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OMELIA ALLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN SUFFRAGIO DEI VESCOVI, SACERDOTI, DIACONI DEFUNTI
Capua, Basilica Cattedrale
3 novembre 2016
Siamo radunati per questa celebrazione “familiare” cui solo un piccolo numero di
fedeli laici riesce a partecipare.
Lo facciamo doverosamente in suffragio dei Vescovi, Sacerdoti, Diaconi defunti. Li
ricordiamo tutti, particolarmente don Mario Iodice e don Giuseppe Lauritano che
hanno lasciato questa vita nel corso di quest’anno. Ogni sacerdote che muore lascia
un vuoto che è sempre più difficile riuscire a riempire.
Siamo uomini di fede e proclamiamo ogni giorno la beata speranza nella risurrezione
ma viviamo come tutti gli altri uomini il disagio della separazione e il dramma della
morte. Questo ci permette di predicare in modo ancora più credibile perché
accomunati nella condivisa sorte dell’umanità, ma certi della vita futura donataci da
Cristo nostro Redentore.
Ricorderete tutti quanto scritto da S. Ambrogio nel libro Sulla morte del fratello
Satiro – L’abbiamo letto ieri all’Ufficio delle Letture – “Dobbiamo riconoscere che
anche la morte può essere un guadagno e la vita un castigo. Perciò anche San Paolo
dice «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1, 21). E come ci si può
trasformare completamente nel Cristo, che è spirito di vita, se non dopo la morte
corporale? Esercitiamoci, perciò, quotidianamente a morire e alimentiamo in noi una
sincera disponibilità alla morte. Sarà per l’anima un utile allenamento alla
liberazione dalle cupidigie dei sensi”.
Queste parole del grande Vescovo di Milano valgono per tutti ma in modo
particolare per noi presbiteri e per coloro che sono consacrati, cioè coloro che
devono manifestare una specifica sensibilità per la dimensione dello spirito
superando la dimensione del corpo, “dimora terrena che è come una tenda” – come
ci ha detto Paolo nel brano della seconda ai Corinzi che abbiamo appena letto –
“sapendo che siamo in esilio, lontani dal Signore finché abitiamo nel corpo;
camminiamo infatti nella fede e non nella visione”.
Particolarmente in questi giorni – Solennità di Tutti i Santi e Commemorazione dei
fedeli defunti – siamo stati chiamati ad un maggiore approfondimento e riflessione
sul mistero della nostra vocazione cristiana orientata all’incontro glorioso col
Signore Gesù alla fine dei tempi, quando – dopo la distruzione della tenda precaria
del nostro corpo mortale, dimora transitoria della nostra esistenza chiamata
all’eternità – “riceveremo la ricompensa delle opere compiute… sia in bene che in
male”.
Sempre S. Ambrogio nel libro citato sottolinea che il cristiano non dovrebbe
spaventarsi al pensiero della morte proprio perché crede nella vita eterna; infatti
non è finito tutto, comincia invece una nuova dimensione dell’esistenza. Quindi non
dispregio o condanna dell’umano ma superamento del limite dell’umano nella
prospettiva della piena realizzazione della primigenia vocazione dell’umanità.
Il brano del Vangelo oggi proclamato lo riafferma: “Non sia turbato il vostro cuore. –
dice Gesù ai discepoli – Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. È il capitolo
14 di Giovanni dove l’evangelista racconta ciò che Gesù confida ai discepoli. Sta per
verificarsi un modo nuovo con cui Egli sarà in mezzo a loro, cioè la Sua presenza
nello Spirito che richiede un supplemento di fede. “Abbiate fede in Dio e abbiate
fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no vi avrei mai
detto «Vado a prepararvi un posto?». E poi la promessa: Vado e ritornerò “vi
prenderò con me, perché dove sono io, siate anche voi”. È questo spalancarsi del
futuro che può trasformare il nostro sguardo incerto e le nostre timide speranze in
certezza fondata perché coinvolti nell’abbraccio amoroso di Dio.
Gesù afferma ancora che nella casa del Padre vi sono molte dimore: c’è posto per
tutti nell’immensa misericordia del Signore.
Carissimi sacerdoti e diaconi, noi crediamo profondamente in questo e lo
affermiamo nella nostra predicazione. Facciamolo in modo che i nostri fedeli
possano vedere nel nostro agire il senso genuino delle nostre parole. Si accorgano
cioè che, nonostante l’umana debolezza che ci accomuna, ci crediamo davvero in
quello che diciamo, che le parole del Signore sono verità.
Che noi tutti, insieme alle nostre Comunità, possiamo sperimentare la verità
profonda della risposta di Gesù all’apostolo Tommaso che gli chiede la strada da
percorrere per raggiungere la meta: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene
al Padre se non per mezzo di me”.
Salvatore, arcivescovo