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Cronache
mercoledì
18 gennaio
2017
«Cucchi è morto per un pestaggio»
La procura di Roma ha chiuso l’inchiesta bis sul decesso del geometra
Contestato a tre carabinieri il reato di omicidio preterintenzionale
Valeria Di Corrado
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■ Schiaffi, pugni e calci. Per la Procura di Roma è
statoilpestaggio subitodai carabinieriaprovocare la morte di Stefano Cucchi, «colpevole» di aver Ottobre
fattoresistenzaalmomentodelfoto-segnalamen- Il ragazzo
to. L’inchiesta bis sul decesso del geometraroma- è deceduto
no si chiude con un colpo di scena. Il procuratore all’ospedale
capo Giuseppe Pignatone e il PM Giovanni Musa- romano
rò contestano il reato di omicidio preterintenzio- Sandro Pertini
nale, aggravato dai futili motivi e dall’abuso di
poteri, nei confronti di Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, inizialmente accusati di lesioni gravissime.
I tre militari della stazione Appia, la notte tra il
15 e il 16 ottobre 2009, dopo aver arrestato il 31enne per detenzioneecessione di sostanze
I pm
stupefacenti
e dopo aver
«Avrebbero spinto e colpito
eseguito una
perquisiziocon schiaffi e calci il 31enne»
ne nella sua
abitazione,
avrebbero colpito Cucchi durante la procedura di
fotosegnalamento «con schiaffi, pugni e calci, tra
l’altroprovocandoneuna rovinosacadutaconimpattoalsuoloin regionesacrale». Lepercossehanno causato al ragazzo tumefazioni ed echimosi Giorni
sul viso, infiltrazioni emorragiche, la frattura del- Stefano
le terza vertebra lombare e della quarta vertebra fu arrestato
sacrale. «Lesioni che sarebbero state guaribili in una settimana
almeno 180 giorni e in parte con esiti permanenti prima
- si legge nel capo d’imputazione - ma che nel per spaccio
caso di specie, unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso
la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini
di Roma,ne determinavano la morte», avvenuta il
22 ottobre 2009. Durante la degenza il geometra
aveva subito un forte calo di peso. Tant’è vero che
nelprimoprocesso,igiudici dellaterzaCorted’assise d’appello, hanno decretato che la morte del
31enne«è dipesadauna gravealterazione dei processi metabolici, causata da un’insufficiente alimentazione e idratazione». Per la procura questo
calo di peso è dovuto al fatto che il paziente «non
si alimentava correttamente a causa e in ragione
del trauma subito» a seguito del presunto pestaggio.
Si aggrava anche la posizione degli altri due carabinieri indagati in questa seconda inchiesta. Al
comandante della stazione Appia Roberto Mandolini, all’appuntato Vincenzo Nicolardi (inizialmenteaccusati difalsatestimonianza)e a Francesco Tedesco viene contestato ora il reato di calunnia per le dichiarazioni rese sotto giuramento nel
processo di primo grado davanti alla Corte d’assise «accusando implicitamente Menichini, SantantonioeDomenici(agenti dellapolizia penitenziaria in servizio nel Tribunale di piazzale Clodio),sapendoli innocenti,deidelittidi lesionipersonali pluriaggravate e abuso di autorità contro
arrestati».Infine Mandolini
e Tedesco sono accusati
Indagini
anche di falso
Si aggrava anche la posizione
inattopubblico,perché«redi altri due militari coinvolti
digendoilverbale di arresto di Stefano Cucchi, attestavano falsamente fatti dei quali l’atto era destinato a provare la verità».
E in particolare, avrebbero attestato che il 31enne
erastato «identificato a mezzodirilievi fotosegnaletici e accertamenti dattiloscopici», circostanza
falsa - secondo l’accusa - perché Cucchi aveva
fatto resistenza. Poi, però, qualcuno cancellò il
suo nome con il bianchetto dal registro «come se
l’arrestato non fosse mai passato di lì».
La svolta investigativa in questo secondo filone
d’indagine arriva quando Anna Carino, ex moglie
di D’Alessandro, gli ricorda al telefono: «Hai raccontato a tutti di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda (...) che te ne vantavi
pure... che te davi le arie». La frase intercettata
viene confermata dalla donna quando il 19 ottobre 2015 è stata sentita dal pm Musarò. Tra le altre
dichiarazioni raccolte, c’è quella rilasciata il 30
giugnoscorsoda RiccardoCasamassima, all’epoca dei fatti in servizio presso la stazione di Tor
Vergata: «Il maresciallo Mandolini mettendosi
una mano sulla fronte mi disse: «È successo un
casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un
arrestato», per poi spiegare che si trattava di Cucchi.
