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Romania al voto | 1
venerdì 09 dicembre 2016, 16:00
Politica europea
Romania al voto
Per la politologa Marina Popescu il partito anti-sistema ha buone possibilità di piazzarsi terzo
di Redazione
L’11 dicembre la Romania andrà al voto per eleggere il nuovo Parlamento. Il risultato di queste elezioni legislative -in
corsa ci sono 10 partiti e 6.500 candidati- non è per nulla scontato, nonostante la maggior parte dei sondaggi diano in
vantaggio i Socialdemocratici (Psd) con oltre il 40%, ma la rincorsa dei Liberali (Pnl) e del nuovo partito populista e antisistema Union Save Romania (Usr), che hanno puntato sul premier uscente Dacian Ciolos, potrebbe riservare delle
sorprese. Questo secondo Marina Popescu, politologa che studia gli effetti dell'informazione sull'opinione e le preferenze di
voto -dati che sono racchiusi e analizzati sulla piattaforma Testvote.eu creata da Median Research Centre e OpenPolitics.rosentita dalle agenzie italiane. Questo anche se i dati sembrano dire che i movimenti populisti romeni non sono
particolarmente forti sul piano elettorale e gli esempi dei paesi vicini come la Polonia e l'Ungheria non sono assimilabili alla
realtà di Bucarest. Piuttosto c’è da rilevare che le ultime elezioni in ordine di tempo nell'Europa centro orientale
hanno visto il prevalere delle forze filo russe alle presidenziali di Bulgaria e Moldova. «Il Psd è accreditato come il
partito con maggiori chance di vittoria e con il numero più alto di voti», ha spiegato Popescu «Non sorprende perché il Psd è
il partito più grande del Paese con la base di sostegno più stabile e il più alto numero di elettori (ma non di seggi) in tutte le
tornate elettorali». In questo contesto «l'esistenza del governo Ciolos e la sua performance», nel corso dell'anno di Esecutivo
tecnico «non sono irrilevanti», ciò nonostante le scelte degli elettori sui «due fronti principali sono solitamente di lungo
termine e non decisioni last minute», ha aggiunto Popescu. «Il Psd non può giocare le carte da governo in carica e ha
difficoltà a realizzare alcune delle misure dell'ultimo minuto (tagli alle tasse, aumento delle pensioni, tra le altre) con
l'obiettivo di influenzare elettori miopi, può ancora sfruttare questi temi per la campagna elettorale», ha aggiunto. Resta
«meno chiaro chi formerà il governo dopo il voto», ha sottolineato la politologa, «Secondo la Costituzione romena, il
presidente nomina il premier espressione del partito che ha la maggioranza o se nessuna formazione ha la maggioranza
(molto probabile con un sistema proporzionale) apre le consultazioni, dando la precedenza a chi ha più seggi». Una
condizione simile a quella di molti Paesi europei, ma che in Romania viene interpretata anche consentendo al presidente
dopo le consultazioni di «nominare chi vuole, anche se non ha la maggioranza o una coalizione che lo sostiene», ha aggiunto
Popescu ricordando che l'ex presidente Traian Basescu ha usato «questo meccanismo molte volte» negando la poltrona di
premier anche all'attuale capo di stato Klaus Iohannis e alla maggioranza alle sue spalle. Quindi «non è ancora chiaro cosa
farà il presidente. Dipenderà dai risultati e se il suo stesso partito, il Pnl, e il nuovo Usr possano avvicinarsi alla maggioranza
per il loro candidato, l'attuale premier del governo tecnico Ciolos. Un'ipotesi possibile con l'aiuto dei rappresentati delle
minoranze, circa 18 deputati che sono eletti secondo regole specifiche che nel 99% delle occasioni hanno sempre votato a
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/romania-al-voto/
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favore del governo». Interessante anche la sottolineatura fatta da Iohannis che «ha dichiarato che non darà l'incarico di
premier a chi ha indagini a suo carico o problemi di integrità e il presidente dei socialdemocratici Liviu Dragnea ha una pena
con la condizionale». A sparigliare le carte, soprattutto per il Psd, è stata la decisione di Ciolos di restare sulla
