Ringraziamo Eluana se oggi rifiutare le cure è un atto di libertà

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Transcript Ringraziamo Eluana se oggi rifiutare le cure è un atto di libertà

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ROMA. «Bisogna dire grazie ad Eluana se
se oggi ci sono sentenze che riconoscono
e ricordano il diritto all’autodeterminazione, a rifiutare tutte le cure, le terapie,
e ad essere accuditi senza dolore fino alla
fine».
Beppino Englaro parla con tono pacato
il giorno dopo la pubblicazione della decisione del giudice di Cagliari che, accogliendo il ricorso di un malato di Sla, Walter Piludu, deciso ad andarsene, ordinava alla Asl di togliergli il respiratore e sotto sedazione per evitare «ansie e dolore».
Libertà di scelta grazie ad Eluana?
«Sì. Il giudice di Cagliari cita in vari
punti le sentenze della Cassazione del
2007 e del Consiglio di Stato del 2014,
che riconoscevano il diritto di rifiutare
tutte le cure anche se ciò portava alla
morte, e sancivano l’obbligo delle Asl di
seguire il malato nel migliore dei modi
verso la fine e di essere accompagnati nel
morire».
Per arrivarci, anni di processi e polemiche.
«Ci sono voluti 5.750 giorni e notti, 15
anni e nove mesi per intravvedere la possibilità di strappare Eluana a quell’inferno che lei non voleva.
Se capita a me preferisco morire, aveva detto dopo aver visto un
amico in coma. Io non
ho potuto fare altro
che cercare di darle
voce. Di fare in modo
che il suo volere venisse rispettato dopo che
un incidente stradale
l’aveva lasciata senza
coscienza».
Molti lo avrebbero
fatto di nascosto...
«Io credo nella legge, nella giustizia, nel
fare le cose in modo
aperto, pubblico. La
vera libertà è nella legalità e dentro la società. E così io che non
conoscevo le leggi ho studiato, ho portato
per la prima volta nei tribunali l’idea di
Eluana che tutti avessero il diritto di dire
no alle cure: lasciate che la morte accada».
Cosa dice la Costituzione?
«Parla del diritto alla salute ma anche
all’autoderminazione».
C’è un diritto a morire?
«No, non c’è da un punto di vista legale
un diritto di morire, ma ad essere lasciati
morire sì. Ed è quello che avrebbe voluto
mia figlia».
La sentenza di Cagliari dice: rifiutare
le cure non è eutanasia.
«Come non lo era per Eluana. Non veniva richiesta nessuna eutanasia, ma semplicemente che venisse ripreso quello
che i medici, le macchine e la scienza avevano interrotto. Quella di mia figlia non
era una situazione che esiste in natura:
idratata, nutrita con sondini, non era vita e non era morte. Era un qualcosa creato dalla medicina, un limbo che sarebbe
potuto andare avanti all’infinito. Giustissimo per chi lo desidera, ma mia figlia ne
aveva orrore».
La politica e il Paese si divisero.
«Eluana non poteva continuare ad essere la vittima sacrificale di convincimen-
ti altrui. Ero convinto che la magistratura, prima o poi, avrebbe riconosciuto il
suo diritto. La Costituzione parla di inviolabilità della persona e della sua libertà.
Cosa è cambiato da allora?
«Grazie alla vicenda Eluana non c’è più
il deserto per esercitare l’autodeterminazione terapeutica come nel lontano gennaio 1992. Dopo la sentenza della Corte
di Cassazione del 16 ottobre 2007 questo
diritto fondamentale è riconosciuto come perfettamente allineato alla nostra
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Costituzione. Nessuna discriminazione
per le persone non più capaci di intendere e volere. Bastano le loro disposizioni
semplici, chiare e inequivocabili anche
ora per allora per decidere “con la persona”».
Serve una legge sul testamento biologico?
«Sì, se allineata ai principi di diritto, in
uno Stato di diritto, perfettamente allineati alla Costituzione».
E sull’eutanasia?
«Sono convinto che non si può restare
indifferenti davanti a tragedie come quelle di Mario Monicelli o di Carlo Lizzani, costretti a buttarsi giù dalla finestra per morire. Ma non so se le istituzioni italiane
siano pronte a venire incontro a queste
persone».
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NAPOLI. Lo sfogo di un
imprenditore escluso da un
appalto, che allude al
presunto intervento di un
fantomatico «generale di
Renzi», emerge dalle pagine
dell’ultima inchiesta del pm
di Napoli Henry John
Woodcock: è il caso dei
rapporti con le pubbliche
amministrazioni dei manager
del gruppo guidato da Alfredo
Romeo. Un’indagine che ha
visto intercettati per mesi, fra
gli altri, anche Romeo e il suo
consulente, l’ex deputato di
An Italo Bocchino (entrambi
non indagati) con l’uso del
virus-spia trojan. In una
telefonata, l’imprenditore
Guido Esposito lamenta, dopo
l’esclusione dalla gara per le
pulizie all’ospedale
Cardarelli, un presunto
intervento di un generale
legato al premier per favorire
Romeo, suo concorrente,
davanti al Consiglio di Stato.
Interrogato il 24 luglio 2015,
però, corregge il tiro e dice
solo di aver appreso, da
persone di cui sostiene di non
ricordare il nome, di un
pranzo che si sarebbe tenuto
un paio di mesi prima. In un
ristorante romano sarebbero
stati «visti a tavola insieme
Romeo, Bocchino e Lotti». Per
questo, afferma Esposito,
«nelle telefonate faccio
riferimento a Renzi, dal
momento che Lotti è uno dei
suoi più stretti collaboratori».
E il «generale»? «Credo che
sia stato un mio sfogo»,
minimizza.
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