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Contro-riflessioni sul
“caso Taricco”
Opinioni
Giovanni Flora
Sommario : 1. “La posta in gioco”. – 2. Ma davvero l’iva è giuridicamente un tributo europeo? – 3. Ma
davvero la (presunta) ineffettività della tutela dipende dai termini (ritenuti troppo brevi) di prescrizione?
– 4. L’art. 325, comma 1 TFUE non è una norma immediatamente precettiva e non può costituire fonte
di obblighi per il Giudice nazionale. – 5. La scelta delle disposizioni sulla prescrizione del delitto di associazione contrabbandiera per valutare la pari intensità di tutela di interessi omologhi (art. 325, comma
2 TFUE: una scelta palesemente arbitraria. – 6. La sicura applicabilità delle garanzie dell’art. 25, comma
2 Cost. alle norme sulla prescrizione. – 7. Considerazioni conclusive.
1. “La posta in gioco”.
Nell’attesa della pronuncia della Corte Costituzionale che il 23 novembre sarà chiamata a decidere la questione di costituzionalità sollevata dalla Seconda Sezione Penale della Corte d’Appello di Milano (ord. 18.09.2015) e dalla Terza Sezione Penale della Corte
di Cassazione (ord. 30.03.2016), è forse necessario chiarire qualche nodo fondamentale
della questione; anche per rispondere ad alcune considerazioni, recentemente svolte, in
particolare dal Prof. Lorenzo Picotti (www.penalecontemporaneo.it, 24 Ottobre u.s.) che
invita ad effettuare “riflessioni giuridiche pacate” e a non lasciarsi andare a “virtuose indignazioni”. Rispondo subito che le mie saranno “riflessioni giuridiche” che mi inducono
ad una “pacata indignazione”. Infatti, ciò che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea
(per formazione culturale e istituzionale lontana dalla benché minima, rudimentale cognizione delle basi del diritto penale liberal democratico)1 vorrebbe imporre al Giudice
nazionale (la disapplicazione delle disposizioni sul tetto massimo di durata della prescrizione dei reati in materia di iva per l’intervento di un atto interruttivo, quando egli
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Intendo dire che, mentre le norme eurounitarie si preoccupano di garantire la massima tutela possibile degli interessi propri
dell’Unione, le norme penali hanno una preoccupazione opposta: quella di limitare la tutela degli interessi ritenuti meritevoli di
protezione a tipologie ben circoscritte di condotte. Si tratta quindi di prospettive destinate fatalmente ad andare in rotta di collisione. La Corte di Lussemburgo è per sua naturale vocazione insensibile a cogliere la peculiarità delle forme di tutela proprie del
diritto penale.
Giovanni Flora
ritenga che ne conseguirebbe l’impossibilità di punire “in un numero considerevole di
casi” gravi frodi in materia di una imposta che costituisce una risorsa anche per l’U.E.)
provocherebbe una attribuzione al singolo Giudice di poteri che, nel nostro assetto
istituzionale, spettano unicamente al legislatore: tipiche valutazioni di politica criminale.
Dunque ciò comporterebbe una vera e propria sovversione degli equilibri costituzionali
fondativi del sistema.
Come autorevolmente afferma uno studioso dello spessore di Domenico Pulitanò
(www.penalecontemporaneo.it, 5 Ottobre 2016, p.5) “ le scelte relative ai tempi di prescrizione sottendono bilanciamenti fra contrapposte esigenze di funzionalità repressiva e
di garanzia”. Insomma non pare davvero consentito che si rimettano al Giudice del caso
concreto competenze tipiche della valutazione legislativa, di politica criminale. Da qui la
necessità di attivare i controlimiti rappresentati da principi fondativi del sistema. Questo il
punto cruciale che conduce ad una “serena indignazione”.
