Renzi e Fanfani: simili (anche) nella sconfitta?

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giovedì 15 dicembre 2016, 17:00
Leader a confronto
Renzi e Fanfani: simili (anche) nella sconfitta?
Claudio Besana spiega i punti in comune e le differenze tra i due leader, con uno sguardo sul futuro di Renzi
di Cesare Germogli
Sembra passata una vita, ma non molti mesi fa Matteo Renzi era nel pieno della sua luna di miele con i cittadini italiani. Il
nuovo e giovane (giovanissimo per gli standard italiani) Presidente del Consiglio si lanciava alla guida del Paese con
modalità di azione e comunicazione che rappresenteranno il paradigma del suo mandato. Durante quella fase alcuni
analisti sottolinearono alcune somiglianze, sia nel carattere che nelle circostanze politiche, tra l’ex Sindaco di Firenze
ed un mostro sacro della prima Repubblica, il leader democristiano Amintore Fanfani. Un confronto di certo lusinghiero,
ma basato su alcuni fattori come «attivismo, spregiudicatezza, abilità, tenacia, cinismo quanto basta», come all’epoca
rilevò il giornalista di Radio Radicale Massimo Bordin, oltre alla «frequente ironia e ricorso a metafore gergali toscane di
cultura rurale», e sul piano politico «il doppio incarico, di Segretario di partito e Presidente del Consiglio». Chiaramente si
parla similitudini poste all’interno di un contesto fatto di differenze, come ovvio che sia, sia sul piano delle due
individualità che su quello del momento storico, ma non di meno interessanti se analizzate in ottica futura. Il terremoto del
risultato elettorale ha avuto i suoi noti effetti sulle vicende di Governo dell’ormai ex Premier. Una sconfitta tanto pesante
quanto inaspettata nella sua entità, che lascia aperti molti interrogativi sulla futuro nel mondo politico del tuttora
Segretario del PD -almeno fino all'Assemblea nazionale di domenica 18 dicembre. Anche Fanfani, toscano pure lui,
passò attraverso sconfitte, ritiri e ritorni in auge forse sintomatici di una capacità di imparare dai propri errori. Le sue
vicende fanno parte dei libri di storia, quelle del Renzi sconfitto sono ancora tutte da scoprire, ed è lecito chiedersi se anche
nel modo di rialzarsi, se il secondo ne avrà la possibilità, i due potranno un giorno essere paragonati. Di questo abbiamo
parlato con il professor Claudio Besana, ricercatore di storia economica ed insegnante presso la sede milanese
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e co-autore di ‘Amintore Fanfani - Formazione culturale, identità e responsabilità
politica’. Professor Besana, commentatori e giornalisti durante la 'luna di miele' tra Renzi e gli italiani hanno
paragonato la sua figura, dal punto di vista caratteriale, a quella del Fanfani all'esordio come uomo di
governo. Crede che elementi di affinità tra i due esistano? C’è qualche affinità sicuramente, ma in contesti molto
diversi. Si può fare qualche analogia su Renzi segretario di un grande partito e premier con il Fanfani del ’58 , quando fa il
suo secondo governo ed è segretario, Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, avendo quindi più potere di quanto ne
abbia Renzi. Le differenze stanno però nel fatto che Renzi cade su un referendum mentre Fanfani cade perché fatto fuori dai
suoi, in quanto ha un governo molto fragile che conta solo sull’appoggio dei socialdemocratici e un astensione repubblicanaEstratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/renzi-fanfani-simili-anche-nella-sconfitta/
L'Indro è un quotidiano registrato al Tribunale di Torino, n° 11 del 02.03.2012, edito da L'Indro S.r.l.
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liberale, e affronta una certa ostilità nel mondo cattolico perché si prefigura un possibile primo centro-sinistra. Viene fatto
fuori dai suoi con una serie di votazioni da franco tiratore che portano alle sue dimissioni da Presidente del Consiglio e da
Ministro, con lui che poi si dimetterà anche da segretario, cosa che Renzi non ha fatto. I due caratteri si assomigliano
sicuramente. Sono due persone con un certo ego, due toscani di carattere piuttosto deciso, molto pragmatici volendo
passare alla storia per una politica che realizza. Hanno grandi ambizioni di cambiamento. Fanfani in quel momento non ha in
mente cambiamenti istituzionali, ma nel programma del suo secondo governo c’è un progetto per riunire sotto l’Eni tutto il
settore dell’energia elettrica nazionalizzandola. È quindi molto ambizioso nonostante i numeri del suo governo siano risicati.
