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L’Europa si scatena contro il Burundi | 1
giovedì 06 ottobre 2016, 18:42
Politica Estera
L’Europa si scatena contro il Burundi
La strategia europea, Francia inclusa, mira a isolare diplomaticamente il regime
di Fulvio Beltrami
Kampala - Come era prevedibile la scelta attuata dal regime burundese di sganciarsi dal alleato storico, la
Francia, ha avuto serie conseguenze che potrebbero compromettere la capacità di mantenere il potere. Parigi
rappresentava un alleato vitale in quanto era in grado di agire su diversi piani in difesa del regime: supporto militare,
finanziario e copertura diplomatica internazionale. Discretamente la Cellula Africana dell’Eliseo forniva armi al regime
e ai terroristi ruandesi FDLR, mentre la diplomazia francese bloccava presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
ogni tentativo di inviare nel Paese una forza militare (ONU o africana) per proteggere la popolazione dalle violenze del
regime FDLR-CNDD. Anche il genocidio strisciante, consumatosi dal novembre 2015 in poi è stato fino ad ora occultato
grazie al “impegno” francese. Fino all’agosto 2016 le cifre sulle vittime burundesi diramate dalle Nazioni Unite erano di 400
morti. Cifre che si rifanno ad una stima compiuta nel giugno 2015 e rimasta invariata fino ad oggi. Parigi è ora costretta a
rivedere l’insieme delle alleanze regionali allineandosi alla politica estera americana nella Regione dei Grandi Laghi che è
marcatamente filo ruandese. Il presidente Paul Kagame è un amico intimo della famiglia Clinton. Il dittatore Pierre
Nkurunziza e il suo partito CNDD sono diventati entità politiche scomode per la Francia. Un misterioso riserbo viene ancora
mantenuto sui terroristi ruandesi FDLR alleati di Parigi dal 2000. Alcuni dei dirigenti politici e militari delle FDLR sono alleati
francesi dagli anni Ottanta se non prima, quando ricoprivano ruoli di rilievo nel regime razial nazista ruandese di Juvenal
Habyrimana fautore della supremazia razziale hutu e del genocidio. A livello regionale sembra chiaro che la Francia stia
ora orientandosi verso un cambiamento di regime, proposta sempre promossa dagli Stati Uniti ma bloccata nel
passato da Parigi e Mosca. La prima mossa è quella di levare il silenzio complice sulla natura genocidaria del regime.
Silenzio che ha impedito un intervento militare esterno in Burundi. Mossa attuata il 30 settembre scorso tramite la
risoluzione ONU n. HRC33. A presentarla è stato un Paese satellite dell’Est Europa: la Slovacchia. Paese che non ha
alcuna legame culturale, politico ed economico con il Burundi. Spesso gli Stati membri U.E. dell’ex blocco sovietico,
(normalmente sotto influenza francese o tedesca) vengono utilizzati dalla potenze europee per questi attacchi diplomatici
pilotati. La risoluzione numero HRC33 ha ricevuto 19 voti a favore, 7 contrari (tra cui la Russia) e 21 astensioni. Il Consiglio
dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha autorizzato una commissione di inchiesta sulle violenze commesse in
Burundi. Il periodo che sarà preso in esame va dall’aprile 2015 (quando Nkurunziza annunciò la sua volontà di ottenere il
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/leuropa-si-scatena-contro-il-burundi/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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terzo mandato presidenziale) all’agosto 2016. Il voto favorevole alla risoluzione HRC33 era scontato leggendo l’ordine del
giorno della trentatresima sessione del Consiglio dei Diritti Umani ONU: “Burundi. Fine della impunità”. Una impunità che
la Francia ha contribuito ad assicurare ad Nkurunziza fino a pochi mesi fa. La commissione di inchiesta ha il
mandato di raccogliere prove sulle violenze commesse in Burundi e stabilire se rientrano in piani politici organizzati che
potrebbero essere catalogati come crimini contro l’umanità secondo il diritto internazionale. La durata del mandato è di un
anno. Il Consiglio di Sicurezza ha assicurato che le inchieste verranno attivate al più presto senza ritardi. La risoluzione non
