C`era una volta il discografico

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venerdì 30 settembre 2016, 10:00

C’era una volta il discografico

Com’è cambiato nel tempo il mestiere del talent scout

C’era una volta il discografico | 1

di Maurizio Scandurra

Ormai è il pane quotidiano: in radio e in tv l’età media si attesta tra i 18 e i 30 anni, salvo qualche sporadica eccezione dovuta alla classe dei cantautori e dei big di sempre delle sette note. Sono gli anni propri di chi fa musica oggi, di decine di ‘fenomeni’ usciti da talent e reality-show che durano il tempo di una canzone. O, nei casi più fortunati, di una stagione. Questo spiega perché, nell’arco di tempo di appena un decennio, le grandi casi discografiche si siano ridotte a tre -Sony, Warner, Universal-, e contestualmente il numero di risorse in esse impiegate sia drasticamente scemato, e di conseguenza si sia invece incrementato quello dei disoccupati del pentagramma. Non che in questo caso ciò sia un dramma: infatti molti di questi pseudo-addetti ai lavori avevano difficoltà anche ad aprire una scatola di sardine, e spesso la musica non sapevano neanche cosa fosse, né tantomeno dove fosse di casa: ex ragionieri, magazzinieri, attrezzisti, persino facchini e una pletora di raccomandati farfuglianti. Ecco chi ha governato negli ultimi anni il panorama discografico nazionale, riducendolo a una poltiglia di briciole insignificanti, anche sotto il profilo di copie vendute e fatturati inesistenti. Quali le cause di un simile scenario? In primis, il matrimonio tra musica e televisione. Mai unione fu più disgraziata sul lungo periodo. A cominciare dal ‘Karaoke’ di Fiorello, targato Fininvest dei primi anni ’90: grazie a lui, chiunque in Italia ha pensato d’amblais che fosse più facile andare a cantare che invece a lavorare. Il cambio di rotta nei palinsesti, dove la gente comune, l’uomo della strada, ha cominciato a invadere prepotentemente il piccolo schermo, ha fatto il resto. Oggi i cantanti, di fatto, nascono in tv. E lì restano (poco, per fortuna!), e altresì muoiono più veloce delle ‘stelle’ cadenti. Un tempo, invece, suonavano in cantina, in sala prove, nei pub…insomma, nei luoghi ove si consumava la gavetta vera, piazze e teatrini parrocchiali compresi. Quella che negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta ha permesso alla maggior parte dei Big di oggi di essere quel che sono. Attualmente, di contro, la figura del discografico, o meglio, del talent scout, è mutata radicalmente. Infatti siamo arrivati in forma involutiva aX Factor’, ‘The Voice’, ‘Amici’: programmi le cui giurie Vip, su numerose edizioni, non è che abbiano ancora scoperto un vero artista (Marco Mengoni a parte), degno di essere chiamato tale. Si salvano in termini di visibilità (ma non di artisticità) Noemi, Valerio Scanu, Emma Marrone e Alessandra Amoroso. Degli altri, invece, nessuno ha più menzione né contezza.

Cancellati. Spariti. Ma, in un passato non poi così remoto, come si diventava cantanti? Com’erano i discografici? mestiere oggi defunto. Tre, in particolare, hanno fatto storia, lasciando un segno profondo nell’industria musicale italiana: Gianni Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/cera-una-volta-il-discografico/ L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.

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C’era una volta il discografico | 2 Ravera, Ferruccio Ricordi e Vittorio Salvetti. Nessuno di loro nacque discografico: lo divennero nel tempo, animati ciascuno da una sorprendente e instancabile passione per il mondo della canzone. Il primo, Ravera, esordì negli anni ’50 come cantante, salendo per tre volte in queste vesti sul palco del Festival di Sanremo, prima di diventarne organizzatore assoluto per ben 17 edizioni, alla faccia dei superstiziosi e di chi pensa erroneamente che quel numero porti sfortuna.

Ravera non era uomo da ufficio: artista egli stesso, trascorreva la maggior parte del proprio tempo in sala d’incisione, a fianco degli artisti. Girava l’Italia in lungo e in largo con la sua ventiquattrore, alla ricerca dei cantanti e delle canzoni. Ascoltava. E, talvolta, capitava che prendesse un brano di un artista e lo affidasse a un altro interprete, diverso da quello che magari avrebbe dovuto incidere il pezzo. Aveva occhi, orecchie e fiuto da vendere.

