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Giovedì 21 Aprile 2016
11
Chi non sa ragionare sui fatti, ha bisogno di pensare a trame subdole e a disegni nascosti
Il complotto facilita la vita
Una società che soffre, cerca a chi attribuire il male
DI
GIANFRANCO MORRAI
I
diritti come mistificazioni
di interessi (Marx), i valori come espressioni del
risentimento (Nietzsche),
la morale come sublimazione
del sesso (Freud). I maestri
del sospetto hanno lastricato la
nostra civiltà della dietrologia:
«io non ti credo, dimostramelo;
perché ciò che tu chiami X, in
realtà, guardato sotto e dietro,
altro non è che Y». Lo aveva capito l’intelligenza luciferina di
Giulio Andreotti: «A pensar
male si fa peccato, ma il più
delle volte ci si indovina».
E’ sempre accaduto. Il «sospetto» corrisponde alla pigrizia delle masse, che, incapaci
di ragionare sui fatti, hanno
bisogno di pensare a trame
subdole e a disegni segreti;
ma diviene uno strumento
normale nei paesi autoritari e
totalitari, che non solo nascono e mantengono la violenza,
ma inventano per giustificarla
le macchinazioni nascoste dei
nemici del regime. Di certo la
nostra società occidentale nella complottomania ha battuto
tutte le altre. Anche perché il
sistema dei media vive della rivelazione ininterrotta, allusiva
e sempre criptica, dei complotti: una accusa vaga e indistinta
che lascia tutto in dubbio.
Ce lo ricorda una originale raccolta di saggi, appena pubblicata da Alessandro
Campi e Leonardo Varesano, Congiure e complotti. Da
Machiavelli a Beppe Grillo
(Rubbettino, pp. 230, euro 16).
Un libro a più voci, italiane e
mondiali, che si sofferma su
alcuni episodi esemplari di
congiura, da quella di Cambise contro il fratello per il trono di Persia agli assassinî di
Giuliano de’ Medici e Kennedy, dall’abbattimento delle
Torri Gemelle alla caduta del
governo Berlusconi. Perché
la storia, come diceva Schopenhauer, cambia sempre,
ma non cambia mai (aliter sed
eadem).
Il contributo più rilevante della ricerca è la distinzione tra la potenza della congiura, progettata nel silenzio, che
muta il corso della storia, e la
superficialità del complotto,
esplosivo e chiassoso, ma ben
presto dimenticato. Machiavelli aveva capito benissimo il
ruolo insostituibile della congiura in politica. Come quando
descrive, con olimpico distacco
anche nello stile, quella del Va-
lentino a Senigallia, che, invitati a pranzo quattro nobili suoi
alleati, «fecegli strangolare».
La «con-giura» appartiene a
«uomini grandi» (Machiavelli,
Discorsi, III, 6), che «giurano
insieme» di eliminare i nemici.
Essa trasforma profondamente
il corso della storia, mentre il
vittimismo complottista non
muta niente, è un contentino
per il cittadino, che protesta
solo per tranquillizzarsi la coscienza e non impegnarsi per
migliorare la società. Il sociologo Durkheim aveva mostrato
che «quando la società soffre,
sente il bisogno di trovare qualcuno a cui attribuire il male».
Da noi questo alibi esprime la mancanza di libertà e
di senso civico, come aveva capito Francesco De Sanctis
nel 1869: «Non sappiamo pensare a qualcosa senza vederci,
oltre il lato apparente, quello
nascosto, una cospirazione
alla quale ci ha abituato la
tirannide secolare». L’Italia è
una democrazia, che significa
trasparenza e razionalità, ma
il complottismo vi è un abito
mentale universale e insuperabile. Tanto che non vi è atto
sociale o politico dietro il quale
non si supponga un complotto:
dalle morti di Mattei e Moro
alle dimissioni di Berlusconi,
Prodi e Monti, dal vero o
presunto dopaggio di Pantani
al naufragio della Concordia,
dalla morte di don Verzé alle
dimissioni del papa.
Ipotesi e narrazioni spesso fantastiche e favolistiche,
largamente usate come difesa
dagli imputati di reati economici e politici: «chiedetevi chi
ha interesse ad accusarmi».
