Nicaragua: Ortega verso il terzo mandato

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giovedì 29 settembre 2016, 17:00
Verso le Elezioni Generali di novembre
Nicaragua: Ortega verso il terzo mandato
Scontata la vittoria dell’attuale Presidente, prende nuovamente forma una possibile dittatura familiare
di Mattia Baldini
A poco più di un mese dalle Elecciones Generales (Elezioni Generali) del prossimo 6 novembre, quando 3,4 milioni di
cittadini nicaraguensi saranno chiamati alle urne per eleggere sia il Presidente della Repubblica che i 90 deputati
dell’Assemblea Nazionale, nel più vasto Paese dell’America Centrale sembra non esserci spazio per sorprese
elettorali. L’attuale Presidente Daniel Ortega, del FSLN (Frente Sandinista de Liberación Nacional - Fronte
Sandinista di Liberazione Nazionale), si è più volte dichiarato fiducioso circa le sue possibilità di essere rieletto per un terzo
mandato consecutivo, ed in effetti gli ultimi sondaggi disponibili sembrano confermare quest’impressione. La fiducia del
Presidente e del suo partito, però, non poggia solo sull'ottimismo riflesso nei sondaggi favorevoli: Ortega non ha
praticamente alcun rivale nella corsa alla Presidenza. La principale forza politica d'opposizione, la CND (Coalición
Nacional por la Democracia - Coalizione Nazionale per la Democrazia), ha già reso nota l'intenzione di boicottare le
elezioni, nel tentativo di attirare l'attenzione sull'irregolarità del processo elettorale ed ostacolare il riconoscimento
internazionale del Governo che sarà indicato dalle urne -ovvero, con ogni probabilità, quello dello stesso Ortega. La
decisione della CND è maturata in seguito ad una disposizione della Sezione Costituzionale della Corte Suprema, un
organo sottoposto a pesanti influenze governative, che nel giugno scorso ha decretato l'impossibilità per Eduardo
Montealegre, uno dei principali esponenti dell'opposizione e leader del PLI (Partido Liberal Independiente - Partito
Liberale Indipendente), la forza politica maggioritaria all'interno della CND, di rappresentare legalmente il suo partito. Dal
2010, infatti, il PLI era diviso in quattro fazioni, tra le quali persisteva una disputa (legale oltre che politica) sull’utilizzo del
nome e dei simboli propri del partito. La Corte ha quindi stabilito che Eduardo Montalegre non avesse la facoltà legale di
rappresentare il partito ed ha de facto affidato l'incarico di Segretario del PLI a Pedro Reyes, membro di una fazione
relativamente meno critica verso il Governo in carica, che lo spodestato Montealegre non ha esitato a definire
pubblicamente 'collaborazionista'. Come primo atto dopo la sua nomina Pedro Reyes ha ritirato l’appoggio del PLI a Luis
Callejas e Violeta Granera, i candidati rispettivamente alla Presidenza ed alla Vicepresidenza della Repubblica scelti in
precedenza dal partito guidato da Montealegre. Di fronte a questi avvenimenti sarebbe stato quindi lecito attendersi una
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/nicaragua-ortega-verso-il-terzo-mandato/
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discesa in campo da parte dello stesso Reyes, il quale ha effettivamente presentato la propria candidatura salvo poi ritirarla
poco tempo dopo, indicando il collega di partito José del Carmen Alvarado Ruíz come candidato alla Presidenza e
riuscendo, se possibile, a peggiorare ulteriormente il gradimento e la popolarità del PLI. Con questi presupposti potrebbe non
essere un'impresa ardua prevedere quanto saranno regolari le elezioni in questione. In ogni caso, qualora sussistessero
dubbi in merito, l'attuale Governo ha drasticamente risolto il problema rifiutando la presenza di osservatori internazionali
che potessero vigilare sulle condizioni di regolarità della consultazione elettorale. In proposito il Presidente ha
semplicemente dichiarato che «l'epoca dell'osservazione internazionale per il Nicaragua è finita». Del resto, il
sistema di potere costruito da Ortega nei suoi tre mandati presidenziali (1985 – 1990, 2007 – 2012, 2012 – 2016)
attualmente non sembra poter essere contrastato né dentro né fuori il partito, che continua ad essere la forza politica
maggioritaria in Nicaragua. Dopo aver convinto il Frente Sandinista de Liberación Nacional a varare una riforma
costituzionale nel 2014, abolendo il limite di due mandati consecutivi per la carica presidenziale, Ortega ha imposto al
proprio partito la candidatura di sua moglie, Rosario Murillo, come aspirante Vicepresidente della Repubblica. Una
mossa che somiglia molto al tentativo di certificare l’instaurazione -se non la concreta esistenza- di una dinastia familiare
sul Nicaragua. Ancora più controversa è stata la recente decisione del FSNL di rieleggere alla Presidenza dell’Assemblea
Nazionale René Núñez, uno dei fedelissimi di Ortega, che ricopriva la stessa carica dal 2007. Il fatto che Núñez sia morto
il 10 settembre di quest’anno in seguito ad una lunga malattia, non sembra essere considerato un impedimento
consistente, perciò l’inevitabile risultato è che l’Assemblea sarà presieduta da una persona deceduta fino al gennaio 2017,
quando la sua composizione verrà rinnovata a seguito delle elezioni del 6 novembre. Inevitabilmente quello che sembra
essere a tutti gli effetti uno scenario caratterizzato da una riduzione considerevole dei margini di libertà democratica ha già
