Renzi ora punta al reincarico

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Giovedì 8 Dicembre 2016
PRIMO PIANO
LE DIMISSIONI DOPO IL SÌ ALLA MANOVRA. MATTARELLA LE HA ACCETTATE «CON RISERVA»
Renzi ora punta al reincarico
Oggi iniziano le consultazioni. Ieri alla Direzione Pd il premier ha ribadito: governo di scopo oppure
elezioni. Ma vorrebbe restare a Palazzo Chigi proprio per raggiungere questo obiettivo già ad aprile
di Antonio Satta
M
atteo Renzi si è dimesso ieri sera da Presidente del Consiglio e
non parteciperà alle
consultazioni che il Capo dello Stato comincerà già oggi. A
rappresentare il Pd saranno il
presidente Matteo Orfini, il vicesegretario Lorenzo Guerini e i
capigruppo di Camera e Senato,
Ettore Rosato e Luigi Zanda. Un
modo per non entrare in conflitto
con la sua funzione di Premier
comunque in carica per il disbrigo degli affari urgenti, ma anche
per rimanere defilato in prospettiva di un possibile reincarico.
Una subordinata che a poco a
poco sta diventando strategia. E
non solo dei pasdaran renziani,
ma dello stesso leader.
Una prospettiva decisamente complicata ma anche quasi
obbligata a seguire il ragionamento fatto da Renzi nel breve
intervento che ha tenuto di fronte
alla Direzione del partito. Come
previsto, ha lanciato l’idea di un
governo di scopo per riscrivere
la legge elettorale: «Noi non abbiamo paura di niente e di nessuno, pertanto se le altre forze
politiche vogliono andare a votare subito, dopo la sentenza della
corte costituzionale, lo dicano
chiaramente perché qui si tratta
di assumerci tutti la responsabilità. Il Pd non ha paura della democrazia e dei voti». Il motivo è
chiaro: Renzi non vuole che il Pd
sia costretto a sostenere da solo
«il quarto governo non votato
dal popolo». Quindi non c’è alternativa a un governo di scopo e
«la responsabilità deve essere di
tutti». Ovviamente Renzi sa che
dalle opposizioni non arriveranno risposte positive, anzi Matteo
Salvini è già pronto a raccogliere
le firme per chiedere le elezioni
anticipate, ed è questo il motivo
per cui punta al voto nei tempi
più brevi possibili, ossia ad aprile. Ma il suo è uno schema che
può passare quasi solo per un
reincarico allo stesso Renzi. Il
Matteo
Renzi
Tajani si candida alla presidenza dell’Europarlamento
di Andrea Pira
otrebbe profilarsi una sfida tutta italiana per
P
la successione a Martin Schulz alla guida
del Parlamento europeo. Ieri il vicepresidente
dell’Eurocamera, Antonio Tajani, ha rotto gli indugi e confermato la propria disponibilità a correre quale candidato del Partito popolare europeo,
principale gruppo politico dell’emiciclo. Il Ppe
ufficializzerà la propri candidatura la prossima
settimana. Oltre a Tajani hanno sciolto la riserva
e si sono presentati il francese Alain Lamassoure,
la irlandese Mairead Mc Guinness e lo sloveno
Lojze Peterle. Qualora Tajani la dovesse spuntare
sui compagni di gruppo si contenderebbe l’elepremier uscente, infatti, sa che
se dovesse nascere un nuovo
governo le inerzie parlamentari renderebbero molto difficile
uno scioglimento in tempi brevi
del nuovo esecutivo, non fosse
altro che per il naturale riflesso
autoconservativo dei singoli parlamentari, che non solo non bruciano dalla voglia di ritrovarsi di
nuovo in un’incertissima campagna elettorale, ma sanno anche che con le nuove regole non
matureranno il vitalizio se non
arriveranno alla scadenza del
15 settembre (quando avranno
maturato quattro anni, sei mesi
e un giorno di versamenti).
Renzi invece, non vede subordinate e al di là di ogni lettura
esterna sa che, come ha fatto
capire nel discorso in direzione, tra i motivi profondi di quel
zione con Gianni Pittella, candidato dei socialisti
e fresco di riconferma alla presidenza del gruppo
S&D. In questo caso gli italiani ad aspirare alla
guida dell’assemblea sarebbero addirittura tre.