Nascono così le figure mitologiche delle logge, delle mafie, del
Grande Vecchio, dei poteri forti,
degli spezzoni deviati, tanto più
credute quanto più generiche e
indefinite. Ma l’Oscar della tecnologia cospirazionista spetta
al movimento di Grillo e Casaleggio, non a caso inventori di
quella web-politica, che trova
nei social network lo strumento
più efficace per pubblicizzare il
sospetto e sputtanare i nemici. Un movimento che si nutre
quasi esclusivamente di accuse
complottiste, rivolte a politici,
magistrati, intellettuali, giornalisti, economisti, burocrati,
senza proporre programmi e
strategie positive di recupero.
Gli esempi pentastellati
sono innumerevoli: la crisi
dell’euro attribuita alla massoneria, i vaccini una pericolosa invenzione per vendere,
l’Aids una cospirazione internazionale della grandi case farmaceutiche, la campagna per
convincere gli italiani che le
certissime sirene non esistono,
il controllo della popolazione
per mezzo di microchip inseriti
nel corpo umano. Spetta ad una
grillina consigliera comunale di
Bologna la scoperta più originale del complotto: il terremoto
emiliano del 2012 provocato da
cariche fatte brillare nel sottosuolo per scoprire idrocarburi.
Anche la rielezione di Napolitano è stata classificata da Grillo
come un complotto.
Credere nel complotto
diviene in molti elettori
una sorta di autoassoluzione,
la certezza che i colpevoli ci
sono, nascosti nell’ombra dei
Palazzi e delle istituzioni, ma
non li conosceremo mai. Come
potremmo vivere, nella nostra
situazione così malconcia,
senza consolarci con la certezza che un Belzebù agisce
nell’ombra e produce i mali
del presente? I complottisti
esprimono una fede nichilista,
trovano una consolazione surrogatoria, si dotano di un kit
di sopravvivenza: «Il nostro
complotto quotidiano, dona a
noi o Signore».
© Riproduzione riservata
TORRE DI CONTROLLO
La Christillin doveva rivoluzionare l’Enit e la politica del turismo,
ma il sito dell’ente è fermo agli inviti per l’Expo, chiuso da 7 mesi
DI TINO
C
OLDANI
he Matteo Renzi sia un politico valido, lo ammettono
tutti. Ma per governare serve una squadra altrettanto
valida, che purtroppo non c’è. Prendiamo il turismo. Dopo avere scoperto che siamo il paese più sognato al
mondo, ma con un gettito turistico
sempre più scarso (solo 76 miliardi
l’anno), scavalcati nella graduatoria mondiale perfino dal Messico e
relegati all’ottavo posto, il Corriere
della sera sta dedicando due pagine
ogni settimana per raccontare il bello dell’Italia, ma anche le difficoltà
da superare. Non poteva dunque
mancare un’intervista a Evelina
Christillin, manager in carriera
della Torino bene, nominata quasi un
anno fa da Renzi a capo dell’Enit,
l’ente che dovrebbe promuovere il
turismo, e non l’ha mai fatto. Con
l’arrivo della Christillin, aveva promesso il premier, ci sarebbe stata
una rivoluzione. Quanto ai risultati,
giudicate voi.
Che cosa ci manca? le ha chiesto il Corsera. Risposta: «La banda
larga è il primo punto sul quale insistiamo nei colloqui con le istituzioni. Qui da noi, appena ti sposti
in treno, vedi che ci sono problemi
con la connessione internet, quando
oggi l’80% del turismo viaggia sulla
rete. Poi penso al Sud della Spagna:
diciamocelo, è molto meno bello della
nostra Sicilia, eppure hanno più collegamenti, sia aerei che ferroviari e
su strada, per non parlare delle soluzioni alberghiere». Ecco, non è facile
bocciare in un colpo solo la banda
larga e gli alberghi, i collegamenti
aerei e quelli su strada e in treno.
Ma la Christillin ci è riuscita in pieno. C’è del vero in ciò che dice, ma
più che un invito a visitare l’Italia,
il suo sembra il solito scaricabarile,
un autogol clamoroso.