attirato l'attenzione internazionale, in particolar modo quella degli Stati Uniti. A Washington la Camera dei Rappresentanti ha
recentemente votato a favore di una proposta di legge, denominata NICA (Nicaraguan Investment Conditionality Act Legge sulla Condizionalità degli Investimenti in Nicaragua). Curiosamente la parola 'nica', oltre ad essere l’acronimo della
legge in questione, è anche un termine colloquiale che nella lingua spagnola indica gli abitanti del Nicaragua), che
impegnerebbe i rappresentanti americani accreditati presso le organizzazioni finanziarie internazionali a
votare contro ogni ulteriore proposta di prestiti e finanziamenti diretti a Managua. Se approvata anche dal
Senato, divenendo quindi effettiva, la NICA produrrebbe effetti considerevolmente negativi sulla già fragile
economia nicaraguense, una delle meno floride della regione centroamericana anche se attualmente in relativa
espansione, caratterizzata da una crescita media del 4% negli ultimi dieci anni, dove, però, le rimesse dei cittadini emigrati
rappresentano ancora il 15% del PIL, mentre il tasso d’inflazione annuo cresce in cifre comprese tra il 5 ed il 7% e dove,
secondo i rapporti della Banca Mondiale, quasi un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Attualmente il Nicaragua riceve congiuntamente dalla Banca Mondiale e dalla Banca Interamericana per lo Sviluppo un
credito annuale di 250 milioni di dollari. Qualora la proposta NICA fosse definitivamente approvata è probabile che
impedire l’erogazione del suddetto credito per il prossimo anno diventerebbe una delle priorità per il Dipartimento di Stato
americano. Tuttavia, le ragioni della preoccupazione americana riguardo alle immediate sorti politiche del Nicaragua non
sono, ovviamente, del tutto disinteressate. In primo luogo è indubbio che le politiche di Ortega e del suo Governo si
scontrino in maniera aperta con gli interessi economici statunitensi nella regione, come ha confermato anche
l’annuncio del piano per la costruzione di un enorme canale navigabile che, attraversando il Lago Nicaragua,
taglierebbe il Paese a metà da est a ovest, dalla foce del fiume Brito sul Pacifico a quella del fiume Punta Gorda sul Mar
dei Caraibi, e che avrebbe la prevedibile ambizione di porsi come rivale a quello di Panama. Un progetto, quello del
canale, di cui si parla da anni e che questa volta sembra davvero potersi concretizzare. Nel dicembre 2014 sono, infatti,
iniziati i lavori di scavo per la creazione di un corridoio navigabile profondo almeno 30 metri, largo da 230 a 520, lungo ben
278 chilometri (contro i 77 del canale di Panama). Un’opera faraonica, dal costo previsto di 40 miliardi di dollari, finanziati
dal consorzio cinese HK Nicaragua Canal Development Investment, il quale avrà altresì una concessione
cinquantennale, rinnovabile per altri cinquant’anni. In secondo luogo è facile ricordare come il complicato rapporto tra
Nicaragua e Stati Uniti abbia legami storici non trascurabili. Esso può anzi essere ricompreso in una dinamica già
universalmente nota durante la Guerra Fredda: il legame esistente tra Mosca a Managua, decisamente rinsaldatosi da
quando Ortega è tornato alla Presidenza della Repubblica nel 2007. L’attuale Governo nicaraguense è, in effetti, uno
dei maggiori alleati della Federazione Russa, almeno in ambito diplomatico. Nel 2008 il Nicaragua dimostrò la sua
simpatia riconoscendo, subito dopo la Russia, l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud nella crisi che portò al
conflitto con la Georgia, mentre nel 2014 Managua sostenne incondizionatamente l’adesione della Crimea alla Russia in
seguito al conflitto in Ucraina. In virtù degli ottimi rapporti tra i due Paesi, Mosca ha destinato all’Esercito nicaraguense
una fornitura di ben 50 carri armati T-72B1, del valore di circa 80 milioni di dollari. Una cifra senz’altro elevata, a
maggior ragione considerando che il budget totale a disposizione delle forze armate del Nicaragua per il 2015 non superava
i 71 milioni di dollari. L’accordo tra i governi di Vladimir Putin e Daniel Ortega prevede, in cambio delle forniture militari, la
possibilità per l’intelligence russa di costruire una base di osservazione collegata al sistema GLONASS, una
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specie di versione russa del GPS americano. Questa serie di avvenimenti, oltre a richiamare inevitabilmente alla mente
alcune dinamiche proprie della Guerra Fredda, del mondo bipolare e dell’imperialismo statunitense nel continente
americano, evidenziano anche un’ulteriore considerazione: dov’è finito l’ideale della Rivoluzione Sandinista? A che
cosa è servita la lunga lotta armata intrapresa dai marxisti sandinisti contro il potere dittatoriale della famiglia Somoza
prima, e contro i controrivoluzionari conservatori della vecchia élite poi, che ridusse il Paese in condizioni disastrose? Lo
spettro di una nuova dittatura familiare, appoggiata dalla Federazione Russa e dalla Repubblica Popolare
Cinese, oltre a riportare indietro di mezzo secolo l’orologio della storia, potrebbe davvero essere il prologo ad un altro
periodo particolarmente oscuro per il Nicaragua ed i suoi abitanti.
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