vittima di un
certo oblio.
D. Forzerà la mano?
R. Il complesso delle circostanze e
delle opinioni contrarie è così ampio e
vasto che Renzi stesso difficilmente ci
riuscirà. E credo che lo abbia capito.
D. Quanto accade nel Pd e sul
fronte della legge elettorale è
quasi indecifrabile. Secondo lei
come stanno le cose?
R. È fondata l’ipotesi che Renzi
stia facendo un’offerta a Berlusconi,
Franceschini e Bersani del tipo: se
volete il premio di coalizione, in cambio dovete darmi le elezioni a giugno.
E qui sorge già un primo ostacolo.
D. Quale?
R. Il premio di coalizione sarebbe
anche la fine del suo potere assoluto,
perché la guida del governo dopo il
voto non andrebbe più automaticamente al segretario del Pd, ma sarebbe frutto di un accordo di coalizione.
Non mi pare che abbia carte così
buone in mano da poter imporre a
chicchessia le sue soluzioni.
D. Che scenario prevede?
R. Dovrà accettare un compromesso nel Pd, che significa il congresso
prima del voto e di conseguenza una
redistribuzione dei pesi nel partito.
Come vede, tutto sembra dire che
non ci sono le condizioni per votare
subito.
D. E poi ci vuole la legge elettorale.
R. Su cui non c’è ancora il barlume
di un accordo. E nemmeno i tempi:
per votare a giugno si dovrebbero
sciogliere le camere ad aprile, mentre
stiamo ancora aspettando le motivazioni della sentenza della Consulta
e il capo dello Stato ha chiesto leggi
omogenee per Camera e Senato.
D. Le motivazioni della sentenza potrebbero cambiare il
quadro cui abbiamo assistito
finora?
R. Se la Consulta mettesse per
iscritto nella sentenza un invito
al parlamento a razionalizzare le
due leggi elettorali restanti dopo la
bocciatura del Porcellum e la correzione dell’Italicum, questo renderebbe assai più difficile sostenere
che la sentenza del 25 gennaio ci
ha dato una legge elettorale subito
utilizzabile. Servirebbe un lavoro
parlamentare che non si fa in una
settimana.
D. Berlusconi è ancora l’interlocutore privilegiato di Renzi?
R. Forse Renzi è più preoccupato
che qualcuno dei suoi, per esempio
Franceschini, prenda l’iniziativa
di parlare personalmente con gli
emissari di Berlusconi, sfilandogli
di mano la trattativa. Anche Berlusconi vuole fare la legge elettorale, ma l’ultima cosa che vuole è
anticipare il voto, perché spera nel
frattempo di riottenere l’agibilità
politica.
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