La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 5 dicembre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Serracchiani non basta: dal Friuli valanga di No (M. Veneto)
Trieste incassa il titolo di roccaforte del "No" (Piccolo)
Snaidero: export e incentivi hanno salvato il legno-arredo (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 5)
«Filiera del biotech all’ex Caffaro» (M. Veneto Udine)
Vigili e Uti, personale in agitazione (Gazzettino Udine)
Benzinai dimezzati nel giro di dieci anni (Piccolo Trieste)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Serracchiani non basta: dal Friuli valanga di No (M. Veneto)
di Anna Buttazzoni e Maurizio Cescon - Ha vinto nettamente il No alla riforma costituzionale anche
in Friuli Venezia Giulia, come in quasi tutte le altre regioni. Un risultato che, alla vigilia, era
difficile da pronosticare, almeno con queste dimensioni. Gli exit poll, fin dal primo momento,
hanno fornito una chiara tendenza, che poi è stata confermata dai voti veri, che sono stati registrati
già pochi minuti dopo la chiusura dei seggi. I risultati della prima sezione del Friuli Venezia Giulia
sono arrivati alle 23.25: per il No 19 voti, per il Sì 11. E’ stato solo l’antipasto di una tendenza che
via via che sono passati i minuti si è cementata, fino all’esito finale, con un divario di oltre 20 punti
percentuali. I risultati parziali. Il No è partito di slancio, fin dalle primissime sezioni scrutinate ed è
rimasto in vantaggio di più di 20 punti, con picchi di 24 (62 a 38) anche quando erano già noti i
risultati di oltre 350 sezioni su 1370 complessive. Una debacle per il Sì nella regione governata
dalla numero due del Partito democratico nazionale Debora Serracchiani. Poco prima dell’una di
notte con 972 sezioni scrutinate su 1.370 il No è volato al 61,15 per cento con oltre 295 mila
suffragi, e il 38,85 per cento al Sì con 188 mila preferenze. In particolare in provincia di Udine il
No ha toccato il 60,7 per cento, nel capoluogo, dove il sindaco Furio Honsell aveva fatto campagna
per il Sì, si è attestato al 55,06 per cento. In provincia di Pordenone 58,57 per cento di No e 41,43
per cento di Sì. Nel capoluogo del Noncello il No ha prevalso con il 53,91 per cento. In provincia di
Gorizia il No è andato oltre il 60 per cento, precisamente al 60,98 per cento e nel capoluogo
isontino al 62,03 per cento. In provincia di Trieste, infine, il No arriva al 63,35 per cento e nel
capoluogo al 63,57 per cento. Risultati che via via sono diventati sempre più netti, man mano che
giungevano i dati dai vari centri del Fvg. Affluenza sopra la media. In Friuli Venezia Giulia dati
molto vicini a quelli registrati alle Politiche del 24 e 25 febbraio 2013, la nostra è stata la regione
dove l’affluenza è andata sopra la media con il 72,49 definitivo. Si era votato di meno alle Europee
del 2014 con il 57,64 per cento in regione e meno della metà per il referendum sulle trivelle
dell’aprile scorso (32,16 per cento). Trieste è la provincia che chiude i conteggi per prima. Alle 23
affluenza definitiva al 68,15 per cento. La città giuliana (67,80 per cento), Muggia, Duino e i
Comuni del Carso sono quelli che hanno comunque votato di meno rispetto al resto della regione,
dove si è andati ben oltre il 70 per cento. Si è votato di più a Sgonico con il 71,45 per cento e meno
a Monrupino (64,96 per cento). In provincia di Gorizia l’affluenza è stata del 72,35 per cento, in
città ci si è fermati al 69,71 per cento. Il record di affluenza a Fogliano Redipuglia con il 78,10 per
cento, la percentuale più bassa a Moraro con il 68,35 per cento. In provincia di Pordenone si è
votato maggiormente a Brugnera con il 78,67 per cento, mentre Andreis si fermato al 55,15 per
cento e Claut al 62,05. In provincia di Udine è stato Moimacco a sfondare quota 80 per cento, con
l’81,29, Bertiolo ha sfiorato l’80 per cento, con il 79,98. E’ andato forte pure Pagnacco con il 79,74,
mentre Ligosullo non ha oltrepassato il 54 per cento. Udine città si è fermata al 72,94 per cento. A
Pordenone città affluenza definitiva al 73,48 per cento, mezzo punto più di Udine. Il capoluogo
della Destra Tagliamento è quello che tra i centri maggiori ha votato di più, anche di Gorizia e di
Trieste. In provincia di Pordenone affluenza alle 23 al 74,35 per cento, mentre in quella di Udine si
è andati di poco sotto, 73,40 per cento.