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©RIPRODUZIONE RISERVATA
A Firenze l’ennesimo caso di un agente ferito durante un intervento per una lite tra condomini
Noi, poliziotti, senza difese
D
ieci punti per un taglio
all'orecchio,4 per un sopracciglio, e diverse coltellate a troncoe fianchiparate solo grazie algiubbotto antiproiettile sottocamicia.
È questo il bilancio delle ferite riportateda tre colleghi durante uninterventoperunasemplice litetracondominiiniziato intornoall'1 e 30 della notte tra sabato e domenica a Firenze e conclusosi alle 7 di mattina,
dopo una lunga negoziazione e uno
scontrosanguinoso. Quando gli operatori sono intervenuti, infatti, la lite era già conclusa, ma nel momento
in cui i colleghi hanno cercato di entrare nell'appartamento dell'uomo
di nazionalità nigeriana coinvolto,
per identificarlo, è iniziata la violentacolluttazionechehaportatoalferimento dei tre agenti. Un corpo a corpo che non è finito in tragedia solo
grazie alla buona sorte e, ovviamente, al giubbotto sottocamicia, che a
Firenze è in dotazione degli operatori grazie a una lunga battaglia del
Sap.
Ma, purtroppo, non è così ovunque, anzi: nella stragrande maggioranza dei casi i colleghi non ne dispongono e il rischio, per loro, è sempre dietro l'angolo. Una realtà che fa
letteralmente rabbrividire se messa
a confronto con i dati, secondo i quali nel 2015 solo nel corpo della polizia di stato ci sono stati circa 6mila
feriti.
Per risolvere questa situazione e
riuscire ad evitare sempre la tragedia,senzaaffidarsi alcaso,lasoluzione èsemplice, comeil Sapha sostenuto e sostiene da anni: è necessario evitare il corpo a corpo, prevenendo la
pericolositàdegli interventicon ledo-
Il Segretario
Generale del
Sap Gianni
Tonelli
tazioni necessarie in grado di tutelare i colleghi.
La pistola taser e lo spray al peperoncino avrebbero sicuramente evitato il contatto in una situazione come questa, ma purtroppo in Italia,
soprattutto sulla pistola, il pregiudizio la fa da padrone e si continua a
costruire castelli di carte, false, sulle
dotazioni necessarie ai poliziotti,
ostacolandodifattol'impiego distrumenti fondamentali come questi.
Moltevolte gli interventi in appartamento sono singoli, perché il collega che rimane di sotto dovrebbe abbandonare l'auto e l'arma lunga e
nessuno si è mai preso la responsabilità di mettere nero su bianco che si
possa fare.
Infatti, queste disposizioni vengono sempre date oralmente, perche né
i questori né il dipartimento si sono
mai voluti assumere queste responsabilità. Il risultato è che chi sale è
sempre costantemente in balia degli
eventi e si trova a dover affrontare
l'imprevisto senza i mezzi adeguati.
In questo caso si trattava di una
normalissima lite tra condomini,
non era un attentato terroristico, né
una rapina a mano armata, ma il
bilancio è stato comunque drammatico:un collega ha rischiato di perdere l'orecchio, un altro di perdere un
occhio e il terzo ha avuto semplicemente la fortuna di essere tra i pochi
in Italia a disporre di un giubbotto
sottocamicia in dotazione. Il problema è grave e non si può continuare a
far finta che non sussista, utilizzando meri pretesti ideologici per non
applicaresoluzionisemplici egiàcollaudate.In unpaesesemprepiù esposto a minacce terroristiche, il rischio
per il personale di polizia che opera
sulle strade è giunto ad un livello altissimo, reso ancora meno gestibile
dalle attuali norme che non ci consentonodi sparare perfermare undelinquente che ci gira le spalle o che
non si ferma all'alt.
Bisognaagiresubito,perché i cittadini hanno il sacrosanto diritto di
pretendere la sicurezza sempre e in
ogni momento, e non possono vedere messa a rischio la propria incolumità perché migliaia di poliziotti
ogni anno finiscono in ospedale per
ferite che si potevano evitare molto
facilmente.
Gianni Tonelli
Segretario Generale del Sap