2. Ma davvero l’iva è giuridicamente un tributo europeo?
Ma la sentenza Taricco, che tanto piace agli irriducibili “passionari” del diritto penale
di fonte giurisprudenziale europea, in particolare di quella dei Giudici che, tradendo la
plurisecolare funzione del Giudice custode delle garanzie di libertà del cittadino, si sono
trasformati in “disapplicatori delle garanzie”, contiene altre affermazioni che ne fanno un
“manifesto politico”, che di “giuridico” ha solo la veste formale.
In primo luogo, bisognerebbe forse che la Corte di Giustizia avesse speso qualche
parola per fornire idonea dimostrazione che il gettito iva è destinato anche (e non sarebbe male che avesse esplicitato pure in che misura) ad alimentare le finanze dell’Unione.
Che sia un tributo “armonizzato” significa solo che l’Unione, nei rapporti con gli Stati
membri, pone vincoli di obiettivo e di modello di disciplina niente di più. Anzi, se si va
un po’ più a fondo si scopre che l’aliquota che l’Italia deve versare quale mantenimento
dell’equilibrio finanziario dell’Unione è dello 0,3%, calcolato – si badi – non sul gettito riscosso dai cittadini, ma su base convenzionale macroeconomica. Quindi – diciamo
così – è giuridicamente discutibile, se non erroneo affermare che l’iva, intesa quale
gettito riscosso dai singoli Stati, costituisca in senso propriamente giuridico un “tributo
europeo”2. Cosicché la preoccupazione di garantire, con sanzioni penali efficacemente
dissuasive, la cui applicazione potrebbe essere frustrata da termini di prescrizione giudicati eccessivamente brevi, la riscossione dell’iva domestica potrebbe sembrare forse fuori
luogo, se non mistificatoria.
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Lo stesso Parlamento Europeo ( Risoluzione del 29 marzo 2007 ) ha affermato che “ la risorsa IVA si è trasformata da una vera e propria risorsa propria, con un collegamento diretto ai cittadini europei, ad uno strumento puramente statistico per calcolare il contributo
di uno Stato Membro “
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3. Ma davvero la (presunta) ineffettività della tutela dipende
dai termini (ritenuti troppo brevi) di prescrizione?
In secondo luogo, addebitare alla (ritenuta) brevità dei termini di prescrizione la
frustrazione degli scopi preventivi e repressivi delle norme penali in materia, non è
solo ingeneroso, ma privo di fondamento scientifico nelle indagini statistiche disponibili che dimostrano che la lunghezza dei processi è innanzi tutto dovuta a disfunzioni
organizzative ed alla eccessiva durata delle indagini preliminari . Dunque la sentenza
Taricco sembra animata, più che da motivazioni giuridiche, da pregiudizi di natura
politica che “orecchiano” stantie polemiche tese a “demonizzare l’istituto della prescrizione.
4. L’art. 325, comma 1 TFUE non è una norma
immediatamente precettiva e non può costituire fonte di
obblighi per il Giudice nazionale.
Sempre a proposito di valutazioni giuridiche, muovere dall’assunto che l’art. 325, comma 1 TFUE abbia immediata efficacia precettiva e sia rivolto (anche) al Giudice, quando
la sua formulazione testuale ne rende palese a chi voglia “serenamente” leggerla, la natura
programmatica di disposizione indirizzata al legislatore domestico, significa effettuarne
una distorta interpretazione in chiave tutta “politica”.
