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Venerdì 13 Gennaio 2017
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A Villa Badoer di Fratta Polesine (provincia di Rovigo): da Cleopatra alle multinazionali
I profumi si mettono in mostra
Una carrellata negli ultimi quattromila anni dell’odore
Essenze preziose racchiuse in raffinate bottiglie, che
ratta Polesine. In questo spesso non abbandonavano
luogo, dove i carbonari la donna fortunata che le usanel 1818 programmaro- va e la seguivano anche nel
no una delle prime rivol- sepolcro. La mostra si apre
te all’Austria, è stata aperta una con una preziosa collezione
originalissima mostra: «Storia di «fiale» (come le chiamava
del profumo, profumo della sto- D’Annunzio) mediorientali,
ria» (sino al 26 febbraio, tutti i greche, romane, in alabastro,
giorni, ore 8.30-19.30). Allestita vetro, ceramica, sino alle sonelle barchesse di una della più fisticate bottiglie delle odierbelle ville del Veneto, quella che ne industrie multinazionali,
i nobili veneziani Badoer fece- sulle quali è nato un fiorente
ro erigere dal Palladio. Tremi- e redditizio collezionismo. Chi
la anni di storia del profumo, in voglia vedere una vastissima
raccolta di bottigliette degli
tutti i suoi aspetti.
Il profumo vi
appare come un
La mostra è anche da odorare. Il
filo olfattivo che
visitatore viene guidato alla spericollega tutte le
mentazione degli odori principali
epoche della storia,
dato che l’umanità
che sono alla base della produzione ha mai fatto a
ne dei profumi. E diventa come
meno. La mostra
Fabullo, amico di Catullo, che lo
infatti parte dell’età
invitava a cena «quando odorerai
del bronzo (duel’unguento che ti donerò, chiedemila anni prima
di Cristo), quando
rai agli dèi di diventare tutto naso
già venivano usate
(totum ut te faciant nasum)»
piante odorifere per
produrre essenze:
pino, alloro, mirto, rosmarino.
ultimi due secoli non ha che da
I profumi sono quell’«inutile», recarsi al «Museo del profumo»,
che testimonia la dimensione che ha sede in via Messina 54,
soprannaturale dell’uomo. Li a Milano.
Della fabbricazione e
amava anche un filosofo rigoroso e sobrio come Spinoza, che dell’uso dei profumi si occupò
scriveva con il linguaggio della la scienza cosmetica, a partire
geometria: «L’uomo saggio trae da Cleopatra. Donna affascidiletto delle cose, si ristora e si nante, di origine greca, ma non
rafforza con cibi e bevande mo- certo avvenente, anche per il
derati e gradevoli, come anche naso troppo grande, divenne
esperta nel trucco, di cui prima,
con i profumi» (Ethica, IV, 45).
Come tutti gli usi, quello Cesare e poi Antonio fecero le
di profumarsi può diventare spese. Le si attribuisce il tratridicolo eccesso. Ma, entro certi tato Cosmesi. L’uso dei profumi
limiti, il profumo costituisce uno declina nell’età medievale, ma
status symbol, ci fa capire il gra- riesplode nell’età umanistica,
per opera di grandi donne, tutdo sociale di chi lo usa.
DI
GIANFRANCO MORRA
F
scienza moderna favoriva
una produzione incipientemente industriale, come
accadrà a fine secolo con la
scoperta (ancora discussa)
dell’Acqua di Colonia.
Naturalmente una produzione industriale doveva
accompagnarsi con una pubblicità dei prodotti. Come vediamo in una delle sezioni
più suggestive della mostra:
ecco manifesti e stampe liberty di acque profumate e
saponi, di ciprie e brillantina,
ecco i calendarietti profumati, dono costante di barbieri
e parrucchieri, un garbato
pretesto per la «mancia».
Vi emergono quelli raffinatissimi della ditta fondata dal bresciano Achille
Bertelli, a partire dai noti
cerotti sino ai profumi (Asso
di cuori, Ebbrezza Marina,
Come tu mi vuoi) che attribuivano alle donne un irre-
alla sperimentazione degli odori principali che sono alla base
della produzione dei profumi. E
diventa come Fabullo, amico di
Catullo, che lo invitava a cena:
«quando odorerai l’unguento che
ti donerò, chiederai agli dèi di diventare tutto naso (totum ut te
faciant nasum)».
Alcune essenze hanno prezzi
stellari: come la «Rosa Centifolia» di Grasse, componente privilegiata dello Chanel 5 (per un
chilo e mezzo di essenza serve
una tonnellata di petali), o la
«Rosa di Taif» (Arabia Saudita),
della cui essenza si producono
ogni anno solo 16 chili, ognuno
dei quali costa 50 mila euro.
Non lontano dalla Villa
Badoer è il cimitero, nel quale
riposa il martire del socialismo,
Giacomo Matteotti, ucciso dai
fascisti. In un certo modo anche
lui fa parte della mostra.
