Il coniglio nel pollaio e la nascita del grottesco-2

Download Report

Transcript Il coniglio nel pollaio e la nascita del grottesco-2

Il coniglio nel pollaio e la nascita del grottesco
di Carmelo La Carrubba
Il podere comprato da mio nonno Vincenzo a Boscorotondo gli consentiva di realizzare il suo sogno
di emigrato: potere non solo possedere ma coltivare alberi da frutta, la sua passione. Si iniziava a
maggio con le pesche dette “maialore” si continuava a giugno fino a settembre con le “giallone” che
si contendevano la palma con le susine rosse quelle preferite dal nonno. Egli nella sua vita aveva
esercitato il mestiere del fabbro, di quelli rifiniti che sanno “fare” con le mani e col fuoco, come
Vulcano, qualsiasi oggetto in ferro: chiavi, forbici, vanghe, inferriate, ma che ora a tarda età, voleva
respirare l’aria pura della campagna e distendersi svagandosi con un nuovo mestiere che avesse la
caratteristica del passatempo che di sera veniva sostituito con l’ascolto di opere liriche contenute nei
dischi che si era portati dietro dagli Stati Uniti dopo che aveva ascoltato dal vivo i grandi tenori e
soprani dell’epoca. Anche il vigneto – come gli alberi da frutta – aveva bisogno di tanta cura perché
oltre il vino, il cerasuolo, dava uva da tavola: grillo e ‘nzuccherato. C’erano, inoltre, alcuni alberi di
fichi, fichidindia, gelsi rossi e bianchi, pere e meloni rossi e bianchi. Un pezzo di terreno era
coltivato a orto per lattughe, pomodori, broccoli, senape, peperoni, melanzane, fagiolino, cipolle,
aglio, origano, prezzemolo e basilico e quant’altro la cucina di mia nonna Pina avesse bisogno per
condire le focacce che variavano nel contenuto a seconda della stagione; tutte le volte che si faceva
il pane, una ricorrenza settimanale che mi coinvolgeva, in quanto aiutavo mia nonna in questa
incombenza veniva fatta qualche focaccia.
Altro angolo importante era il pollaio per l’allevamento di galli e galline per uso familiare e un po’
più distante uno spazio per i maiali che grugnendo esprimono il loro parere su tutto sia che portavi
da mangiare sia che li osservavi o li distraevi o li coinvolgevi in qualcosa che somigliava a un gioco
con qualcosa da mangiare di cui erano ghiotti come i fichidindia sbucciati o il pastazzu. Quello che
mi impressionava di questi animali era l’assoluta intelligenza che dimostravano interpretando i
nostri gesti ed essendo sempre pronti a dare una risposta o muovendosi o grugnendo. Con loro il
colloquio era assicurato.
La mia famiglia, come ogni altra famiglia in paese, traeva sostentamento dalla campagna con la
vendita di uva da tavola, vino e olio. Anche il frumento veniva portato al mulino azionato da una
sorgente di acqua che restituiva il macinato che era successivamente lavorato con dei “crivi” che a
seconda della larghezza delle maglie setacciava separando la farina per il pane dal cruschello e dalla
crusca.
Nel dopoguerra la industrializzazione monopolizzò la macinazione del grano diventando uno dei
cambiamenti radicali imposti dalla nuova era che modificò il rapporto con la terra. Da una
economia contadina si pervenne al posto fisso, con lo Stato, alla lenta scomparsa dei mestieri, alla
trasformazione del contadino in agricoltore, alla formazione dell’operaio e al grande esodo che
spostò grandi masse dalla campagna alla città e dal sud al nord. Una grande vera rivoluzione che
ebbe nella TV finalmente una lingua che divenne nazionale.
Ma in attesa che questo avvenisse si discusse parecchio in famiglia se allevare conigli e ogni volta
gli argomenti a favore non riuscivano a capovolgere quelli negativi che riguardavano la tenuta delle
“tane” che spesso erano delle vere e proprie vie di fuga.
Io avevo il mio gatto, anzi gattone per la mole. Egli aveva da me i bocconi migliori e da lui ero stato
scelto – credo – come la sua persona di fiducia: quando gli altri dormivano lui si accucciava sul
letto ai miei piedi e quando uscivo per passeggiare mi seguiva e se ero in compagnia si muoveva
con discrezione accompagnandomi in maniera invisibile ma in maniera tale che percepissi la sua
presenza che si materializzava tutte le volte che rimanevo solo. Leggendo un libro si accucciava
vicino o su di me ronfando per tutto il tempo della lettura che se interrotta si vedeva emergere il
grosso testone che apriva le fauci sbadigliando e stirando con piacere le membra dell’intero corpo,
agilmente scattava sulle zampe pronto a seguirmi.
Una mattina, appena alzato, vidi venire mio nonno con un coniglio fra le mani che discuteva con
nonna Pina a cui non piaceva la carne di coniglio se non fosse stata di coniglio selvatico. Quello era
un bel coniglio ma era di allevamento. A questo punto vidi mio nonno recarsi nel pollaio e, senza
pensarci su, mise il coniglio nel pollaio con galli e galline.
Passò qualche giorno e mi ricordai del coniglio messo nel pollaio e andai a osservare come si
trovava. Era in un angolo che osservava gli altri e quando si muoveva anche per un breve tratto lo
faceva lentamente, a scatti, con molta circospezione. Si guardava a destra e manca prima di
