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N. R.G. 2015/55183
TRIBUNALE di MILANO
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
nel procedimento cautelare iscritto al n. R.G. 55183/2015 promosso da:
FALL.TO
OTTICA
CENISIO
SRL, elettivamente domiciliato in PIAZZALE
FRANCESCO,
PARTE RICORRENTE
contro
GIANPIETRO DE SIMONE, elettivamente domiciliato in VIA PER LOMBARDO 30
MILANO, rappresentato e difeso dall’avv. ROTUNNO MAURO,
PARTE RESISTENTE
Il Giudice Marianna Galioto
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 15 dicembre 2015 ha emesso
la seguente
ORDINANZA
La domanda cautelare non può essere accolta.
Il
Fallimento
ricorrente
ha
domandato
l’autorizzazione
al
sequestro
conservativo nei confronti del liquidatore della società fallita a salvaguardia
del credito risarcitorio legato ad atti di mala gestio del liquidatore Gianpietro
De Simone, nominato con delibera 11 dicembre 2008 (fallimento dichiarato il
21 novembre 2014).
Il resistente ha chiesto il rigetto della domanda cautelare per difetto di fumus
e periculum.
A. Il ricorrente sostiene anzitutto che il liquidatore, stante la perdita
integrale del capitale sociale, avrebbe dovuto procedere ai sensi degli artt.
2482bis e ss cc1. In proposito è sufficiente rilevare che le disposizioni in
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v. punto 16 del ricorso e verbale dell’udienza 3 novembre 2015.
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AQUILEJA, 6 20144 MILANO, rappresentato e difeso dall’avv. INNAMORATO
parola non trovano spazio una volta disposta la messa in liquidazione della
società, poiché esse disciplinano gli obblighi dell’amministratore che – in fase
antecedente alla liquidazione – rilevi la riduzione o la perdita del capitale
sociale.
B. Il curatore ha dedotto che la tempestiva dichiarazione di fallimento
avrebbe permesso l’esperimento di azione revocatoria ordinaria avente per
oggetto la cessione dell’azienda avvenuta nel 2005, azione che invece si è
prescritta in ragione del ritardo nella dichiarazione di fallimento. Prescritta
inoltre
l’azione
di
responsabilità
nei
confronti
dell’amministratore Idor De Simone.
Tali profili di domanda, prospettati solo nella nota autorizzata, non paiono
tardivi, poiché non sembrano ravvisabili preclusioni assertive nell’ambito del
procedimento cautelare ante causam.
Va subito detto che il curatore, pur avendo dedotto spunti significativi,
ancorché non adeguatamente approfonditi, riguardo alle possibilità di esito
favorevole di tali controversie, non ha tuttavia compiuto alcuna allegazione
riguardo al verosimile recupero del dovuto in caso di vittoria in giudizio, e ciò
quanto:
- alle somme verosimilmente ricavabili da vendita dell’azienda oggetto di
revocatoria, o di recupero del tantundem;
- alle prospettive di soddisfazione del credito per risarcimento del danno nei
confronti del cessato amministratore, ragguagliato alle sue condizioni
patrimoniali.
Non ricorre pertanto il fumus del danno cagionato alla massa, né comunque
del collegamento causale tra il lamentato ritardo e il pregiudizio lamentato.
C. Il curatore sostiene, ancora, che il liquidatore avrebbe cagionato danno
alla massa per avere ritardato la dichiarazione di fallimento, anche in
ragione di un’improvvida domanda di concordato preventivo revocato ai sensi
dell’art. 173 l.f.
Il danno sarebbe consistito:
- nell’aumento del debito erariale, tra cui il maturare del debito per il
pagamento del diritto annuale della Camera di commercio;
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risulterebbe
- nel compenso per il commissario giudiziale del concordato preventivo
revocato.
Ebbene, a seguito della richiesta di chiarimenti effettuata alla prima udienza,
il curatore ha prodotto un prospetto riepilogativo delle voci di credito
erariale, che è risultato attinente a imposte e tributi relativi – tutti - a
esercizi antecedenti alla data di nomina del sig. De Simone quale liquidatore.
A fronte di tali dati, il Fallimento sostiene che l’aggravio del dissesto
consisterebbe nelle somme maturate per aggio, e per interessi maturati dal
dicembre 2008 al novembre 20142, pari a circa 132 mila euro.
caso di dichiarazione di fallimento eseguita con tempestività.
Le somme dovute per aggio sarebbero maturate comunque - anche in caso
di fallimento dichiarato subito dopo l’assunzione della carica - in favore del
concessionario della riscossione, non essendovi motivo di supporre che in tal
caso questo avrebbe desistito dal recupero del credito tramite l’insinuazione
al passivo. Sul punto il Fallimento non ha fornito alcun elemento da cui
ricavare che tale voce di credito sarebbe stata inferiore rispetto a quella che
risulta oggi maturata a favore del concessionario.
Quanto agli interessi, basti considerare che l’aumento del passivo dovuto
alla maturazione di interessi di mora per il periodo 2008 – 2014 (si noti che
l’erario è creditore per la quasi totalità dello stato passivo) non sembra
costituire danno per il ceto creditorio nel suo complesso, poiché i crediti
ammessi al passivo hanno tutti maturato interessi nell’arco temporale in cui
si assume sia intervenuto il ritardo nell’accesso alla procedura concorsuale.
Lo scarto eventuale esistente tra i tassi di interesse maturati in relazione a
ciascun credito, e, dunque, la maggiore falcidia che rispetto all’erario
possono avere subito altri creditori ammessi al passivo - per decorso degli
interessi sui crediti in misura diseguale tra loro - sembra riconducibile a
danno diretto ex art. 2395 cc riferibile al singolo creditore, e dunque non
azionabile dal curatore, posto che quest’ultimo è legittimato a tutelare i
pregiudizi subiti dalla massa passiva in via globale e in senso indistinto.
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data del fallimento.
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Il Tribunale reputa che dette voci di credito sarebbero maturate anche in
In ogni caso si osservi che la sospensione degli interessi opera solo in ambito
concorsuale, e che gli interessi continuano tuttavia a correre nei rapporti
debitore-creditore, come si desume dall’art. 120 l.f. (Cass. n. 11718 del
1996).
Ciò posto, il danno da ritardo potrebbe configurarsi solo con riferimento alla
maturazione del diritto annuale camerale e per il compenso del
commissario giudiziale, che il curatore assume essere derivato dalla
improvvida domanda di concordato preventivo revocato ex art. 173 l.f.
Appare tuttavia assorbente rilevare che gli importi in parola risultano di
giustificare – sotto il profilo del periculum – l’adozione della misura cautelare
del sequestro conservativo.
Il ricorso cautelare, alla luce delle assorbenti ragioni che precedono, va
respinto perché infondato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, avuto
riguardo all’attività difensiva svolta.
P.Q.M.
visti gli artt. 669bis e ss; 671 cpc,
1. respinge la domanda cautelare;
2. condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese di lite sostenute dalla
parte resistente, che determina in complessivi € 2.000,00 per compenso
d’avvocato, oltre al rimborso forfettario del 15%, IVA e CP.
Milano, 9 gennaio 2015.
Il Giudice
- Marianna Galioto -
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entità così modesta (meno di 2000,00 euro) che, per ciò solo, non paiono