menziona direttamente il regime Nkurunziza ma è chiaramente rivolta ad esso visto che al momento attuale nemmeno il
governo illegale è riuscito a trovare prove su presunte violenze commesse dalla opposizione. In Burundi i crimini contro
l’umanità sono unilaterali e commessi dallo Stato. Per assicurarsi l’esito positivo del voto Parigi e Washington hanno
autorizzato lo scorso 20 settembre la pubblicazione del rapporto ONU (denominato EINUB) sulla situazione dei diritti umani
in Burundi. Indipendentemente da quanto ufficialmente dichiarato il rapporto si basa sulle inchieste condotte nel gennaio
2016 da esperti indipendenti ONU inviati in Burundi. Il rapporto era pronto fin dal marzo scorso ma sempre bloccato da
Francia e Russia per ovvie convenienze politiche. La reazione del regime burundese è stata come al solito scomposta e
isterica. “La risoluzione ONU si basa su un rapporto contenente menzogne, contro verità e false testimonianze. Un rapporto
contestato dal mio governo. La situazione in Burundi è normale. La pace regna e la popolazione svolge tranquillamente le
sue attività quotidiane” afferma Renovat Tabu ambasciatore burundese presso il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni
Unite. “La risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani, proposta dalla Unione Europea, è redatta sulla base del rapporto EINUB
cui le Nazioni Unite hanno negato al governo del Burundi il diritto di contro argomentare e difendersi dalle accuse rivolte. In
realtà si tratta di una vendetta sul fallito tentativo di inviare nel Burundi 228 poliziotti ONU con mandato ritenuto sospetto
dal governo burundese (Risoluzione ONU 2303). Il Burundi rimane sereno rispetto alle pressioni esercitate dalla diplomazia
europea contro la sovranità del Paese. La risoluzione HRC33 farà la stessa fine della precedente risoluzione 2303. Rimarrà
inapplicabile” afferma il Ministero burundese degli Affari Esteri. È assai improbabile che gli investigatori ONU
potranno recarsi in Burundi per aprire l’inchiesta causa il preannunciato boicottaggio del governo. Questa
reazione ostile di Bujumbura era stata già prevista dagli esperti francesi in ‘affari africani”, profondi conoscitori del CNDDFDD e del ex presidente Pierre Nkurunziza, sostenuti dalla Francia dal 1993 al giugno – luglio 2016. La reazione completa
l’isolamento internazionale del Burundi. Non è nemmeno necessario recarsi fisicamente in Burundi per raccogliere
prove. Dallo scoppio del dramma esiste un nutrito archivio: documenti governativi trafugati, video, registrazioni,
fotografie, testimonianze dei sopravvissuti ora in esilio, denunce accurate di giornalisti e attivisti della società civile. Basta
sottoporle ad attento esame per certificare la loro credibilità al fine di inchiodare il governo burundese sulla sedia degli
imputati. Secondo osservatori militari ugandesi l’inchiesta ONU non ha lo scopo di autorizzare una forza di intervento
internazionale ma quello di creare un clima internazionale favorevole per un cambiamento di regime con l’uso
della forza. Compito affidato alle forze democratiche che si riuniscono nei vari movimenti armati di liberazione. Il secondo
scopo è quello di fornire prove per un procedimento giudiziario presso la Corte Penale Internazionale per tentato
genocidio e crimini contro l’umanità. Una richiesta in questo senso è stata già avanzata dalla Onorevole Pia Locatelli
(Gruppo Misto Partito Socialista Italiano e Liberali per l’Italia) Responsabile della commissione dei diritti umani del Governo
Italiano. La Locatelli ha paragonato l’attuale situazione in Burundi con la situazione vissuta in Rwanda nei mesi che
precedettero il genocidio iniziato nel aprile 1994. Secondo indiscrezioni di diplomatici kenioti l’iniziativa della Locatelli non
sarebbe un atto isolato ma rientrante in una strategia europea contro il Burundi in questi giorni attuata da Francia, Belgio,
Inghilterra e Germania a cui l’Italia parteciperebbe con ruoli di secondo piano. Parigi, Bruxelles, Londra e Berlino sono le
