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Giovedì 13 Ottobre 2016
ESTERO - LE NOTIZIE MAI LETTE IN ITALIA
Viene considerata probabile candidata anche Margot Käßmann, capo della Chiesa protestante
Presidente tedesco, una papessa?
Unico neo, guidava avendo bevuto il triplo del consentito
da Berlino
ROBERTO GIARDINA
U
na papessa come presidente della Repubblica tedesca? O uno
scrittore d’origine
iraniana? Il prossimo febbraio
si dovrà eleggere il successore
di Joachim Gauck, che non
ha intenzione di continuare
per altri cinque anni, anche
se un secondo mandato sarebbe sicuro, togliendo tutti i
partiti dagli impicci. Mettersi
d’accordo sul presidente è un
problema di cui tutti farebbero a meno, pochi mesi prima
delle elezioni nazionali in
autunno.
La figura del presidente secondo la Costituzione
tedesca è quasi simile alla nostra, ma, in Germania, tutti
hanno finora rispettato il loro
ruolo. Un padre della nazione
che raccomanda, ammonisce,
e non pencola da nessuna
parte. Anche perché a Berlino, e prima a Bonn, non c’è
mai stato bisogno che il presidente invadesse il campo
del governo per salvare
il paese. Viene eletto da
un’assemblea nazionale, i
630 deputati e altrettanti
grandi elettori, scelti dai
partiti e dalle istituzioni
tra i personaggi più rappresentativi della società.
Sulla carta, né la CduCsu né l’Spd hanno, da
sole, la forza per imporre
un loro candidato, ma il
gioco delle alleanze tradirebbe le intenzioni di coalizioni governative dopo il
voto. Ed è poco saggio scoprire le carte, e scatenare
una battaglia con il rischio
di perderla. La Merkel
non vuol designare un suo
candidato, né lo vogliono i
socialdemocratici. Potrebbe
essere Wolfgang Schaüble,
ma il ministro delle finanze,
sembra intenzionato a continuare nella politica attiva.
O a sinistra, Frank-Walter
Steinmaier, il ministro degli
esteri, che sarebbe in realtà
lo sfidante più adatto alla
Cancelleria, ma il suo partito sembra preferire Sigmar
Margot Käßmann
quando era vescovo della
chiesa protestante, incarico
dal quale si dimise nel 2010
Gabriel, anche se ha meno
chance di battere Frau Angela. Non a caso, alla signora
Steinmaier non dispiace affatto come presidente, perché
così verrebbe eliminato un
pericoloso avversario.
I socialdemocratici
escludono anche un candidato presentato da una
coalizione rosso-rosso verde,
come quella che si accinge a
Sono venuti a mancare i soldi dei paesi petroliferi
Non si fa più la grande
moschea di Marsiglia
DI
ANGELICA RATTI
È
stato archiviato la settimana scorsa,
con la maggioranza dei
voti del Fronte nazionale e dei repubblicani, il
progetto per la costruzione della
grande moschea di Marsiglia, lanciato in grande stile nel 2007 e poi
finito lentamente su un binario
morto. L’annuncio che non si farà
più non ha suscitato, però, grande emozione fra i fedeli dell’Islam
riuniti, qualche giorno dopo, a
Islah, nella piccola moschea del
mercato delle pulci per la grande
preghiera del venerdì. Segno che
le persone non ci credevano più da
tempo. Da vent’anni i musulmani
di Marsiglia sognavano la grande
moschea quale edificio simbolo della città che conta all’incirca 200 mila musulmani. E all’epoca le élites politiche, religiose,
economiche musulmane della città si erano
mobilitate. Ma poi questa dinamica si è interrotta e ha prevalso la stanchezza. «Oggi,
ognuno ha il suo progetto di quartiere. E la
grande moschea non è più in discussione» ha
raccontato il sociologo Vincent Geisser, a Le
Monde. A Islah alcuni addossano la responsabilità all’ufficio del sindaco che dal 2002 non
ha coinvolto i rappresentanti della moschea
delle pulci, cosiddetta, una delle più importanti della città.
L’imam Haroun Derbal
sostiene che la prima causa
del fallimento del progetto sia
stata la mancanza di volontà
politica. Per molti osservatori il fiasco della
faraonica moschea è cominciato subito dopo
la posa della prima pietra nel 2010. Nel 2008,
Il progetto per la faraonica moschea
di Marsiglia ora archiviato
una équipe di architetti (Bam) aveva vinto il
concorso con il progetto che prevedeva 6.800
metri quadrati di sale di preghiera, la biblioteca, il ristorante, la scuola di teologia, per
un investimento complessivo di 22 milioni di
euro, con l’Algeria come principale finanziatore. Un ribaltone cambiò il clima intorno a
questo progetto che ha visto da quel momento
opposti il comune e la comunità musulmana,
con gli islamici ad accusare il comune di non
voler ascoltare la richiesta, lanciata nel 2013
dall’associazione La Moschea di Marsiglia, di
ridimensionare il progetto, troppo grande. Infine, con le primavere arabe, gli stati finanziatori
come la Turchia e l’Egitto
si sono ritirati dall’iniziaLe pagine di Esteri
tiva.
sono a cura di Sabina Rodi
© Riproduzione riservata
governare Berlino. Potrebbe
farcela sulla carta ma rischierebbe di spaccare il paese, invece di unirlo. I verdi, infine,
vorrebbero far eleggere uno
dei loro, ma sono già divisi.