Fanfani inoltre arrivava al governo avendo, come segretario del partito, vinto le elezioni. Seppur appartenenti a epoche
molto distanti ci sono analogie nel background politico e culturale delle due figure? Su questo avrei qualche
dubbio. Renzi ha sempre fatto il politico mentre Fanfani è un professore universitario che da giovane riesce per la sua qualità
di studioso ad avere una cattedra universitaria. Viene quindi da un processo di formazione con una base culturale molto
solida, all’interno di un mondo come quello della Cattolica dove si è formata una classe dirigente di livello e che ha dato
tanto anche alla Costituzione. Quindi da questo punto di vista non c’è molto riscontro e lo spessore culturale è ben diverso.
Poi sul fatto che ci siano in Renzi delle abilità politiche indiscusse non ho dubbi. Fanfani è un professore che si innamora
della politica e darà anche il suo contributo alla carta costituzionale, con l’idea di una repubblica democratica fondata sul
lavoro. È uno che si afferma anche per una qualità di riflessione culturale notevole. Le dinamiche e la situazione interna
alla DC di metà anni '50, quando Fanfani venne eletto segretario, presentano analogie con quelle interne al PD
in cui Renzi si è insediato come segretario? È un po’ difficile fare un paragone perché Renzi si trova, da giovane
democristiano, ad essere segretario di un partito come il PD che però presenta componenti molto diverse come retroterra
politico ed ideologico. Nel Partito Democratico ci sono esponenti della Margherita, e lui stesso viene da quel mondo, ma
anche esponenti degli ex DS, e anche in occasione della Legge Cirinnà queste due anime si sono sentite. Quindi il PD è
un’amalgama di mondi un tempo molto diversi anche se forse si sono avvicinati per la presenza di una destra che non è più
quella liberale e democristiana di un tempo. Certamente anche la DC era un partito molto complesso poiché in essa vi erano
conservatori molto decisi e personaggi molto avanti dal punto di vista dell’apertura sociale. Lo stesso Fanfani che passa per
uomo di sinistra, come segretario mette in difficoltà esponenti della base del partito che sono ben più a sinistra di lui. Lì però
vi era un unione senza dubbio voluta anche dalla Chiesa stessa. Queste sono tutte persone che alla Chiesa obbediscono. A
causa della contrarietà della maggioranza della DC all'apertura di una stagione di centro-sinistra il Governo
Fanfani II fu presto logorato dai cosiddetti "franchi tiratori", che lo misero spesso in minoranza. Crede che le
divisioni interne alla DC dell'epoca, con gli esponenti della vecchia guardia democristana poco propensi alla
nuova stagione inaugurata da Fanfani, possano ricordare quelle che Renzi ha dovuto affrontare con la
cosiddetta minoranza dem? Il problema di Fanfani sta nel fatto che lui era proveniente da Iniziativa Democratica, cioè
quella corrente che prende il potere quando declina De Gasperi la quale si caratterizza per una gestione plurale. Fanfani è
quindi buttato giù, all’epoca del suo secondo governo, non tanto perché vi erano idee diverse ma piuttosto perché gli viene
imputato di non operare con questa gestione plurale, volendo accentuare il potere troppo su di se. Ecco, qui una certa
affinità tra i due la si può trovare, seppure un po’ tirata. C’è in Fanfani sicuramente un’intemperanza che lo spinge a non
accettare una visione plurale del suo partito e questo si può trovare anche in Renzi. Come quando Bersani dice ‘siamo un
partito plurale’, e gli viene risposto che se nel partito c’è una maggioranza quella deve comandare. In entrambi i casi non
piace la modalità di gestione del partito. Comunque aldilà di alcune analogie non dimentichiamo che stiamo parlando di
realtà molto diverse. Matteo Renzi, subita la batosta del referendum costituzionale, ha annunciato le sue
dimissioni da Capo del Governo mentre sulla sua continuazione come segretario del PD siamo ancora in attesa
di risposte. Fanfani dopo la caduta del suo governo lasciò la segreteria della DC ritirandosi a vita privata e
meditando di lasciare la politica attiva, come per altro lo stesso Renzi aveva promesso di fare durante la
campagna referendaria. Come crede che si comporterà da qui in avanti? Per quanto riguarda Renzi vedremo il