potenze europee che hanno spinto la U.E. a rinnovare le sanzioni contro il Burundi fino al 31 ottobre 2017. Un rinnovo
preannunciato l’11 settembre 2016 dalla decisione del governo belga di rifiutare la richiesta sottoposta dal Burundi di
riprendere la cooperazione bilaterale e gli aiuti finanziari. Richiesta avanzata dal Ministro burundese delle relazioni estere
Alain-Aimè Nyamitwe durante una sua visita in Belgio. “La situazione socio politica in Burundi che ha spinto il governo
belga a sospendere ogni forma di cooperazione e aiuti non è cambiata. Non esiste più la libertà di espressione, associazione
e di riunione. La situazione economica è degradata. Il Burundi rifiuta di collaborare con le Nazioni Unite e le violazioni dei
diritti umani sono triplicate” affermò per l’occasione Alexander De Croo Ministro belga della Cooperazione allo Sviluppo. Il
Belgio sospese ogni cooperazione con il Burundi nel ottobre 2015. “La strategia europea è fin troppo chiara. Isolare
diplomaticamente il regime. Strangolarlo economicamente, creare i presupposti per portare i responsabili presso il
tribunale dell’Aia. La Francia ha di fatto dichiarato guerra al Burundi. Ora le armi e i finanziamenti saranno indirizzati verso
l’opposizione armata burundese già presente nel Paese. La soluzione militare rimane l’unica alternativa realistica,
quindi meglio che sia fatta direttamente non da potenze regionali ma da guerriglie burundesi appoggiate dalle potenze
regionali e occidentali. Non posso prevedere i tempi ma questa soluzione ora è condivisa dalla Unione Europea a condizione
che i beneficiari non menzionino apertamente il supporto che stanno ricevendo e che riceveranno” spiega il consigliere
militare ugandese interpellato sull’argomento. Si nota una ferrea volontà del governo ruandese di impedire ogni fuga di
notizie. Giunge notizia che Kigali avrebbe vietato ogni contatto con giornalisti africani e stranieri sulle tematiche della crisi
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burundese. Anche le nostre fonti ruandesi di informazione ora rifiutano qualsiasi contatto. Il Rwanda giocherà un ruolo di
primo piano nella soluzione militare in Burundi. Sul fronte militare il regime vacilla. Non è in grado di lanciare offensive
contro i principali gruppi guerriglieri (FNL – FOREBU, RED Tabara) che si stanno posizionando in punti chiavi in tutto il Paese.
Le offensive governative sono rese impossibili dalla prudenza dei terroristi ruandesi FDLR che si stanno progressivamente
ritirando per concentrare le loro attività genocidarie in Congo. All’interno delle forze di difesa burundesi regna il
terrore. Giunge solo ora la notizia che il 14 settembre sono stati arrestati e processati 18 ufficiali dell’esercito e della polizia
su cui gravavano dubbi della loro fedeltà al regime. Il processo ha avuto luogo presso Ngozi, feudo nazista Hutu e città
natale di Nkurunziza. È stato presenziato dal Giudice di Grande Istanza del Tribunale di Bujumbura. Secondo informazioni da
verificare la maggioranza degli imputati sarebbe già deceduta durante le torture inflitte dalla polizia segreta: Service
Nationale de Renseignements. Ufficialmente il morale del regime rimane alto. Si insiste a convincere la popolazione sulle
capacità di difendere il territorio nazionale e a partecipare ad azioni preventive contro il nemico tutsi. Azioni preventive che
tradotte in linguaggio reale significano: genocidio. Dal settembre 2015 l’ex presidente Pierre Nkurunziza non risiede più nella
capitale ma si sposta continuamente in nascondigli sicuri e ben protetti tra Ngozi e Gitega. Molti burundesi sono convinti si
nasconda per paura del popolo composto, ironicamente, al 80% da hutu. La nuova politica estera francese rivolta al Burundi
può creare importanti e positivi sviluppi ma, purtroppo, evidenzia come i valori universali quali il rispetto dei diritti
umani siano sottoposti a cinici calcoli di convenienze politiche economiche da parte delle potenze occidentali.
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