Potrebbero presentare Winfried Kretschmann, 68
anni, il premier del BadenWürrtemberg, ma il moderato e pragmatico professore di
liceo in pensione, non piace
ai Grünen fondamentalisti.
Klau Brinkbäumer, direttore dello Spiegel, propone
lo scrittore e orientalista
Navid Kermani, 48 anni,
tedesco con origini iraniane:
«Sarebbe un bel messaggio»,
dice, in una Germania in cui
avanzano i populisti.
Un candidato senza reali chance. Che avrebbe
invece Margot Käßmann,
58 anni. Anche una pastora
luterana dopo Gauck. Ma lei
è stata vescovo, anzi papessa, benché questa sia una
forzatura di noi giornalisti:
il capo della Chiesa protestante non è paragonabile
al nostro pontefice. Sposata,
divorziata, quattro figlie, è
sempre stato un personaggio
dalla forte personalità, sempre pronta a sostenere tesi
scomode, invadendo il campo
della politica: a favore di un
dialogo con l’islam, severa critica di Giovanni XXIII per
le chiusure del papa sulle
donne e sull’aborto, contro la
guerra in Iraq. Il 20 febbraio
del 2010 fu fermata ubriaca
al volante, 1,54 per mille, il
triplo del massimo tollerato.
Data la sua minuscola corporatura doveva aver bevuto
almeno una bottiglia e mezzo di Chianti. Presentò immediatamente le dimissioni,
nonostante che i suoi fedeli
fossero pronti a perdonarla.
«Non posso predicare bene e
comportarmi male, non sono
più credibile», disse e lasciò.
Sarebbe un presidente scomodo, al di fuori della politica,
e non apolitico. Finora Frau
Margot ha sempre rifiutato
ogni invito dei partiti, soprattutto dei socialdemocratici, ma potrebbe dire sì in
febbraio.
© Riproduzione riservata
IN UN ANNO DA 119 A 153 MLD DI DOLLARI
Deficit colossale
nei paesi del Golfo
DI
ANGELICA RATTI
C’
è una conseguenza automatica della caduta
dei prezzi del petrolio che sta prosciugando,
ormai da due anni, le entrate dei paesi del
Golfo. Il deficit di bilancio accumulato dalle
sei monarchie del petrolio del Golfo raggiungerà la cifra
record di 153 miliardi di dollari (138,2 mld di €) a fine
anno, dai 119 miliardi (107,5 mld di €) del 2015, secondo
lo studio pubblicato in Kuwait e ripreso da Le Figaro.
Il 55% (all’incirca 84 miliardi di dollari, 75,9 mld di €)
della cifra monstre del debito pesa sull’Arabia Saudita.
Lo studio Kamco Research, che ha pubblicato queste stime, sostiene che le entrate di Arabia Saudita, Bahrein,
Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar e Kuwait che derivano
essenzialmente dall’export di petrolio e gas, sono scese
dai 735 miliardi di dollari (664,4 mld di €) del 2013 ai 365
miliardi (329,9 mld di €) di quest’anno. Anche se diversi
paesi hanno introdotto alcune riforme fiscali con lo scopo
di creare nuove entrate, la maggior parte di essi rifiuta
di ridurre le proprie spese sociali. Con il risultato che a
limitare il budget ci pensa solo l’incremento del deficit
senza pericolo, viste le riserve finanziarie di questi paesi
e il loro basso indebitamento.
Un’altra conseguenza della caduta del prezzo
del barile, secondo l’Opec (l’organizzazione dei paesi
esportatori), è stato il crollo degli investimenti per l’esplorazione e la produzione: -26% nel 2015, e un ulteriore
-22% quest’anno. Man mano che i vecchi giacimenti si
esauriscono questa diminuzione degli investimenti potrebbe fare ribaltare il mercato dall’attuale situazione
di sovrapproduzione alla carenza, che provocherebbe il
rialzo dei prezzi. Gli esperti sono divisi sul punto di svolta
che potrebbe verificarsi tra il 2017 e il 2020. Intanto, dopo
l’incontro informale dei paesi Opec del 27 settembre ad
Algeri, che doveva servire a trovare un accordo con la
Russia sulla limitazione della produzione per far risalire
le quotazioni, adesso, Putin si è dichiarato disponibile a
congelare la produzione.
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