La sinistra europea della Gue ha infatti puntato
su Eleonora Forenza, esponente di Rifondazione
eletta nelle liste dell’Altra Europa per Tsipras.
L’esito dell’elezione previsto per il prossimo 16
gennaio è incerta. Il Ppe già ha la presidenza della
Commissione europea, con Jean Claude Juncker,
e quella del Consiglio con Donald Tusk, il cui
mandato scadrà però a maggio del prossimo anno. Aprendo quindi spazi a un rimescolamento
degli incarichi tra i principali partiti europei. (riproduzione riservata)
no che ha riunito il 60% degli
elettori c’è l’insofferenza per
governi non legittimati dal voto.
E partecipare o anche sostenere
per un anno e mezzo un altro
governo (tecnico o politico che
sia) sarebbe un suicidio, quindi
meglio rimanere a Palazzo Chigi e correre il rischio di apparire
incoerente con il discorso fatto
nella notte di domenica («io non
sono come gli altri, ho perso e
vado via») pur di avere in mano
la spina che una volta sfilata può
spegnere la legislatura, cioè sue
nuove dimissioni da presentare
appena risolta la grana della nuova legge elettorale.
Ovviamente non sarà lui a proporre la propria permanenza a
Palazzo Chigi, ma lo schema ha
poche variabili.
Per la riforma dell’Italicum, del
resto, i tempi non sono lunghissimi. La Corte costituzionale,
sembra anche su sollecitazione
del Colle, ha fissato la data per
la discussione della nuova legge
elettorale per il 24 gennaio. Renzi
avrebbe preferito tempi più brevi
e non è escluso che una richiesta
di questo tipo possa anche essere
ribadita. In ogni caso, secondo
quel che filtra dalla Consulta, le
posizioni sull’Italicum sarebbero abbastanza chiare. La Corte
si appresta a bocciare due soli
punti: il ballottaggio e la possibilità per i capilista di candidarsi in 10 circoscrizioni. Fossero
davvero queste le parti cassate
della nuova legge, si tratterebbe
di modifiche autoapplicative, ossia che non richiedono un nuovo
passaggio legislativo. Basterebbe fare piccoli cambiamenti alle
OGGI SU MILANOFINANZA.IT
legge elettorale del Senato per
arrivare a quella omologazione
sulla quale il presidente Sergio
Mattarella non transige.
È possibile, visto l’accordo
già sottoscritto con la sinistra
Pd e l’interesse manifestato al
riguardo da Silvio Berlusconi,
che Renzi dia il via libera anche all’estensione del premio di
maggioranza alla coalizione (e
non solo alla lista che ha preso
più voti). Più difficile, invece,
che venga ritoccato il quorum
per il premio (ora è al 40%).
A questo punto il meccanismo
sarebbe sostanzialmente proporzionale con un premio di
maggioranza per la coalizione
che superasse il 40%, risultato
che in un sistema per lo meno
tripolare non è così scontato.
Una soluzione del genere non
sarebbe nemmeno tanto diversa
dalla richiesta avanzata ora dai 5
Stelle: votare con l’Italicum modificato secondo le indicazioni
della Consulta.
In ogni caso tutto è nelle mani
del Capo dello Stato Mattarella,
che per cominciare ha accolto
«con riserva» le dimissioni di
Renzi, avviando consultazioni
che cominceranno già alle 18 di
oggi. La scommessa di Renzi è
che a questo punto, visto che si è
comunque in presenza di un governo che ha sempre ottenuto la
fiducia del Parlamento (l’ultima
delle quali c’è stata ieri sulla legge di Bilancio), verificata l’inesistenza di altre ipotesi politiche,
Mattarella chieda a lui di tornare
in Parlamento e provare a farsi
dare dalle Camere il mandato di
andare avanti fino alle scadenze
già dette. Ovviamente, come
sempre quando si apre una crisi,
le variabili sono tante e non c’è
solo lo scontro interno al Pd, ma
pesano anche le fibrillazioni tra
i centristi emerse con il distacco
dei parlamentari Udc dalla maggioranza e le tensioni in Ala. (riproduzione riservata)
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