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Trieste incassa il titolo di roccaforte del "No" (Piccolo)
di Gianpaolo Sarti - A mezzanotte e ventisei Matteo Renzi dichiara chiusa la sua esperienza di
governo. La prima poltrona che salta «è la mia», dice in conferenza stampa. A Trieste e in Friuli
Venezia Giulia il centrodestra attende altrettanta fermezza decisionale dai vertici del Pd locale. Un
passo indietro, come dicono in molti, o in parte. Ma ci sarà tempo per le rese dei conti. Intanto sono
i numeri a certificare la disfatta totale del referendum per il Pd renziano, anche a livello territoriale.
Già attorno a mezzanotte, a metà sezioni scrutinate, il “No” nel capoluogo sfiorava il 64%. Nei tre
quarti d'ora successivi, a scrutini quasi conclusi (266 su 276), la musica non era cambiata più di
tanto: il “No” trionfava al 63,40% e il “Sì” riusciva a posizionarsi appena al 36,60%. 76.372 voti
contro la riforma a fronte di 44.091a favore. Bocciatura netta, inequivocabile. Anche perché
peggiore che nel resto d'Italia, dove il no, verso l'una, lambiva il 60%; mentre in Friuli Venezia
Giulia si attestava attorno al 61%. I rilievi sui singoli Comuni non si discostano dalla fotografia
provinciale: il No a Trieste raggiunge il 63,51% e a Duino Aurisina il 59,81%; più corto il distacco
a Monrupino (52,99% No, 47,01 Sì) e a Sgonico (53,17 No, 46,83 Sì). Ma più ampio ancora a
Muggia (No al 65,81%). Vince il No pure a San Dorligo (63,24%). Quanto all’affluenza, Trieste è
fanalino di coda a livello regionale. Alle undici, a urne chiuse, aveva votato il 68,14% a livello
provinciale (67,80 nel capoluogo) contro il 72,49 in Friuli Venezia Giulia (il 69% in Italia). Davanti
a tutti Pordenone con il 74,35%, Udine al 73,40 e Gorizia al 72,35%. Il centrodestra, intanto,
gongola. «È stata confermata l'impressione che avevamo avuto in campagna elettorale - evidenzia
leghista Pierpaolo Roberti - anche perché la riforma metteva in discussione pure la nostra
autonomia. Attenzione - aggiunge - adesso non siamo di fronte soltanto a una bocciatura di Renzi,
ma pure di Serracchiani visto che in Friuli Venezia Giulia il dato sui No è maggiore di quello
nazionale. Dopo le varie batoste elettorali, questo è il definitivo avviso di sfratto». Sulla stessa linea
gli esponenti di Forza Italia. «Ottima la partecipazione, un risultato così non si vedeva da anni premette il capogruppo in Consiglio comunale Piero Camber -. Le rare schede nulle o bianche
dimostrano che la per i cittadini di esprimere il proprio voto era chiara. Questa non è solo una sberla
a Renzi ma anche a Serracchiani. Dovrebbero fare un passo indietro, anzi di lato. Ma non mi aspetto
nulla di concreto ora dal centrosinistra, perché nessuno molla la poltrona. Però questo è un voto
talmente chiaro che il significato è indiscutibile: la sfiducia verso Renzi a livello nazionale e quella
di Debora in Friuli Venezia Giulia e a Trieste. Il capo del Pd se ne va a casa? Altrettanto deve fare
la sua vice. Tanto più dopo gli esiti delle amministrative di quest'anno». Nel Pd ora è tempo di
esami di coscienza. «Risultato netto - ammette l'ex sindaco Roberto Cosolini - ma si sapeva che tutti
i sondaggi davano in vantaggio il No. Va però evidenziato che gli elettori hanno votato in base agli
orientamenti espressi dai partiti: e questo è l'effetto. Più che nel merito del quesito referendario, si è
votato contro il governo. Tutto ciò conferma un vento che ci vede in forte difficoltà. Ma non si pone
un problema di Pd in Fvg o a Trieste - aggiunge -. Siamo tutti in discussione. Semmai questo voto
conferma un’ondata di protesta che ha una forte matrice nazionale. Ripeto, è un voto di
schieramenti politici. C'era il Pd, e nemmeno tutto, contro tutti. Il problema quindi è nazionale.