Incuriosito, per evitare un giudizio affrettato, vado sul sito enit.it
per capire quali cambiamenti abbia
portato l’arrivo della Christillin. Sulla home page, sotto il titolo «Holiday
made in Italy», c’è un invito a visitare
le bellezze del nostro paese, compresi «i grandi eventi per Expo 2015».
Da non credere: la manifestazione
milanese ha chiuso i battenti l’ottobre scorso, i padiglioni sono stati in
buona parte smantellati, ma all’Enit
non se ne sono ancora accorti. E non
è l’unica svista. Sempre nella home
page, c’è un invito in grassetto:
«Sfoglia il nostro Magazine». Sulla
copertina della rivista c’è il simbolo
dell’Expo 2015, e già questo mi mette sul chi vive. Poi clicco per sfogliare il magazine, e scopro che reca la
data «ottobre 2014»: in pratica, un
numero vecchio di quasi due anni,
dedicato a una rassegna chiusa da
sette mesi. In questo caso, il colpevole non è certo la banda larga. Forse,
provo a indovinare, causa spending
review, non c’erano i soldi per pagare il webmaster, e il sito non è stato
aggiornato.
Già, i soldi. In proposito, sul
web, c’è un nutrito scambio epistolare tra l’Enit e il Fatto quotidiano. A
sentire il giornale, in gennaio l’Enit,
riformato e trasformato da ente pubblico in ente economico, era rimasto
senza fondi ed era sul punto di perdere quasi tutto il personale, che
aveva chiesto di essere trasferito in
qualsiasi ufficio pubblico, pur di non
rischiare il licenziamento. Tutto falso, ha replicato l’ente: i soldi ci sono,
poiché ai 4 milioni di euro in cassa,
si aggiungono 12,5 milioni stanziati
dalla legge stabilità 2015, più altri
15,5 milioni per le spese obbligatorie. E non c’è alcun rischio che l’Enit
rimanga senza dipendenti: «È infatti imminente l’avvio delle procedure
per il ricambio del personale e della
dirigenza». Questo accadeva a metà
gennaio. Ma tre mesi dopo il sito Enit
è ancora fermo all’Expo 2015.
Eppure, volendo fare di meglio, l’occasione ci sarebbe. E molto
grossa. In Russia ci sono 5 milioni
di turisti della nuova classe media
che ogni anno andavano in vacanza
al mare in Turchia e in Egitto. Ora,
per ragioni politiche note, Vladimir
Putin ha sconsigliato ai suoi connazionali di recarsi in questi due paesi.
Cogliere la palla al balzo, e dirottare sulle spiagge italiane il 20% di
questo flusso (almeno un milione di
russi), dovrebbe diventare il fulcro
dell’intera politica del turismo, coinvolgendo non solo l’Enit, ma anche il
governo, a partire dal ministro Dario Franceschini, fino allo stesso
Renzi. Purtroppo, non è così. L’Enit,
come informa uno dei pochi comunicati stampa aggiornati reperibili
sul suo sito, si è limitato a inviare
una delegazione alla recente fiera del
turismo di Mosca, promettendo una
campagna di stampa sui media russi.
Una campagna, si spera, che veda al
primo punto la rimozione dal suo sito
l’invito a visitare l’Expo 2015.
Quanto al governo, è inevitabile
chiedersi come possa rendere credibile l’invito a venire in Italia per i turisti
russi, mantenendo in vita nello stesso
tempo le sanzioni economiche contro
il loro paese, decise a seguito delle
vicende in Ucraina. Dopo due anni, è
sempre più evidente che le sanzioni
fanno male più al nostro paese che agli
altri, con danni irreparabili all’export
agro-alimentare e al manifatturiero.
A questi, ora si aggiunge il danno al
turismo, che è un asset fondamentale della ricchezza nazionale, un asset
esposto alla concorrenza di paesi come
Germania, Regno Unito e Francia, che
guarda caso ci hanno scavalcato nelle entrate turistiche (con 130, 103 e
89 miliardi rispettivamente, contro i
nostri 76). Gentile signora Christillin,
sveglia!
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