Cara Dinamo, ora sei come tutte le altre

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Cara Dinamo, ora sei come tutte le altre
Basket dall'isola felice al ritiro punitivo: il grande percorso di crescita del club sassarese ha cancellato la sua "specialità"
di Andrea Sini
Nell'isola del basket i sorrisi sono sempre più rari e la tensione
si taglia a fette. La crisi del settimo anno ha colpito in pieno la
Dinamo, che da almeno due
mesi è finita in un tunnel ed è
piombata nella peggiore crisi
dal momento in cui è approdata
nella massima serie, nel 2010.
Il percorso. La decisione di mandare la squadra in ritiro al Olbia
per una settimana intera, a cavallo delle festività natalizie,
rappresenta il culmine di un
percorso che ha visto la trasformazione del club sassarese da
"specialità assoluta" nel panorama cestistico italiano a entità
sempre più organizzata e competitiva, ma ormai assolutamente "uguale" alle altre. Intendiamoci, la Dinamo è sempre una
buonissima squadra, resta al
top a livello organizzativo
nell'intero panorama sportivo
nazionale, con una spiccata impronta di tipo manageriale, e resta un'isola felice dal punto di
vista ambientale, con tifosi presentissimi, appassionati ma
mai invadenti. E con giocatori
che, su input della società, sono
costantemente a contatto con i
fan, con gli sponsor e con i mass
media. Sassari, dopo un ventennio a onesti livelli in A2 (con una
parentesi in Bl) si è sostanzialmente trovata da un momento
all'altro, nell'arco di pochi anni,
a competere - e spesso vincere ai massimi livelli. Il tutto con
una guida ben riconoscibile a livello societario (dal 2011 Stefano Sardara), un coach che ha
fatto tutto il percorso dalla A2 al
triplete (Meo Sacchetti) e una
serie di giocatori-simbolo, adottati nel vero senso della parola
dai tifosi e dalla città: Vanuzzo, i
Diener, Sacchetti, Devecchi.
Le radici del cambiamento. Il percorso di crescita progettato con
grande ambizione della società
prevedeva il suo culmine nel
2018 e invece si è arrivati al top
(anzi, over the top, perché forse
neppure Sardara avrebbe mai
sognato un triplete) addirittura
con tre anni d'anticipo: in sostanza, cinque anni dopo aver
messo per la prima volta piede
in serie A, la Dinamo aveva già
in bacheca uno scudetto, due
coppe Italia e una Supercoppa.
L'età dell'innocenza, se così la si
può chiamare, non è certamente finita con 0 ritiro punitivo di
questi giorni, ma si era chiusa
con il traumatico esonero di coach Sacchetti, che come tutti
sanno (ma oggi molti fingono di
non ricordare) non dipese da
questioni tecniche, né dai risultati, ma semplicemente dal deterioramento dei rapporti personali tra allenatore e presidente.
E poi altre concause, precedenti
e successive, quasi tutte fisiologiche: dall'addio dei Diener a
quello di Vanuzzo, passando
per l'alzarsi dell'asticella delle
ambizioni societarie che ha naturalmente fatto crescere sem-
SERIE A
pre di più la sete di vittorie e le
aspettative del popolo biancoblu. Un popolo che sino a qualche anno fa si sarebbe strappato
i capelli solo all'idea di giocare
in Al e oggi- atorto o aragione non si accontenta più di starci e
basta.
Presente e futuro. Oggi pochi lo
ricordano, perché le vittorie
cancellano tutto, ma la squadra
del 2014-'15, quella del triplete,
prima di arrivare al titolo è stata
una delle più criticate di sempre. E se chiedete a qualsiasi tifoso di lungo corso, nella classifica delle tre (facciamo anche
cinque) Dinamo più amate di
sempre, difficilmente inserirà
quella con Dyson, Logan, Sanders &C. Condannata a stare in
bilico tra il voler vincere il più
possibile e il dover essere anche
simpatica, la Dinamo oggi si trova a convivere con una pelle
nuova, con un nuovo ciclo
("Dinamo 2020") che sulla carta
dovrebbe essere ambizioso
quanto il precedente ma che, risultati sul campo alla mano, è
partito con il piede sbagliato:
con stelle che deludono, nervosismo nell'aria, tifosi che chiedono la testa dell'allenatore e la
squadra che finisce in ritiro punitivo.
Tutto regolare, in una società
"qualsiasi": esattamente quello
che la Dinamo è diventata, in
un modo o nell'altro, una volta
spogliatasi definitivamente del
suo abito di "specialità".
Gabe Olaseni, uno dei giocatori più deludenti di questa stagione
SERIE A