scena politica romena: «Non ha annunciato che sarà coinvolto in politica ma che vuole essere premier. È una linea sottile
su cui sta giocando per restare fuori dalla politica, parte significativa del suo appello in un contesto di forti sentimenti di antipolitica e anti-politici». La sua decisione, però, è stata usata da Pnl e Usr che lo hanno di fatto investito della
condizione di loro candidato premier «mettendo la sua foto sui manifesti elettorali e dando apertamente il loro
appoggio». È ancora incerto quanto questa decisione «aiuti i due partiti a guadagnare voti al di fuori del loro elettorato», ma,
«di certo è servito a mantenere la propria base elettorale e a mobilitare i cittadini disaffezionati. In particolare nel caso del
Pnl» che ha avuto difficoltà a dare un messaggio convincente, un programma credibile e soffre di una mancanza di
leadership, «specialmente dopo la nomina di alcuni personaggi al di fuori della politica con visioni non liberali ma piuttosto
xenofobe e misogine (come il candidato per il posto di sindaco a Bucarest, poi ritiratosi)». La sorpresa elettorale
potrebbe arrivare, come accaduto in altri Paesi Ue, dal nuovo partito anti-sistema, l'Usr «che probabilmente si
piazzerà terzo». Per Popescu, però, «non è veramente una sorpresa perché il partito aveva già avuto buoni risultati alle
elezioni locali nelle principali città», e «perché ha capitalizzato il bisogno di speranza e i sentimenti anti-partiti e antipolitica». Inoltre l'Usr è un partito di «protesta, con tendenze populiste, molto diverse dal Partito del popolo di Dan
Diaconescu o dal Prm (gli unici due nuovi partiti entrati in Parlamento nel 2012 e nel 1996 rispettivamente) e si basa sulla
disaffezione della classe media verso la politica e i partiti costituiti visti come corrotti e incompetenti. Inoltre rifiuta di
prendere posizione sulle principali questioni di governo». I dubbi sul futuro politico della Romania restano anche perché
sono pochi e non del tutto attendibili i sondaggi pubblicati nelle ultime settimane. Un problema che ha
accomunato le tornate elettorali in molti Paesi, con enormi divari tra quanto predetto dalle ricerche e quanto emerso dalle
urne, come negli Stati Uniti. «Negli Usa i sondaggi non hanno sbagliato del tutto, errate sono state la maggior parte delle
interpretazioni dei dati. Come negli Stati Uniti e nelle elezioni parlamentari britanniche, un problema che si verifica anche in
Romania è come vengono formati i campioni rispetto a coloro che non rispondono. Questo significa che chi non risponde ai
sondaggi del tutto, e non soltanto ad alcune domande, non è simile a coloro che invece vengono intervistati. In Romania,
inoltre, la situazione è ancora peggiore perché l'industria dei sondaggi è debole e le indagini sono spesso abusate o usate in
maniera impropria e difficilmente ben comprese». Tutto questo in quadro sociale abbastanza insidioso. Il 75% di romeni
sono disillusi e non hanno fiducia nella politica, dato che potrebbe influenzare il già scarso interesse delle nuove
generazioni per la politica e le elezioni. Nella campagna elettorale ha avuto un ruolo di rilievo anche un crescente
nazionalismo che denuncia il fatto che a 26 anni dalla rivoluzione «niente è più nostro» e «la nostra economia è un disastro»,
ha spiegato il politologo Radu Magdin. Oltre a continuare la lotta alla corruzione e cercare di sostenere la crescita
economica del Paese, tra le più forti dell'Ue, che la Commissione Ue stima sopra il 5% per il 2016, tra le priorità del
prossimo governo ci dovrà essere la stabilità: sia in vista del 100esimo anniversario dell'unificazione della Grande
Romania (nel 2018), per l'annessione di Bessarabia, Bucovina e Transilvania, sia per una data chiave, il primo semestre di
presidenza Ue, nella prima metà del 2019. Infine, riuscire a completare il processo europeo della Romania, con l'ingresso in
Schengen da una parte e l'adozione dell'euro dall'altra.
di Redazione
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