Comunque la campagna per il Sì è stata una bellissima esperienza di entusiasmo per tante persone,
come avvenuto per le amministrative. Volontari e giovani: è da lì che vogliamo ripartire». La
segretaria provinciale dem, Adele Pino, non ha molto da aggiungere: «I numeri fotografano una
scelta politica, non sul referendum e non legata al territorio. A Trieste però ha influito anche
l'Unione slovena che si era espressa per i No. Il Pd era solo contro tutti».
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Snaidero: export e incentivi hanno salvato il legno-arredo (M. Veneto)
di Maura Delle Case - Si è trovato al timone di Federlegno-arredo nel periodo più buio degli ultimi
anni. Duro per l’edilizia che a cascata ha investito tutti i settori collegati. Compresa la lunga filiera
del legno che va dalla foresta e arriva al mobile. Dopo sei anni di presidenza, Roberto Snaidero si
prepara a fare un passo indietro. Il suo successore, designato durante l’ultimo consiglio direttivo, è
Emanuele Orsini chiamato a raccogliere il testimone all’inizio dell’anno venturo. Fino ad allora
toccherà ancora al presidente friulano accompagnare il settore un passo dopo l’altro fuori dalle
secche della crisi, reduce da un successo che è la ciliegina sulla torta di questi due mandati alla
guida della Federazione: il salone del mobile a Shanghai. Un sogno che Snaidero accarezzava da
tempo e che quest’anno è riuscito a veder realizzato. Non senza fatica. «Ho dovuto scalfire più di
qualche resistenza interna ma alla fine li ho convinti e il boom di visitatori - 20 mila persone in 3
giorni - mi ha dato ragione». Nei suoi anni di presidenza - dal 2011 al 2016 - l’estero è stato per
l’imprenditore di Majano una stella polare cui volgere lo sguardo per resistere all’onda della crisi
economica, decisiva insieme agli incentivi messi in campo dallo Stato e a una costante
irrinunciabile: l’alta qualità del made in Italy. La strategia ha funzionato? Siamo sulla strada buona,
ma per uscire definitivamente dalla recessione abbiamo bisogno ancora di qualche anno. Specie sul
mercato interno dove non torneremo più ai fatturati ante crisi. «Oggi il settore in Italia rappresenta
circa 65 mila ragioni sociali - sottolinea Snaidero - e fattura 40 miliardi di euro. Purtroppo per
strada abbiamo perso diverse realtà. Si guardi alle spalle, che anni sono stati quelli della sua
presidenza? Direi pesanti. Prendere in mano in una situazione economica come quella che
sappiamo, con 3 mila imprese associate che vanno dal bosco al prodotto finito, non era semplice. Ci
siamo però rimboccati le maniche. Abbiamo iniziato analizzando a fondo il settore per poi arrivare a
tracciare strategie. Rivolte con convinzione verso l’estero. Ho deciso di investire in presenze oltre
confine, aprendo uffici prima a Chicago, poi a Mosca, Londra e Belgrado in modo che le nostre
imprese potessero avere un punto di riferimento cui appoggiarsi. Con la stessa logica ho puntato con
maggiore decisione sulle fiere, sugli incontri business to business». C’è stato poi il bonus mobili.
Utile? «Utilissimo - risponde - basti pensare che stando alle ultime stime ci ha permesso di
recuperare oltre 1,9 miliardi di giro d’affari, di mantenere 10 mila posti di lavoro e di evitare la
chiusura di 2 mila 500 aziende. Insomma, ha prodotto una serie importante di positività. Era stato
introdotto dal Governo Letta, Renzi lo ha confermato, pure nella legge di Stabilità 2017. Non per le
giovani coppie. Nell’ultima formulazione approvata alla Camera l’articolo è saltato, ma contiamo
possa essere inserito al Senato. Sarebbe una leva importante». Le altre? «Qualità anzitutto.