muoversi, annusava l’aria, muoveva ripetutamente il muso e cercava timidamente di familiarizzare
con quelli che lo ospitavano. Non mi sembrò molto a suo agio per la soluzione che aveva preso il
nonno che comunque aveva il vantaggio di vivere anche se con delle galline che dominando la
scena lo guardavano dall’alto in basso anche perché il poveretto camminava quasi strisciando la
pancia per terra per non dare nell’occhio e non essere considerato uno di troppo.
Nel pollaio dal mattino alla sera c’era una intensa attività matrimoniale fra i galli che dominavano la
scena e le galline che facevano finta di subirla ma in realtà erano le beneficiare delle loro attenzioni
di cui andavano fiere anche se ad ogni accoppiamento seguiva uno “scollio” di tutto il corpo che
rassettava le piume mettendole in ordine e pronte per un nuovo consolante incontro. Poi c’era
l’attività intensa della posa delle uova che venivano poste in maniera riservata e protetta fuori dalla
portata di tutti.
Nei primi tempi quando nonna Pina mi diceva di prendere delle uova a seconda delle circostanze io
dicevo “Oggi nonna le galline non hanno fatto le uova.” Ed ella pazientemente mi diceva:”Cerca ca
trovi” e proseguiva:”Cerca bene e cerca di capire dove la gallina li abbia messi a difesa della loro
incolumità” Non fu facile trovarli perché ogni gallina aveva fantasia e intelligenza e una particolare
tendenza a sapere nascondere il loro proprio frutto.
Il coniglio era giovane ma già consapevole, soltanto era stato posto contro ogni regola in una
situazione particolare e inizialmente non gli rimaneva che osservare e iniziare un dialogo con le
galline che erano molto curiose ed interessate a sapere cosa facesse quell’animale con loro e che
cosa volesse tutte le volte che si avvicinava quando loro erano nella posizione di accoglienza con le
zampe piegate tanto gradita dai galli. Ma oltre il gradimento quella posizione era necessaria per
l’accoppiamento perché quando una gallina non gradiva bastava alterare la posizione o muovere
qualche passo per vanificare qualunque intenzione anche dei più decisi interlocutori i quali
conoscendo il trucco beccavano con forza e trattenevano il collo della gallina per evitare sgradevoli
sorprese.
Non so in quale lingua o in quale modo il coniglio si muovesse verso la gallina e molte volte ebbi
la sensazione che il loro congiungimento fosse cosa fatta per tutti i preparativi in comune che
gallina e coniglio facessero ma quando stava per avvenire, nel modo migliore, l’accoppiamento
tutto veniva vanificato da qualche passettino della gallina che faceva diventare goffi i movimenti
del coniglio e apparire sconcio e insoddisfatto ma anche buffo colui che si era avvicinato con le
migliori intenzioni e ne era uscito con i peggiori risultati. Goffo ed eccitato veniva beccato dai galli
che non gradivano la concorrenza e rendevano grottesca la figura e la posizione del povero coniglio
che al danno di essere solo aggiungeva la beffa di chi resta gabbato e – nel nostro caso – beccato.
Ma passata una settimana e ritornato ad osservare il coniglio notai che – pur mantenendo un’aria
timida e mansueta – aveva scelto un angolo del pollaio dove i galli non potevano beccarlo e
sfruttando una grossa pietra che occupava l’angolo, il coniglio messosi in alto, quando veniva
attaccato, si lasciava andare col suo peso sul gallo sbilanciandolo e costringendolo ad essere più
prudente e meno aggressivo.
E mentre prima con la gallina aveva intrapreso la parte comica del grottesco nel tentativo fallito di
un rapporto che lo lasciava in una posizione stranamente deforme con le zampe anteriori in aria che
cercavano un punto di appoggio e ricadeva al suolo in maniera innaturale perché paradossalmente
tutto quello che di appagante si aspettava dall’incontro si risolveva inspiegabilmente in una rinuncia
forzata dovuta a quel passettino in avanti che faceva la gallina – ora – ritto sulle zampe e in maniera
splendidamente composta, snobbava la gallina guardandola ma non desiderandola.
Infine per sfuggire alla prepotenza dei galli che vedevano minacciato il loro gineceo, il coniglio
aveva riscoperto l’arte dei cunicoli che formano le tane e diventando una garanzia per sfuggire i
pericoli.
Il coniglio però non avendo la consapevolezza del fatto che appartiene a quegli animali che nella
scala della fame rappresentano una risorsa ma certamente come tutti gli esseri che hanno paura
inconsapevolmente da essa sono salvati da una fine ingloriosa perché li costringe a reagire, a
potenziare le proprie risorse, a usare astuzia ed intelligenza come facevano gli eroi narrati da Omero
che conoscevano l’eroismo ma anche la paura e si servivano – vedi Ulisse – di astuti accorgimenti
sempre vincenti. Ma chi ebbe il merito di risolvere i dubbi di mio nonno fu lui stesso che di fronte a
questa situazione, non potendo cucinare il coniglio alla cacciatora per il divieto di mia nonna che
voleva il coniglio selvatico, fu costretto a fornirgli una compagna e iniziare l’allevamento.