Visualizza in PDF

Download Report

Transcript Visualizza in PDF

6
PRIMO PIANO
Giovedì 26 Gennaio 2017
In 71 anni di storia repubblicana chiunque le abbia sollecitate è stato punito dalle urne
Elezioni anticipate pericolose
A Renzi non serve il passo del bersagliere ma dell’alpino
DI
DOMENICO CACOPARDO
I
corridoi romani della politica, si tratti di Sant’Andrea delle Fratte (il Pd,
infatti, non risiede al
Nazareno), di Palazzo Chigi,
di piazza in Lucina (Forza
Italia), di Camera e Senato,
etc., sono percorsi dai rumores riguardanti l’impazienza
di Matteo Renzi, mentre la
Corte costituzionale sta ponzando la propria sentenza
sull’Italicum (ma vi sembra
normale che un presidente
del più importante organo
giurisdizionale – e politico,
invero - della Repubblica,
Paolo Grossi, inviti, martedì 24, gli avvocati alla «brevità» su un tema cruciale come
quello della costituzionalità
o meno della legge elettorale?), di trovare la strada (e
la forzatura) necessaria per
portare il Paese alle urne il
prima possibile.
Se fosse vera, questa impazienza sarebbe una nuova
dimostrazione dell’immaturità del segretario del Pd che,
dagli errori commessi durante la sua presidenza del consiglio, non ha tratto alcun
partito, come, del resto, da
quelli attribuitigli per l’esercizio dell’incarico di partito.
Immaturità e ignoranza dei
71 anni di storia repubblicana, durante i quali chi ha
voluto le elezioni anticipate, ha sempre pagato dazio.
Soprattutto Fanfani che di
impazienze e di colpi di coda
era un maestro per il quale,
tuttavia, Indro Montanelli
aveva coniato il nomignolo di
«Rieccolo».
Quos vult Iupiter perdere dementat prius, dicevano
i latini: Giove acceca chi vuol
perdere. E il detto può ben a
ragione applicarsi al nostro
giovane già ex-primo ministro. La rapida calvalcata
vittoriosa da Palazzo Vecchio,
a Firenze, dove esercitava le
funzioni di sindaco, alla segreteria del suo partito e, poi
(«Enrico stai tranquillo»), a
Palazzo Chigi, è irripetibile:
da un lato la corsa al vincitore che aveva contribuito a far
realizzare il blitz s’è arrestata
e in tanti hanno preso pubblicamente e privatamente le
distanze da Renzi. Per esempio, il ministro della giustizia
Orlando, quello dei beni culturali Franceschini, quello
dell’agricoltura Martina, e
una palude, soprattutto ex democristiana (da cui proveniva
il maggior apporto), pronta a
rischierarsi secondo opportunità e convenienza.
E qualche dubbio può
essere nutrito anche sulla
fedeltà di Paolo Gentiloni
che riceve – non casualmente - Romano Prodi a Palazzo Chigi, ben sapendo che la
cosa sarebbe stata considerata dal segretario del suo
partito come un calcio negli
stinchi. Un errore di Gentiloni, a prescindere, giacché
Prodi non può dire nulla
per il futuro del Paese, salvo
rappresentare quel gruppo di
cariatidi che già tanti danni
ha prodotto nei periodi di
(loro) potere. Ora, la questione, detta in due parole, è la
seguente: qualunque sia la
decisione della Corte costituzionale (intorno alla quale si
racconta tutto e il contrario di
tutto) – che dovrebbe tosare
l’Italicum, ma non tanto da
renderlo inapplicabile (cioè
parzialmente applicabile) -,
Renzi intenderebbe premere
sull’acceleratore, magari ritirando il Pd dalla coalizione di
governo, in modo da rendere
improcrastinabili le elezioni.
Nel ragionamento, come
riferito anche dalla grande
stampa, ci sono alcuni errori di grammatica: Renzi
paga caro l’errore commesso
rompendo con Berlusconi
ed eleggendo Mattarella.
Mattarella, infatti, ha, in occasione del messaggio di fine
anno, ribadito che le elezioni
potranno essere indette solo
in presenza di due modalità
tra loro compatibili di elezione di Camera e Senato.
E paga caro l’errore di non
avere sostenuto Amato nella
corsa per la presidenza della
Repubblica, giacché Amato,
il «Dottor sottile», per proprie
e indiscusse capacità politiche e giuridiche, è diventato
il grande manovratore della
Corte e, quindi, il regista di
una decisione che dovrebbe
non rendere possibile una
convocazione immediata o
quasi dei comizi elettorali.
Se, accanto al segretario
di Pd, qualcuno ragiona con
la propria testa e ha il coraggio di dirgli in faccia quali
siano le difficoltà che il suo
frettoloso progetto presenta
(penso a Elena Boschi – un
fiore politico un po’ sfiorito - una dei pochi che, forse,
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND
Salvini mette in mobilità gli ultimi dipendenti della
Lega. Li aiuterà lo Stato a casa loro.
***
Il Pd pronto a barattare la riforma della cittadinanza con l’appoggio leghista sulla legge elettorale. Lo
Ius Sòla.
***
Trump dà il via libera ai due impianti che trasportano
greggio attraverso territori Sioux. Olio Seduto.
***
Per ricordare Regeni, noi italiani osserveremo un minuto di silenzio. Gli egiziani sono già al 525.600°.
potrebbe metterlo di fronte
alla realtà), può darsi che,
alla fine, l’uomo si convinca e
ceda il passo. Già, questo non
è il tempo per mettere in crisi
il governo Gentiloni. Questo