Combattere i cinesi in quantità è impossibile, quel che possiamo e dobbiamo fare è invece
mantenere una salda posizione nella nicchia di mercato medio-alto. “Vendendo” anzitutto un
valore: il made in Italy. Come abbiamo fatto recentemente con successo in occasione del primo
salone di Milano a Shanghai, dove abbiamo presentato non solo mobili, ma un sistema, insieme a
Ferrari, Ducati, San Pellegrino, Ermanno Scervino. Il risultato «è clamoroso. Ventimila persone in
tre giorni. Tante che abbiamo dovuto a un certo punto chiudere le porte. E pensare che all’inizio ho
fatto fatica a far passare questa decisione in Federazione. Visto l’aumento costante dei visitatori
cinesi al salone di Milano ho pensato, perché no? In futuro si dovrà continuare a battere su questa
strada. Io ci sarò. Lascio la presidenza, non Federlegno». E in Fvg, qual è lo stato di salute delle
imprese di “casa nostra”? «Posso dire con certezza che abbiamo passato anni bui, in particolare nel
triangolo della sedia, ma grazie all’intelligenza degli imprenditori molte imprese della regione
hanno fatto un salto di qualità che oggi consente di paragonarle alle eccellenze brianzole».
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CRONACHE LOCALI
«Filiera del biotech all’ex Caffaro» (M. Veneto Udine)
«Il Friuli, con la ripartenza di Torviscosa, si candida a essere una perla nelle discipline legate alla
biotecnologie le nanotecnologie e alla fisica applicata dando anche risposte alla filiera della salute».
Augusto Salvador, sindacalista della Femca-Cisl, ha sempre creduto nel rilancio del polo chimico di
Torviscosa, non solo per la rinascita del territorio della Bassa friulana ma anche quale ganglio
nevralgico per far ripartire sotto l’aspetto occupazionale l’intera regione «i cui giovani – dice –
potrebbero avere l’opportunità di svolgere ricerca senza doversi recare all’estero». Secondo
Salvador, la firma del protocollo per le bonifiche del sito ex Caffaro, che porterà interventi per 40
milioni di euro, siglata venerdì a Roma dal ministro Gian Luca Galletti, dalla presidente del Fvg
Debora Serracchiani, dal sindaco di Torviscosa Roberto Fasan, e dal commissario straordinario di
Caffaro Marco Cappelletto, è un punto di arrivo fondamentale per la nuova chimica, ovvero quella
rivolta al biotech. «Queste persone sono stati attori intelligenti e lungimiranti che hanno condotto in
porto un risultato nei tempi indicati con impegno e coerenza. Si tratta di un evento importante per
tutta la Regione che non mancherà di portare nuovi investimenti nel campo delle tecnologie affini
agli insediamenti attuali che non sono solo chimica di base e fine, ma una mescolanza delle varie
discipline legate al biotech». «Abbiamo delle start up di successo ad altissimo livello tecnologico e
questo è assai promettente per il Friuli – aggiunge il sindacalista –. Come Regione autonoma
potremmo essere all’avanguardia nelle nuove specialità sia in campo medico che specialistico.
Questo però si dovrà concretizzare in tempi veloci». L’esponente cislino afferma inoltre che la fase
di start up deve essere portata avanti da un comitato tecnico scientifico. «Ricordo – conclude – che
il cluster delle reti intelligenti deve coinvolgere anche l’agricoltura: le biomasse sono il nostro
futuro». (f.a.)