Ma non basta ancora. Quando la Corte di Giustizia si interroga se la legge italiana
tuteli con la stessa intensità gli interessi finanziari interni, rispetto a quella che assicura
ai (supposti) interessi finanziari dell’Unione, compie una scelta ancora una volta del
tutto arbitraria e finalizzata a raggiungere uno scopo pre determinato: anziché, come
sarebbe stato naturale, far riferimento alle disposizioni in materia di prescrizione dei
reati in materia di imposte dirette (che non avrebbe consentito di pervenire allo scopo
che aveva in animo di conseguire perché in tutto identiche a quelle dei reati in materia
di iva), effettua il confronto con quelle concernenti il reato di associazione a fine di
contrabbando di tabacchi lavorati esteri che, notoriamente, non conoscono tetto massimo in caso di interruzione, appartenendo al lotto dei reati di criminalità organizzata
(art. 51, comma 3 bis e 3 quater c.p.p.). Scelta aggravata dalla mancata considerazione
che il “disvalore penale” del delitto di associazione contrabbandiera va ben oltre a
quello inerente alla mancata corresponsione delle accise. Ne esce confermata la assoluta ignoranza delle valutazioni politico criminali sottese alle opzioni del legislatore in
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5. La scelta delle disposizioni sulla prescrizione del delitto
di associazione contrabbandiera per valutare la pari
intensità di tutela di interessi omologhi (art. 325, comma 2
TFUE): una scelta palesemente arbitraria.
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materia di prescrizione che paradossalmente la Corte di Giustizia vorrebbe affidare al
singolo Giudice nazionale .
6. La sicura applicabilità delle garanzie dell’art. 25, comma
2 Cost. alle norme sulla prescrizione.
Quanto poi alla asserita natura processuale della prescrizione (che la sottrarrebbe a
tutte le garanzie della legalità), forse bisognerebbe effettuare qualche ponderata riflessione
sull’architettura dell’art. 25, comma 2 Cost. La norma sancisce una riserva di legge non di
campo di materia (come, ad es., l’art. 97 Cost.), ma di modo di disciplina, cosicché tutte
le disposizioni in base alle quali alla commissione di un determinato fatto è riconnessa
in concreto l’inflizione di una pena, rientrano nella garanzia della riserva di legge, della
determinatezza/tassatività, della irretroattività sfavorevole (e, ormai, anche della retroattività favorevole). Dunque, anche a non voler considerare che da sempre anche la nostra
Corte Costituzionale riconosce natura sostanziale alle norme sulla prescrizione, esse sono
certamente coperte dalla garanzia del principio di legalità in tutti i sottoprincipi nei quali
si articola.
7. Considerazioni conclusive.
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In conclusione, la sentenza Taricco, figlia di una formazione culturale e di una attitudine funzionale della Corte di Giustizia antitetiche a quelle che caratterizzano l’essenza
stessa del diritto penale e le forme della tutela penale, figlia della demonizzazione dell’istituto della prescrizione, contiene in sé una carica potenzialmente distruttiva degli assetti
fondamentali degli equilibri costituzionali.
Il controlimite più potente da attivare è quello che trova riconoscimento negli artt. 25,
comma 2 e 101 comma 2 Cost., nella loro funzione fondativa dell’architettura del sistema
politico istituzionale della nostra Repubblica: al Giudice non possono essere attribuiti
compiti, da esercitare volta per volta, nei singoli casi che è chiamato a decidere, che costituiscono competenza inderogabile del legislatore.
Ma non possono nemmeno essere trascurati quelli desumibili dagli art. 2 e 111 Cost.:
l’istituto della prescrizione trova fondamento nella necessità di tutelare diritti inviolabili
dell’essere umano (indagato, imputato) che non può rimanere per una frazione troppo
lunga della sua esistenza nella camicia di forza delle indagini e del processo, né può rimanervi la vittima, né la collettività che hanno diritto di sapere in tempi ragionevoli se
una persona è colpevole o innocente; ma trova fondamento anche nel principio della
ragionevole durata del processo che rafforza le esigenze già desumibili dall’art. 2 Cost.,
richiedendo che si pervenga ad una sentenza definitiva nei tempi più rapidi compatibili
con le esigenze di garanzia dettate dai canoni del giusto processo e con la complessità
delle vicende processuali.
Già l’attuale disciplina della prescrizione, in base alla quale tutti i reati di una certa gra-
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vità hanno tempi di estinzione biblici, consente ad un sistema ben organizzato di concludere i processi in tempi adeguati. Ma in ogni caso non si può consentire che sia il giudice
del singolo caso concreto a stabilirne le cadenze.
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