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PRIMO PIANO
Venerdì 3 Febbraio 2017
Sono quelli del centro politico che cambiano nome più velocemente della pelle delle bisce
Cespugli mezzo punto percentuale
Si agitano ma spesso non si capisce dove vogliano andare
DI
S
E ALLA FINE DELL’ OPERAZIONE NON RESTERÀ PIÙ NESSUNO
CESARE MAFFI
i avverte frenesia,
fra i cespugli che
ingolfano il centro,
per predisporsi alle
elezioni. Più ancora che
alle politiche, la cui data è
oggetto di contesa, il riferimento è alle comunali, che
interesseranno un migliaio
di enti, fra cui la bellezza di
25 capoluoghi. Si spiegano
così alcuni attivismi, anche
se non c’è alcuna certezza
sul destino medesimo di
questo marasma di sigle.
Sabato prossimo Scelta
civica terrà una conferenza
programmatica. Il tema è:
«Verso le elezioni amministrative 2017», facendo riapparire il simbolo di «Cit-
Mario Monti
tadini per l’Italia».
Prosegue l’operazione di
radicamento, già vista nelle
precedenti amministrative,
senza che si comprenda
quali siano i rapporti con i
verdiniani. Infatti il gruppo
della Camera reca come prima l’intestazione di Scelta
civica, e poi quella di Denis
Verdini («Ala per la costituente liberale e popolare»),
mentre al Senato la dizione
Scelta civica segue quella
verdiniana (a palazzo Madama non era rimasto più
nessuno del partito già di
Mario Monti e poi di Enrico Zanetti). Il sito di Sc,
però, continua a limitarsi a
Montecitorio. Evidentemente Zanetti & C. procedono a
vista, in attesa che la legge
elettorale chiarisca il loro
destino.
Ex montiani, di fatto
buttati fuori da Sc, si sono
raggruppati a Montecitorio
come «civici e innovatori».
Il loro avvenire è oscuro: non sono nemmeno in
numero sufficiente per un
gruppo autonomo (occorrono 20 deputati), tant’è che
hanno ottenuto soltanto
una disponibilità di tempo
per arrivarci. Peccato che la
scorsa settimana siano scesi da 17 a 16, perché Mario Catania li ha lasciati
per inserirsi in un altro
cespuglio, denominato «De-
Pd, si divorano fra loro con grande entusiasmo
DI
SERENA GANA CAVALLO
V
erso la fine degli anni ’50 cominciò a diffondersi in Italia (oltre all’esigua schiera
di eletti) un interesse, culturale dapprima e poi anche più rigorosamente cognitivo verso Freud,
Jung, Adler e, complessivamente,
la psicanalisi. L’acme di questa diffusione popolare fu, nella mia personale esperienza, raggiunto quando,
sul finire degli anni 70, sentii perentoriamente affermare da un sindacalista di base degli edili che lui non
aveva nessun «complesso friulano»,
ma senza arrivare a queste vette, ritengo che la consapevolezza di cosa
sia il «complesso edipico», la rivalità
verso la figura paterna e il desiderio di sostituirsi ad essa nel rapporto
con la madre, sia ampiamente diffusa. Quello che invece non sembra
mocrazia solidale-Centro
democratico», ossia gli accoliti del trentino Lorenzo
Dellai e di Bruno Tabacci.
Questa sigla potrebbe avere qualche possibilità di
sopravvivenza: raggruppa
personaggi orientati verso
la sinistra cattolica, pronti
all’evidenza sia a immettersi nel Pd, sia a costituire
una micro formazione collocata nel centro-sinistra.
Sempre in tema di raggruppamenti in larga par-
sia stato molto studiato (nemmeno
da Freud) è un complesso che attanaglia moltissimi politici italiani: il
«complesso di Kronos».
Di Edipo la mitologia narra
che uccise il padre Laio (inconsapevolmente) e ne sposò la vedova, e
sua stessa madre. Di Kronos si narra invece che divorasse i figli avuti
da Gea perché gli era stato predetto
che uno di loro lo avrebbe spodestato, il che avvenne quando Gea, con
un sotterfugio, sottrasse Giove al
paterno banchetto. Inutile elencare
quanti «figli» sono stati «divorati»
da Berlusconi, ma ora è la sinistra
che, per non restare indietro, mentre
scissione dopo scissione arriverà a
quella dell’atomo (con relativa finale
implosione) si esercita attivamente
nell’eliminare qualsiasi potenziale
erede.
Si iniziò sommessamente quan-
te di provenienza cattolica,
l’Udc è spaccata fra i seguaci di Lorenzo Cesa, distanti dal Pd, e i «centristi per
l’Italia», di Pier Ferdinando Casini, il quale guarda
a Silvio Berlusconi ma
resta legato al Ncd nel comune gruppo Ap, «Area popolare».