Così videro la luce una miriade di successi. Erano anni pionieristici, caratterizzati da buonsenso e voglia di fare, e soprattutto fare bene. Ravera portò in Italia personaggi come Louis Armstrong, Stevie Wonder, Dionne Warwick, Paul Anka e Wilson Pickett, e ne lanciò altri come Iva Zanicchi, Bobby Solo e Gigliola Cinquetti, ma anche Eros Ramazzotti e Zucchero. Allo stesso Gianni Ravera si deve la nascita del Festival di Castrocaro, da cui fuoriusciranno molti attuali nomi e volti che hanno fatto la storia della canzone italiana. Nanni Ricordi, invece, scomparso nel 2012, è stato

uno dei padri del movimento italiano dei cantautori che ha animato la scena musicale a partire dagli anni

Sessanta. Instancabile viaggiatore e divoratore di musica, fu il primo a intuire il talento di personaggi quali Umberto Bindi, Gino Paoli, Ornella Vanoni, ma anche di Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo, Ricky Gianco e Sergio Caputo. Con lui la discografia italiana ha vissuto il momento di maggior splendore, tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80. Che dire, invece, di Vittorio Salvetti, il cui nome è indissolubilmente legato al Festivalbar? Una manifestazione che inventò nel 1964, condusse in qualità di presentatore fino al 1982 e che, dopo la sua prematura scomparsa nel 1998 in seguito a un lungo periodo di malattia, fu portata avanti dal figlio, fino al 2007, anno della definitiva chiusura. Salvetti conosceva la musica, e lavorò operosamente in qualità di autore televisivo dietro le quinte anche di altri importanti programmi musicali, come il Festival di Sanremo (negli anni ’70) e Un disco per l’estate, contribuendo in prima persona al loro successo. Tirando le somme, un tempo la discografia era legata alle sorti di festival, concorsi canori e kermesse: erano quelle le vie d’accesso privilegiate, rivolte a chi veniva a venirsi a mettere davvero in gioco su un palco dalla città o dalla provincia, sognando un futuro davanti al microfono e sotto i riflettori. La televisione veniva dopo, ed era quasi una sorta di Olimpo destinato a quelli che il successo l’avevano fatto per davvero, e continuativamente nel tempo, restando sulla cresta dell’onda. Con l’avvento dei cosiddetti talent, a partire dagli anni 2000 in poi (primo fra tutti ‘Operazione trionfo’, che avrebbe fatto meglio a chiamarsi ‘Operazione tonfo’, visto che l’unico parto che diede alla luce fu quello infelice delle già dimenticate Lollipop) e di una nuova cerchia ristretta di individui al potere nel settore della musica, le manifestazioni canore hanno cominciato a venir meno, a perdere terreno, a essere spesso snobbate da discografici e addetti ai lavori, e finendo per divenir così preda di una marea di imbonitori e squallidoni senza scrupoli che prendono in giro i giovani promettendo mari, monti e illusioni previo pagamento di esose quote di iscrizione. Salvo poi sparire nel nulla col malloppo, e i casi in tal senso, ahinoi, sono ben più d’uno. Per i discografici di oggi, questi programmi si sono rivelati invece una vera e propria manna: viaggi e fatica risparmiati, i cantanti te li porta in ufficio, sulla scrivania, direttamente Maria De Filippi. Che bisogno c’è di andare a cercarli in giro? Ad ascoltarli sui palchi di locali e pizze? Pensa un po’ che fortuna! E molti discografici -tragedia ben peggiore, date le scempiaggini che dicono in onda sbagliando anche i verbi- sono diventati anche opinionisti televisivi: volti noti sempre più richiesti da modaioli e inutili salotti televisivi ove il nulla regna sovrano. Proprio come sul futuro della musica italiana. Ai posteri l’ardua sentenza. Largo ai maestri: il Manzoni ha sempre ragione.

di Maurizio Scandurra

Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/cera-una-volta-il-discografico/ L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.

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