Libano, la prigione delle immigrate-schiave

Download Report

Transcript Libano, la prigione delle immigrate-schiave

L'Indro - L'approfondimento quotidiano indipendente
Politica > News
Libano, la prigione delle immigrate-schiave | 1
venerdì 09 dicembre 2016, 18:30
Immigrazione
Libano, la prigione delle immigrate-schiave
Lavoratrici straniere senza diritti che diventano proprietà di chi le assume
di Sabrina Duarte
Partono dall’Etiopia, dal Bangladesh, dallo Sri Lanka e dalle Filippine. Lasciano la propria casa per mancanza di opportunità
economiche; e spinte dalla speranza di aiutare le proprie famiglie approdano in Libano. È un esercito di giovani donne,
avvolte in sari sgargianti, di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Sono poco alfabetizzate, ingenue e vulnerabili, e non
hanno nessuna consapevolezza dello sfruttamento che le attende. «La legge libanese sul diritto al lavoro esclude
esplicitamente dalle proprie disposizioni i lavoratori domestici» spiega George Ghali di Alef, l’associazione per i diritti
umani con sede a Beirut. Il rapporto di lavoro fra datore e domestica è regolato quindi da una serie di decreti, decisioni
amministrative e consuetudini che costituiscono la Kafala o sistema di sponsorizzazione, in base al quale la regolarità
della posizione delle lavoratrici dipende completamente dalla famiglia nella quale sono impiegate. «La
procedura di reclutamento viene avviata nel paese di origine delle donne da agenti locali a seguito di una specifica richiesta
da parte o di un’agenzia libanese o di un datore di lavoro privato», spiega Geroge Ghali. All’arrivo in aeroporto le donne
vengono rivevute e raggruppate da un agente locale, anello di congiunzione con i datori di lavoro che ne hanno fatto
richiesta. Le due parti firmano quindi un contratto di fronte ad un notaio, in questo modo le donne ottengono un
permesso di lavoro ed un permesso di soggiorno della validità di tre mesi. La paga varia dai 100/150 dollari al
mese ai 500 per quelle che si occupano di tutto: dal fare le pulizie e cucinare, al badare ai bambini e agli anziani. Ma una
volta oltrepassata la soglia delle ricche case libanesi, le domestiche scompaiono letteralmente nel nulla. La loro
libertà di circolazione è completamente vincolata al volere dei datori di lavoro; controllate rigorosamente, possono restare
confinate in casa anche per settimane o mesi, e continuare a lavorare per lungo tempo dopo la fine del contratto. La casa
che le accoglie diventa così una vera e propria prigione: «Quasi mai hanno una stanza privata dove dormire e tenere i
propri effetti personali» continua Ghali «Di solito dormono in cucina o in soggiorno». Non hanno diritto di professare la
propria fede religiosa, o peggio, sono costrette ad assistere alle cerimonie di culto dei datori di lavoro, anche se si tratta di
una religione diversa dalla loro. Il contratto firmato tra le parti, inoltre, obbliga il datore di lavoro a coprire i bisogni
fondamentali di vitto e vestiario delle lavoratrici, «Ma molte donne», denuncia ancora Ghali, «Non sono nutrite a
sufficienza e non ricevono un’adeguata assistenza medica». L’assicurazione obbligatoria pagata dai libanesi per le
loro domestiche, copre solo i costi di alcune procedure di emergenza; in caso di malattia quindi, una visita medica o
l’acquisito di medicine dipenderanno solo dalla buna volontà del datore, che in non pochi casi detrae quelle stesse spese
dallo stipendio delle dipendenti. Le lavoratrici avrebbero in questi casi pieno diritto di reclamo presso le compagnie di
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/libano-la-prigione-delle-immigrate-schiave/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati.
L'Indro - L'approfondimento quotidiano indipendente
Politica > News
Libano, la prigione delle immigrate-schiave | 2
assicurazione e costringere così i loro padroni a pagare, ma sono frenate da una scarsa informazione riguardo i loro
diritti e soprattutto dal sistema statale corrotto. Rivolgersi alle autorità sarebbe inutile: il sistema permette ai datori di
avere a tutti gli effetti diritto di proprietà su di loro; e finire nelle mani della polizia significa in molti casi rischiare di subire
abusi sessuali o essere restituite ad un padrone infuriato. «E ancora», continua Ghali «Non possono lavare i loro vestiti con
quelli dei datori di lavoro, gli viene fornito un diverso set di utensili da cucina, e spesso non possono sedere sulle sedie di
casa». Tanti, infine, sono i casi di donne che subiscono insulti e violenze fisiche e sessuali: «Non solo dai padroni, ma anche
dai loro parenti o addirittura dai dipendenti delle agenzie di reclutamento» conclude Ghali. Condizioni di vita
insopportabili, una mole di lavoro disumana e la paura hanno spinto molte lavoratrici domestiche al suicidio.
Nell’agosto del 2008 Human Right Watch ha pubblicato un studio allarmante sulla questione: I dati mostrano che ogni
settimana in Libano muore una lavoratrice. Nello specifico tra gennaio 2007 e agosto 2008 nel paese sono morte
almeno 95 domestiche. Di queste, 40 si sarebbero tolte la vita, mentre altre 24 sarebbero cadute dagli alti edifici,
probabilmente nel tentativo di fuggire. Gli sforzi intrapresi finora per regolamentare la presenza e il lavoro di queste giovani
donne sono falliti; e nonostante l’impegno di tante NGO, al momento non sembrano esserci le condizioni per cui la loro
situazione possa migliorare. Fra tutte le lavoratrici domestiche, le etiopi sono le più fragili e manipolabili. È di qualche giorno
fa la notizia riportata dal quotidiano Daily Star Lebanon, sulle ultime morti fra le immigrate. Si tratta di due giovani donne di
nazionalità etiope decedute per avvelenamento da monossido di carbonio. Una terza lavoratrice è stata trovata viva, ma in
condizioni critiche e accompagnata con urgenza in ospedale. Il governo etiope non dà loro il minimo appoggio, non
esige giustizia di fronte a fatti di violenza e maltrattamenti. Da parte del paese sarebbe necessario adottare
programmi di istruzione e creare più opportunità di lavoro, oltre che applicare controlli più severi sugli agenti di
reclutamento. Ma il problema non è solo la terra di origine. La società libanese che le accoglie è ossessionata dalla logica di
classe e le lavoratrici domestiche immigrate sono un ottimo strumento per ostentare benessere da parte di coloro che non
potrebbero permettersi una cameriera autoctona.
di Sabrina Duarte
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/libano-la-prigione-delle-immigrate-schiave/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
Copyright L'Indro S.r.l. Tutti i diritti riservati.