Sugli alfaniani troneggiano le sgradite esclusioni esternate da personaggi
svariati, non solo Giuliano
Pisapia, ma anche Matteo
do, morto Berlinguer, si scelse
come successore Natta, ottima persona e decisamente il più incolore
degli aspiranti al titolo. Occhetto fu
rapidamente derubricato. Veltroni
si derubricò da solo e ora ben due
«padri», quasi nonni, ognuno onusto di
personali fallimenti, D’Alema e Bersani, spalancano le fauci per inghiottirsi Renzi, che incautamente disse di
volerli rottamare. Entrambi pronti a
fondare/rifondare l’ennesimo partito
della sinistra, se non dura, almeno
assolutamente pura. Non stiamo assistendo ad uno scontro politico: da un
lato è una replica della Cosmogonia
greca, da un altro è l’ennesima messa
in scena di un classico di Agatha
Christie, intitolato «Dieci piccol
indiani», ma più icasticamente tradotto in film col titolo « E poi non ne
rimase nessuno». Applausi in sala.
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Orfini e Ettore Rosati. Il
futuro non è limpido.
Questi centristi sono
così divisi che i sondaggi
non riescono quasi mai a inquadrarli. Del resto, se pure
si rilevasse il loro seguito
con indicazione nominativa,
soltanto in qualche caso si
supererebbe il mezzo punto
percentuale.
C’è da chiedersi, quando si
presentassero liste proprie,
quanti elettori saprebbero
individuarli, sia dal nome
(che muta: i fittiani qualche giorno fa sono passati
da «conservatori e riformisti» a «Direzione Italia»…),
sia dal simbolo.
Vogliamo fare una conta
di chi sappia riconoscere i
contrassegni (ove davvero esistano) di «Idea» o di
«Grande Sud», di «Fare!»
o di «Insieme per l’Italia»,
tutte etichette aventi ciascuna qualche deputato o
senatore al seguito?
© Riproduzione riservata
BERSANI: «NON MINACCIO NULLA E NON GARANTISCO NESSUNO»
Emiliano strepita ma non con D’Alema
DI
O
FRANCESCO DAMATO
ra c’è solo la prospettiva di
bloccare la corsa alle urne
con le carte bollate minacciate dal suo compagno di
partito Michele Emiliano, governatore della Puglia. Il quale spera
che qualche collega in toga non so di
quale tribunale civile della Repubblica possa destituire o sospendere il
segretario del Pd, o comunque obbligarlo a invertire i tempi del percorso
politico: prima il congresso e poi le
elezioni. Ormai alla magistratura in
Italia manca solo questo: il potere
praticamente di convocare o sconvocare un congresso di partito. Segnali
in questa direzione, d’altronde, già
sono arrivati con le risse esplose, per
esempio, nel partitino socialista di
Riccardo Nencini. E potrebbero
ancora venirne se è vero, per esempio, che Umberto Bossi è talmente
stanco e preoccupato di Matteo Salvini che vorrebbe in qualche modo
obbligarlo per via giudiziaria ad un
congresso per arrestarne la corsa
alle elezioni, ma soprattutto per ridurre le distanze che il segretario
del Carroccio ha preso da Silvio
Berlusconi.
Non è un caso, d’altronde, che
la via giudiziaria alla soluzione dei
conflitti politici sia stata prospettata e venga perseguita da uno come
Michele Emiliano, che è rimasto magistrato, mettendosi solo in
aspettativa, pur facendo ormai da
tempo il politico: prima sindaco di
Bari, poi presidente della Puglia e
segretario regionale del Pd, se non
mi è scappato qualche altro passaggio politico.
Quello di Emiliano è un curriculum che ha fatto sobbalzare sulla
sedia un vecchio dirigente comunista come Emanuele Macaluso, che
gliel’ho appena rinfacciato opponendogli la memoria di un compagno
siciliano che negli anni Cinquanta,
del secolo purtroppo trascorso, si dimise dalla magistratura per fare il
funzionario del Pci e diventarne poi
parlamentare. Si chiamava - e spero si chiami ancora, cioè spero che
viva - Emanuele Tuccari. Emanuele come l’amico ed estimatore
Macaluso.
Il magistrato e politico Michele Emiliano ha tuttavia dato un dispiacere a D’Alema, prendendone
le distanze nel timore di rimanerne
danneggiato nella corsa alla segrete-
ria del partito alla quale si è iscritto
da solo. In una intervista ad un giornale non casuale, l’Unità, il governatore pugliese ha infatti accusato
D’Alema di essere «come Renzi» e
precisato quindi di «non correre per
lui». Gli è capitato evidentemente
solo l’incidente di correre «con lui»
contro il segretario in carica.
Un altro, nel Pd, che ha qualche
problema di compagnia con D’Alema è Pier Luigi Bersani, l’ex segretario del partito. Che ha coniato
questa formula per mettersi alla
finestra e vedere che fine potrà
avere lo scontro in corso: «Non minaccio nulla e non garantisco nessuno». I soliti maliziosi aggiungono
che qualche bersaniano si sia già
informato su quanti posti blindati di capilista Renzi sia disposto a
concedere alle minoranze, quando
verrà il momento di definire le candidature, anche se l’ex segretario
dei capilista è stanco, dopo averne
scelti tanti nella sua esperienza alla
guida del partito, e vorrebbe ora che
se ne abbandonasse la pratica per
tornare ai collegi uninominali. Ma
ciò comporterebbe una riforma dai
tempi non brevi.
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