futuro cosa ci riserva. Fanfani all’epoca è capace di accettare la sconfitta, si dimette da segretario, va al congresso convinto
di vincere, perde e si fa da parte. Poi appena serve viene richiamato in campo fino a poi perdere di nuovo nel ’63, salvo poi
essere chiamato di nuovo in causa al momento del bisogno, al punto da essere soprannominato ‘rieccolo’. Questo
anche perché ha l’intelligenza di capire che in certi momenti è meglio farsi da parte e lasciare fare ad altri. Oggi questo è
molto più difficile in questo tritacarne mediatico dove ogni parola viene esasperata, mentre allora la gestione
dell’informazione era molto diversa, ed era molto più facile defilarsi e rimanere nell’ombra. E quindi come che si
comporterà Renzi nel futuro prossimo? Dubito che lascerà la politica. Non so se lascerà anche la segreteria o se
dovrebbe farlo, ma credo che dovrebbe avere il coraggio, prendendo qui esempio da Fanfani e quindi anche al costo di dover
subire una sconfitta, di fare un congresso e stanare la minoranza dem, vedendo se effettivamente c’è un’altra maggioranza
del partito e discutendo se dev’essere quello che ha in mente lui o quello che ha in mente Bersani. Ricandidandosi sarebbe
probabilmente apprezzata, anche da quelli che non la pensano come lui, la capacità di coinvolgimento e discussione. Dare
quindi voce alla base del partito e vedere se comunque quando si parla di segreteria è ancora lui quello più voluto. Le
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dinamiche di oggi probabilmente impediscono un processo di questo tipo. Però è dura avere un consenso a sinistra se non si
fanno certi passaggi. Magari non l’elettorato, ma molto del mondo culturale che fa riferimento al PD fatica ad accettare un
segretario che non discute. Crede che, in caso di ritiro dalla politica o per lo meno dalla segreteria del partito,
possa poi tornare in futuro alla guida del PD, così come fece Fanfani dopo aver meditato di lasciare l'attività
politica, salvo poi ritornare di gran carriera diventando una figura simbolo della prima repubblica? Ripeto, non
credo che con il sistema di oggi sia facile rientrare quando si esce di scena. Però un conto sarebbe un Renzi-bis, un altro
sarebbe invece un Renzi che lascia ad altri per far decantare la situazione per poi, quando si chiariscono le cose, attraverso
le primarie ricandidarsi alla guida del partito. Anche Fanfani, durante uno dei suoi esecutivi, subì le conseguenze
politiche (sebbene non immediatamente) di un referendum molto importante, quello sul divorzio del 1974. Con
quanto successo domenica scorsa possiamo dire che la storia si è ripetuta o le circostanze sono troppo
diverse? Dalle testimonianze che ci sono pervenute sappiamo che i Democristiani non volevano quel referendum che venne
lanciato da una parte del mondo intellettuale milanese, e che di fatto fu subito dal partito. La DC era composta da esponenti
che comunque ascoltavano la Chiesa, e che quando gli viene richiesto di fare battaglia la fanno. Ne avrebbero però fatto
volentieri a meno, perché sapevano che si rischiava di affrontare un alleanza laici-sinistra, che su quel referendum tentava lo
storico sorpasso sulla DC. Inoltre il tonfo per i centristi risultava prevedibile dato che ormai il costume del paese era
cambiato, con la gara che era quindi già persa in partenza. Erano consapevoli del rischio che si trasformasse in un
referendum contro la DC. Quando però accettano comunque di fare la battaglia decidono di mettere in prima fila Fanfani.
Renzi invece il referendum che ha appena perso lo vuole fortemente ed è lui a promuoverlo. Quindi anche allora si creò
attorno al referendum un significato, se non personalistico come voluto da Renzi in una certa misura,
perlomeno legato all’avversione ad un certo partito, in quel caso la DC? Quel che è certo è che quando i
referendum sono così sentiti si caricano di tanti significati. Ecco perché un politico avveduto, se può, cerca di non farli.
Quello di fatto si trasformò in un referendum contro la Democrazia Cristiana, ed in parte minore anche contro la figura di
Fanfani. Quest’ultimo invece è stato chiaramente pro o contro la figura di Renzi ed il suo governo.
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