Se oggi l’uso dei profumi non è
L’Almanacco profumato
limitato alle classi ricche, ma si è
dell’Acacia Bertelli
diffuso anche a quelle prote profumatissime, come
letarie, certo il socialismo
Alcune essenze hanno raggiunCaterina Sforza e Cateha giocato la sua parte. La
to prezzi stellari: come la «Rosa
rina de’ Medici.
sua tomba, purtroppo, è
Centifolia» di Grasse, componente
E Isabella d’Este, che
poco visitata e chi si reca
a Mantova aveva aperto
alla mostra potrebbe con
privilegiata dello Chanel 5 (per un
un laboratorio di profumi.
facilità farle una visita.
chilo e mezzo di essenza serve una
Già nel Cinquecento a
Da sempre molto più aftonnellata
di
petali),
o
la
«Rosa
di
Ferrara veniva fabbricafollata è quella del suo neTaif»
(Arabia
Saudita),
della
cui
ta una «Acqua da far donmico, Benito Mussolini, a
essenza si producono ogni anno
na odorifera, e dura otto
Predappio. Che, poi, molto
giorni» - cosa importante
all’inizio della sua carriesolo 16 chili, ognuno dei quali
in un’epoca in cui i bagni
ra e un po’ anche alla fine,
costa 50 mila euro
non erano frequenti.
era pure lui socialista. E di
Ma la città più odorosa
donne se ne intendeva, anera Venezia, anche grazie ai suoi sistibile fascino. Per le sue pub- che se non erano i profumi che
commerci con l’oriente. Dove blicità egli si avvalse di grandi lo interessavano. Quei profumi
fu stampato il primo trattato artisti: Dudovich, Boccasile, che invece per D’Annunzio (si
moderno sui profumi: «I notan- Depero, ed ebbe Greta Garbo pensi alla profumatissima Isadissimi secreti dell’Arte profu- come testimonial.
bella Inghirami in «Forse che
matoria» (1554). E ben presto i
Ma la mostra non è solo sì, forse che no») erano mesmanuali fioriscono, soprattutto da vedere, è anche da odora- saggi e simboli insieme di eros
nel Seicento, anche perché la re. Il visitatore vi viene guidato e thànatos.
PESANO SUL GRUPPO FRANCESE INVESTIMENTI IMMOBILIZZATI E CHE, AL MOMENTO, RENDONO POCO
Mediaset farebbe bene a studiare la situazione di Vivendi per cercare
le sue crepe finanziarie. Perché esse ci sono. E l’indeboliscono anche
DI
PIERPAOLO ALBRICCI
D
opo il ramassage, in francese,
il rastrellamento in borsa di
pacchetti azionari rilevanti,
attuato in silenzio e con
accuse, da parte Mediaset, di irregolarità, Vivendi deve assolutamente
evitare una lunga situazione di stallo, essendo ferma a poco sotto il 30%,
con Fininvest al 40%, più i pacchetti di
amici. La proposta, di cui oggi si sono
sentiti i primi annunci, è che la famiglia Berlusconi venda, ricevendo in
cambio una partecipazione rilevante
della stessa Vivendi. Ai prezzi attuali (quasi raddoppiati in poco tempo),
Mediaset capitalizza circa 5 miliardi.
Il 40% di Berlusconi vale dunque 2
miliardi di euro, non molto di più, visto che il premio è in buona parte già
nei recenti rialzi.
Vivendi capitalizza in borsa circa 24 miliardi. Berlusconi avrebbe,
quindi, poco meno del 10%, a fronte
del 15% circa che detiene il gruppo
Bollorè, circondato però da altri fedeli alleati francesi. Fininvest quindi
conterebbe poco o nulla e non riceverebbe cassa. Ai Pesenti, che hanno
venduto il cemento ad Heidelberg,
oltre al 5% del gruppo tedesco sono
arrivate almeno parecchie centinaia
di milioni con cui fare altro. Oltre alla
diluizione e con poco potere (inaccettabile per i Berlusconi), ci sono altri
aspetti da considerare.
Vivendì, è vero, capitalizza
molto di più; ma il prezzo delle sue
azioni, nell’ultimo anno, è stato fermo,
anzi in leggero calo di circa il 10%, da
20 e 18 euro. I francesi hanno tanta
cassa, ma hanno anche investito molto
in attività che, in termini di reddito
operativo, non rendono moltissimo;
circa il 10% sugli oltre 10 miliardi di
fatturato sono tanto in assoluto, ma
non molto in termini relativi.
Pesano, nel gruppo francese, anche
investimenti immobilizzati che non
stanno generando i risultati previsti.
I quasi 4 miliardi immobilizzati nel
25% di Telecom Italia nascondono
anche quasi 1 miliardo di minusvalenza; ma anche sulle tlc in Brasile
o altri business, pagati abbastanza
cari, i ritorni sono appena accettabili.
Per questo, Bollorè deve sbloccare la
situazione.
In Italia, da Telecom non può
certo attendersi dividendi generosi
come quelli che può deliberare a suo
piacimento in Francia, essendo l’azionista di maggioranza relativa. Telecom è ancora indebitata e deve stare
attenta al suo cash-flow.
E se lo stallo con Mediaset dovesse
durare, non saranno certo i Berlusconi, sotto assedio, ad aiutarlo pagando
alti dividendi. Bisognerebbe poi sapere se e in quali termini la campagna
di investimenti di Vivendi sia stata
finanziata. Oggi i tassi di interesse
bancari sono bassi (inferiori al dividend yield delle azioni), ma Vivendi
potrebbe avere dovuto dare in pegno
azioni, che se calassero ancora di prezzo, comporterebbero integrazioni delle
garanzie.
Mediaset farebbe bene a studiare le reali forze dell’avversario,
notoriamente aggressivo e spericolato.
Forse scoprirebbe qualche crepa, su
cui fare forza negoziale, o per evitare
accordi con un colosso meno ricco di
quanto appare. Anche il tempo poi
potrebbe giocare anche a favore di
Mediaset, avvicinando le decisioni
sulle cause legali avviate, in particolare per i contratti non rispettati.
Sarebbe infine interessante sapere
da quali banche sia stata finanziata
Vivendi. Solo francesi, magari qualche
tedesca? Ma se ci fosse anche qualche
grande banca italiana, bisognosa di
raccogliere prossimamente ingenti
aumenti di capitale da grandi fondi
esteri, ci sarebbe forse il sospetto di
conflitto d’interesse?
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