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Recensioni cinema e film | Persinsala.it
Edoardo
Ribaldone
6 ottobre 2016
Tematiche complesse come come l’omosessualità. l’adolescenza
e l’immigrazione s’intrecciano sullo sfondo dei Pirenei francesi.
Un melodramma irrisolto e ben poco avvincente, schiacciato
sotto il peso di un didascalismo che lo rende insincero e
meccanico e spesso inutilmente esplicito.
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In seguito alla partenza del padre elicotterista dell’esercito per
l’Afghanistan, il giovane Damien si trova a vivere solo con la madre
Marianne, medico del paesino pirenaico dove abitano. Il ragazzo è
tormentato dai continui soprusi che subisce ad opera del compagno di
classe Thomas, immigrato arabo adottato da una famiglia locale.
Marianne, donna di mezz’età dagli slanci umanitari e filantropici, ha in
cura la madre di Thomas, che sta affrontando una gravidanza difficile. A
complicare ulteriormente un quadro di per sé già abbastanza complesso,
si aggiunge la decisione di Marianne d’invitare Thomas a trasferirsi da loro.
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Il cinema francese ha da sempre riservato una grande attenzione al
racconto dell’infanzia e dell’adolescenza. In particolare, il regista si vale
qui dell’aiuto alla sceneggiatura di Céline Sciamma, autrice e regista di
due dei più bei film francesi recenti sul tema: La naissance des
pieuvres e Tomboy. Di suo, Techiné porta l’interesse per
l’omosessualità, che costituisce uno degli argomenti fondanti della sua
filmografia. L’incertezza e la labilità dei legami, etero od omosessuali, e
dei sentimenti che li sostanziano, costituiscono fin dall’esordio il cardine
attorno al quale ruota il suo cinema: non fa eccezione questo suo ultimo
film, che vi aggiunge il tema quantomai attuale della difficile convivenza
fra comunità diverse, specie in un paese come la Francia che ha una storia
ormai cinquantennale d’immigrazione. Tre dunque gli argomenti attorno
cui si struttura il film: un’età di passaggio come l’adolescenza; la scoperta
di una sessualità non ortodossa; l’ostilità fra comunità e individui di
diversa origine. Proprio l’abbondanza e la complessità dei temi in gioco
finisce col nuocere alla riuscita del film: si rimane, infatti, con
l’impressione che il regista abbia voluto trattare troppi argomenti, e troppo
diversi, tutt’insieme, senza riuscire ad approfondirne nessuno. Inoltre,
molti passaggi risultano forzati e stridenti, come in un mosaico dove le
tessere non combaciano. I diversi temi sembrano dunque esser stati
accostati forzatamente, per la volontà del regista di trattarli
contemporaneamente. Così, però, si smarriscono spontaneità e
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naturalezza e l’insieme riesce meccanico e per nulla coinvolgente: un
difetto non da poco per un film che vuol essere anche, come gli altri del
regista, un melodramma, dunque uno spettacolo appassionante per
natura. Inevitabilmente a suo sfavore risulta il confronto con un’altra opera
alla quale il film di Techiné sembra guardare come a un modello: La vie
d’Adèle. Il film di Kechiche deve la sua riuscita alla capacità di
appassionare e coinvolgere lo spettatore, che soffre e gioisce coi
personaggi coi quali s’identifica. Nulla di tutto ciò accade invece nel film di
Techiné, come s’è visto incapace di rendere credibile e vibrante la materia
di cui si sostanzia. Una ben maggiore capacità di unire i personaggi allo
spazio diegetico emergeva nella vie d’Adèle, dove avvolgenti movimenti
di macchina ne seguivano gli spostamenti negli interni domestici o per le
strade di Lilla. Anche nella rappresentazione del corpo il film non eguaglia
non solo il modello del film di Kechiche, ma neppure Jeune et jolie di
François Ozon, dove il regista dimostrava una volta di più la sua abilità nel
filmare il corpo nudo della protagonista Isabelle e del fratello minore
Victor. Ma il confronto torna a svantaggio del film di Techiné anche dinanzi
ai film della sua sceneggiatrice: si riguardino i film sopra menzionati per
accorgersi con quale pudore, ma anche con quale franchezza- in una
parola: con quale spontaneità, possano essere trattati temi simili; una
spontaneità e una freschezza che risultano da subito contagiose per lo
spettatore, a differenza di quanto avviene qui. Non basta, inoltre, a
conferire una maggior credibilità all’insieme, l’attenzione posta dalla
fotografia nel raffigurare il mutamento che intercorre fra i due
protagonisti, dall’ostilità all’attrazione fisica, attraverso il cambiamento
stagionale: se infatti nella prima parte prevalgono tonalità cupe e livide,
proprie del rigido inverno pirenaico, nella seconda prevalgono invece i
vividi colori primaverili, a sottolineare, con le loro tonalità accese, l’intesa
creatasi fra i due ragazzi. Una simile distinzione cromatica per evidenziare
il passaggio fra due diverse e opposte disposizioni d’animo fra i
protagonisti appare piuttosto banale e scontata, persino ovvia, e non salva
il film da una meccanicità e da un didascalismo che finiscono col farlo
suonare se non falso, almeno scarsamente credibile.
Titolo originale: Quand on a 17 ans
Regia: André Techiné
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Soggetto e sceneggiatura: Céline Sciamma, André Techiné
Montaggio: Albertine Lastera
Musica: Nicolas Duport
Interpreti: Sandrine Kiberlain, Kacey Mottet Klein, Corentin Fila,
Alexis Loret, Jean Fornerod, Mama Prassinons, Jean Corso
Prodotto da Olivier Delbosc, Marc Missonier
Genere: Drammatico
Origine: Francia
Durata: 116′
Anno: 2016
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