sarebbe il tempo di lavorare per costruire o ricostruire un partito della sinistra
democratica, un partito di
sinistra-centro, capace di riportare alla ribalta l’idea del
«Partito a vocazione maggioritaria», inventata da Valter
Veltroni, e da lui stesso affossata con alcune sciagurate
alleanze come quella con un
expm della procura di Milano,
di cui non fa conto ricordare
il nome.
Sapendo che, se il lavoro politico nel partito fosse
efficace e avesse successo, le
possibilità di correre e vincere il 2018 si accrescerebbero.
Intendiamoci, la questione
è quella di sbarrare il passo alla compagnia di guitti
senza idee (salvo quella del
potere) che fa capo al comico
Grillo, e, quindi, di realizzare
le condizioni per un risultato
che affidi a una ragionevole
coalizione il governo del Paese per i 5 anni 2018-2023.
Perciò piuttosto che la corsa del bersagliere ci vuole il
passo dell’alpino, quello che,
lentamente, ti conduce più
lontano.
Signor Renzi studi il
caso di Aldo Moro: presidente del consiglio 1963-1968
(Moro I, II, III), e poi, di nuovo
senza sgomitare, 1974-1976
(Moro IV, V). E comprenda
che la costruzione paziente
di una politica, di uno schieramento, di alleanze è l’unica
e necessaria premessa per poter tornare a respirare l’aria
malsana di Piazza Colonna,
a Roma (ove ha sede la presidenza).
www.cacopardo.it
© Riproduzione riservata
L’ACCADEMIA HA BOCCIATO IL TERMINE INGLESE HOME RESTAURANT NEL TESTO DI UNA NUOVA LEGGE
La Crusca bacchetta la Camera dei deputati
E chiede al Senato della Repubblica di preservare la lingua italiana
DI
M
FILIPPO MERLI
eglio petaloso di home
restaurant. L’Accademia della Crusca, dalla
sua sede di Firenze, ha
bacchettato la Camera, rea di aver
inserito il termine inglese nella
nuova legge che regola l’attività di
ristorazione in abitazioni private
da poco approvata a Montecitorio.
I linguisti, inoltre, hanno invitato il Senato a cambiare la terminologia nel testo della norma: da
home restaurant a ristorante domestico. Dall’inglese all’italiano.
«È sorprendente che, per definire
tale attività, il legislatore italiano
debba ricorrere all’anglismo home
restaurant», ha osservato l’Accademia, «quasi che l’arte culinaria casalinga del nostro Paese abbia origini
oltre Manica e la lingua italiana non
disponga di un termine per designare ciò che si potrebbe senz’altro denominare ristorante domestico».
«Questo termine risulta non
solo immediatamente comprensibile per tutti, ma riunisce semanticamente tutti gli elementi della
definizione che il testo di legge
fornisce dell’attività in questione».
Per questo motivo, gli studiosi e i
fi lologi hanno invitato «i membri
del Senato, ora investito dell’esame
del testo di legge, a valutare criticamente l’opportunità di introdurre
nella legislazione un termine straniero che, oltre a non apportare alcuna chiarezza supplementare, pare
in netto contrasto con gli obiettivi
della normativa».
A rivolgersi a Palazzo Madama è stato il gruppo Incipit dell’Accademia. Il quale, si legge sul sito
ufficiale, «ha lo scopo di monitorare i neologismi e i forestierismi
incipienti, nella fase in cui s’affacciano alla lingua italiana e prima
che prendano piede». In passato,
lo stesso gruppo aveva proposto di
sostituire il termine hot spot con
centro d’identificazione, voluntary
disclosure con collaborazione volontaria, smart working con lavoro agile e stepchild adoption con adozione
del figlio del partner.
I linguisti fiorentini si sono inseriti all’interno di una querelle che
coinvolge il parlamento e chi opera
nel settore della ristorazione nelle
abitazioni private. Il ddl approvato
alla Camera e passato al Senato ha
lo scopo di regolare un fenomeno,
quello degli home restaurant, che,
sull’onda del successo della sharing
economy, è in crescita esponenziale.
Chi fa parte di questo mondo teme
che la legge, in caso di entrata in
vigore, metta in pericolo l’attività,
dato che impedirebbe a chi è attivo nel campo del bed&breakfast di
affiancare anche la ristorazione casalinga.
«Da giovane imprenditore, e
in qualità di founder di Home restaurant Hotel, start up avviata 21
mesi fa, la prima al mondo a offri-
re il servizio di home restaurant
con affittacamere, chiedo di verificare tutte le ricevute fiscali che
la mia azienda ha emesso nel ciclo
di vita, i locali e le norme igienico
sanitarie e, solo dopo, sedersi e distruggere lo sviluppo economico»,
ha polemizzato sulla Stampa l’amministratore della GC restaurant &
management di Firenze, Gaetano
Campolo, che considera la nuova
norma un «insulto agli italiani».
Campolo, così come l’Accademia della
Crusca, s’è rivolto al presidente del
Senato, Pietro Grasso. Se la legge
venisse approvata senza modifiche
anche da Palazzo Madama, quello
italiano, secondo l’amministratore della società fiorentina, sarebbe
«l’unico parlamento in Europa a vietare l’incrocio coi B&B, inventando
scuse senza senso contro lo sviluppo
e la crescita del nostro Paese». Per
la Crusca, invece, il problema è l’inglese.
© Riproduzione riservata