Vigili e Uti, personale in agitazione (Gazzettino Udine)
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Benzinai dimezzati nel giro di dieci anni (Piccolo Trieste)
di Micol Brusaferro - Dal 2007, ultimo anno di benzina agevolata (da allora è rimasto attivo infatti
solo lo sconto regionale), ad oggi, il settore degli impianti di rifornimento a Trieste ha subito un
calo di vendite del 65%. Alcuni gestori hanno chiuso, altri sono in grande difficoltà. Pesano la
storica concorrenza della Slovenia, gli affitti spesso molto cari dei distributori, insieme a una
contrazione generale dei consumi. A fornire i dati e una visione complessiva della categoria è il
referente provinciale Figisc (Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti, associata a
Confcommercio), Mario Millo. «Negli ultimi nove anni il crollo degli affari è stato drastico sottolinea -, in molti faticano ad andare avanti e qualcuno si è inevitabilmente arreso davanti a costi
di gestione diventati ormai insostenibili, a fronte di guadagni che, rispetto a un tempo, sono più che
dimezzati». Il calo degli affari Millo, titolare a sua volta di un distributore, a Opicina, snocciola
chiaramente numeri che mostrano il calo delle erogazioni di carburante. «Porto esempi concreti spiega -. Al tempo dell’agevolata il mio distributore vendeva sei milioni di litri all’anno, adesso un
milione e ottomila. Alcuni impianti in centro sono passati da due milioni e mezzo di litri a
cinquecentomila. Mentre a livello nazionale il calo registrato negli ultimi anni è del 17 per cento,
qui si attesta al 65 per cento e la differenza va cercata soprattutto in Slovenia, dove i triestini
continuano ad andare per il pieno». La concorrenza E basta superare di poco l’ex confine, in diversi
punti, da Rabuiese a Fernetti, per notare spesso le lunghe file di auto italiane. Soprattutto nel fine
settimana o in prossimità di ponti festivi e altri periodi di vacanza, le code sono costanti e per molti
automobilisti spostarsi in Slovenia è diventata un’abitudine consolidata, in particolare per chi
utilizza la propria vettura quotidianamente. Lo dimostrano anche i distributori spesso deserti a
Trieste, dove resistono gli scooteristi, che non macinano chilometri per risparmiare su pochi litri.
«Se sulla benzina alcuni impianti italiani ancora riescono a offrire prezzi concorrenziali - prosegue
Millo - così non accede per il gasolio, che qui da noi comporta un esborso di gran lunga superiore
rispetto agli sloveni, ma in generale il pieno “fuori” ormai è prassi». I costi da sostenere Sul settore
gravano poi pesanti costi di gestione, tali che in diversi casi la scelta di chi vi lavorava è stata quella
di chiudere, prima il Tamoil a Barcola e poi l’Eni in via dell’Istria, davanti al cimitero. Chi ha
potuto ha ridotto all’osso il personale, conservando spesso un solo addetto alla cassa, mentre alle
pompe le persone si devono servire in autonomia, per saldare poi il conto una volta conclusa
l’operazione. «Le compagnie impongono pesanti affitti ai gestori - ricorda ancora Millo -. Basti
pensare che un distributore dotato di lavaggio e bar paga all’anno cinquantamila euro. I costi si
abbassano per un impianto semplice, che però fatica comunque. Per chi ha solo il carburante, spesso
è in ogni caso difficile arrivare a fine mese. Qualcuno utilizza il self service per abbattere i costi,
altri hanno la doppia scelta, tra piazzola “fai da te” e servizio abituale, ma c’è chi ancora resiste e ha
mantenuto il personale che si occupa dei clienti in arrivo. Ma sono comunque molto pochi». Le
compagnie «C’è da dire poi - aggiunge ancora Millo - che le compagnie applicano tariffe per noi
svantaggiose, per chi in generale si trova nelle zone confinarie. A tutto questo, si somma un lieve
calo di spostamenti da parte degli automobilisti: è una flessione non particolarmente marcata ma
che comunque incide nel complesso della crisi». I triestini insomma, come in altre parti d’Italia, se
possono muovono meno l’auto rispetto a un tempo. Numero di impianti dimezzato Nel corso degli
ultimi dieci anni, sempre secondo il referente della categoria, i benzinai a Trieste si sono più che
dimezzati. La sola via Fabio Severo, dove attualmente sopravvive un solo impianto, nella parte
bassa dell’arteria cittadina, una volta ne contava ben cinque e così succede per tante altre zone della
città. E per Millo è difficile guardare con positività al futuro. «Se qualcosa non cambia - conclude il
referente provinciale Figisc -, per il settore si prospettano tempi sempre più duri».
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